Se per i colori azzurri Spagna '82 è stato l'avverarsi di un sogno che nessuno osava sognare, Italia '90 è passata alla storia come una favola che cambia il lieto fine già scritto, mutandolo nel peggiore dei finali possibili, proprio a ridosso dell'ultimo capitolo.
Il Mondiale delle "Notti Magiche" disputato nel nostro paese dall'8 giugno all'8 luglio 1990 rimarrà per sempre nella memoria collettiva nazionale come quello delle grandi occasioni perdute. Certamente sul piano sportivo, ma purtroppo e - soprattutto - anche sul versante economico e sociale.
Dal punto di vista sportivo la delusione fu tremenda, d'accordo: peggio di una doccia gelata a tradimento o un pugno nello stomaco a freddo; fermarsi in semifinale battuti a Napoli ai calci di rigore da una "scassatissima" Argentina - benché campione del mondo in carica - dopo aver chiuso il primo tempo in vantaggio e aver vinto tutte le 5 partite precedenti senza prendere neanche un gol fino alla fatale "papera" di Zenga su Caniggia "grida ancora vendetta". Queste però sono circostanze che possono capitare, fa parte della normale "alea" di una competizione, come un Mondiale, in cui il fattore "C" gioca un ruolo importante, ma oggettivamente la nazionale azzurra agli ordini di Azeglio Vicini onorò al meglio il torneo casalingo con una squadra capace di entusiasmare nelle serate romane - le famose notti magiche appunto - e di mettere in mostra sia un collettivo di assoluto valore internazionale e individualità di livello mondiale come Roberto Baggio e Franco Baresi, per citarne gli esempi più luminosi. E poi la favola di Totò Schillaci, "il ragazzo del sud" semi-sconosciuto che a sorpresa stupì il mondo e che quasi riuscì a seguire fino in fondo le orme di Pablito Rossi, Re di Spagna.
Sul piano più squisitamente tecnico fu, in generale, una competizione mediocre priva di match e giocate davvero memorabili, ricca di errori arbitrali e di molte partite noiose, disputata in un momento di grande fermento sociale e sull'orlo di stravolgimenti geo-politici epocali, pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino del novembre 1989. Fu l'ultimo mondiale in cui parteciparono le maglie rosse con il celeberrimo CCCP e quelle blu della Jugoslavia e con la Germania, campione finale, ancora solo OVEST benché prossima alla riunificazione del 3 ottobre di quell'anno. Il mondo del secondo dopoguerra volgeva al termine e nessuno immaginava cosa potesse riservare il futuro, ma si respirava un'atmosfera di grande fiducia, di ostentato ottimismo. Il futuro, quello vero, di lì a poco presentò invece conti molto salati e tragici da pagare con la dissoluzione dell'impero moscovita che fece da innesco alle guerre nei balcani, in medio-oriente e nelle stesse repubbliche ex-sovietiche.
La vera occasione persa per il nostro paese fu quello di utilizzare in maniera sana l'enorme mole di finanziamento pubblico destinato all'evento che doveva dare al mondo l'immagine di un'Italia efficiente e all'avanguardia nel panorama internazionale. Purtroppo l'evento fu preparato nella seconda metà degli anni'80, quelli in cui il sistema politico della "Milano da bere" era all'apice e stava dando il meglio - ovvero il peggio di sé.
Quella pioggia di miliardi di lire si disperse in mille rivoli "grazie" alla corruzione su cui si fondava il sistema politico-economico nazionale del periodo - e che nel 1992 l'inchiesta del pool "Mani Pulite" portò alla luce nella sua cruda precisione - mentre la parte che poi venne effettivamente impiegata per il suo scopo originario fu anche spesa decisamente male.
Opere pubbliche faraoniche terminate all'ultimo minuto, impiegate per un mese e poi abbandonate per anni prima di una difficile e parziale riconversione. Stadi enormi costruiti ex novo ma completamente inadeguati come il San Nicola di Bari - oggi cattedrale nel deserto e in avanzato stato di decomposizione - o il "Delle Alpi" di Torino, addirittura demolito vent'anni dopo per far sorgere il nuovo impianto della Juventus. Lo stadio Olimpico di Roma demolito per tre quarti e ricostruito con una spesa almeno tre volte maggiore rispetto all'edificazione di un vero impianto per il calcio.
Il fallimento pressoché totale di quell'investimento così massiccio di risorse pubbliche fu palese negli anni a venire, quando il nostro paese si "svegliò" scoprendo di essere diventato una sorta di terzo mondo sul versante dell'impiantistica sportiva rispetto agli altri paesi europei, con stadi del tutto inadeguati ad ospitare i tifosi nell'epoca delle pay-tv, era che iniziò solo qualche anno dopo la fine di Italia '90.
Un'altra occasione persa per il nostro paese fu quella di dare un esempio di correttezza sportiva, quando invece mostrammo il volto più becero il giorno della finale di Roma, coprendo di fischi l'inno argentino suonato dalla banda dell'Arma dei Carabinieri schierata al centro del terreno dell'Olimpico e poi fischiando e inveendo ogni volta che Diego Maradona toccava la palla.
Le note rese inascoltabili dal frastuono, i volti increduli e arrabbiati dei giocatori argentini e del CT Bilardo, Maradona furente che urla "Hijos de Puta"... tutte immagini trasmesse in diretta dalle telecamere in mondovisione e che testimonieranno per sempre una pagina tra le più brutte della storia dello sport. E non solo.
E' vero che Maradona, come sempre, ci aveva messo del suo qualche giorno prima della semifinale di Napoli contro l'Italia tentando di dividere il tifo per gli azzurri, dicendo maliziosamente il vero dichiarando che "L'Italia si ricorda di Napoli solo quando ha bisogno mentre in tutti gli altri giorni dell'anno considera i napoletani come terroni". E' vero anche che la sconfitta degli azzurri ai rigori aveva creato una grande delusione.
Ma è sicuramente vero che, fischiando l'inno di una nazione che ha dato una chance a tanti e tanti nostri connazionali là emigrati il secolo scorso, abbiamo perso l'occasione di dimostrare sportività e correttezza. Quella che invece ebbe il pubblico di Napoli quella "maledetta" sera della semifinale, cantando l'inno di Mameli, tifando Italia e astenendosi dal tifare contro Maradona e l'Argentina, mantenendo l'impegno esposto su di uno striscione in bella mostra nella curva B: "Maradona, Napoli ti ama ma l'Italia è la nostra patria."
Che poi, se avessimo giocato anche la semifinale a Roma invece che a Napoli, probabilmente avremmo vinto è tutta un'altra storia e resterà sempre e solo un pensiero consolatorio per tutti quelli che, l'epilogo quel mondiale non vinto, non l'hanno mai digerito.
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