Appartenere ad una qualsiasi comunità significa partecipare ai rituali collettivi che quella comunità si è data in maniera formale o informale e più i rituali durano invariati nel tempo e più quella comunità riesce a "tenere insieme" i singoli atomi che la compongono in virtù del senso di appartenenza che si cementa grazie all'esperienza condivisa con il succedersi delle generazioni. Il disfacimento rapido dei rituali collettivi segue più che proporzionalmente il moltiplicarsi degli stessi e ha come risultato il disgregarsi delle comunità, che tendono a diventare sempre più unicellulari e il "Noi" sfuma in tanti "IO", capaci di aggregarsi solo in maniera instabile e comunque provvisoria, con il respiro corto di un "quotidiano" che a sua volta tende a dilatarsi e fagocitare tutto, cancellando la necessità di avere una memoria il più possibile condivisa e di un ragionamento altrettanto comune che possa sfociare in una visione di futuro comunitario. Inutile dire che l'accelerazione di questa dinamica si è avuta nel mondo occidentale con l'avvento dei social media, dove ciascuno ha i mezzi per diventare il fan di se stesso con facoltà di "contatto" e visibilità potenzialmente senza limiti, come neppure avevano le star di Hollywood e i servizi segreti come la CIA, il KGB o il MOSSAD ancora negli anni '80 del 1900. Naturalmente tutto questo "bendiddio" a disposizione per l'ipertrofia dell'EGO ha come rovescio della medaglia un prezzo da pagare altrettanto "gonfiato", ovvero il costante clima di incertezza e insicurezza in cui questo Ego potenzialmente onnipotente si trova costantemente e paradossalmente immerso: se puoi relazionarti come e quando e con chi vuoi, altrettanto facilmente "cestinare" tutti i contatti indesiderati e facilmente offrire al mondo l'immagine "taroccata" che preferisci , allo stesso modo possono agire nei tuoi confronti le "comunità unicellulari" che fluttuano nella rete.
Fatta questa prolissa premessa, voglio riportare alla luce un vecchio rituale nato nel dopoguerra che pareva inossidabile, ovvero da quando nel 1946 nacque il Totocalcio, il celeberrimo concorso a premi abbinato alle partite del campionato italiano di calcio. che costituì, tra le altre cose, il mezzo per finanziare la ripresa dell'attività sportiva in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il CONI, infatti, fece suo il progetto del giornalista Massimo Della Pergola che aveva costituito appositamente la SISAL ed il 5 maggio 1946, con un costo della giocata di 30 lire (0,64 Euro 2020), uscì la prima schedina che fece registrare un montepremi di 463.146 lire (9.824,45 Euro 2020). Dalla stagione 1951-52 venne introdotta la doppia colonna che portò la giocata minima a 100 lire (Euro 1,73 del 2020) mentre il 5 dicembre 1993, con il concorso n. 17, si registrò il record assoluto nel montepremi con 34.475.852.492 di lire (Euro 28.755.546,37 del 2020). La vincita più alta in assoluto al Totocalcio venne registrata invece il 7 novembre 1993, concorso n. 13, quando una schedina realizzò con un 13 e cinque 12 un "botto" di 5.549.756.245 di lire (Euro 4.628.928,99 del 2020) per il fortunato (o abile) scommettitore. La liberalizzazione delle scommesse, il proliferare di nuovi giochi e sistemi di scommessa, le giornate di calendario frazionate tra anticipi, posticipi, anticipi dei posticipi e posticipi degli anticipi, l'avvento delle PAY-TV e di Internet hanno decretato la crisi del Totocalcio, che i Monopoli di Stato hanno invano cercato di contenere a partire dal campionato 2003-2004, modificandone radicalmente il regolamento; il gioco è infatti passato da 13 a 14 partite ed è stata introdotta, oltre ad altri premi a sorteggio fra le schedine risultate non vincenti, la categoria di vincita "Partecipo al 9" che consiste nel pronosticare esattamente i primi 9 risultati della colonna. Tutto vano, il Totocalcio prima che un gioco in crisi è divenuto un rituale del passato.
Per almeno 4 decenni il sabato sera, prima di andare in pizzeria o al ristorante o rientrare a casa per la cena, per la popolazione maschile di ogni età la tappa fissa erano i bar con annessa ricevitoria del Totocalcio, dove all'aperitivo si abbinavano le previsioni per le 8 partite di serie A, le 3 di B le 2 di C sognando il 13 che avrebbe potuto cambiare la vita. E in mezzo mogli e fidanzate che all'impazienza alternavano la partecipazione al pronostico in vista di una vincita che avrebbe permesso l'acquisto di una cucina nuova o di una pelliccia. O molto altro ancora.
Discussioni tra sensitivi, amanti della Cabala, sedicenti esperti del Dio Pallone si mescolavano i calcoli degli amanti della statistica che proponevano i migliori e più economici "sistemi" per tentare il "botto", creando una comunità composita ma sempre disponibile all'aggregazione.
E per i concessionari del Servizio una sicura rendita e un buon avviamento al momento della vendita dell'attività.
Il sogno di ciascuno viveva in un rituale collettivo, una tappa obbligata come la messa domenicale e tutte le partite alla stessa ora della domenica da ascoltare prima alla stessa stazione Radio e poi vedere i goal alla stessa ora dello stesso canale TV.
Tutto fisso. Tutto rassicurante. Probabilmente alla lunga noioso.
Oggi le scommesse, come tante altre cose - tendenzialmente tutte - si fanno in solitaria sul proprio smart phone o sul proprio computer, oramai in ogni giorno della settimana, magari anche con l'evento ancora in corso.
Tutto variabile. Tutto imprevedibile. Tutto ansiogeno.
Anche nell'era ante Covid.
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