lunedì 26 agosto 2024

IL GIORNO (O IL VIAGGIO) PIU' LUNGO

Uno dei momenti più critici nella vita dei maschi nati fino al 31/12/1985 era dubbio fosse la vigilia della partenza per il servizio militare di leva oppure il primo giorno passato in Caserma; le opinioni, come al solito quando bisogna fare una scelta netta, sono divergenti: c'è chi non dimentica l'angoscia del viaggio di andata verso l'ignoto, turbato dai racconti apocalittici che gli amici anziani e già congedati gli avevano propinato con un misto di humor e di sadismo e altri invece che ricordano, come fosse adesso, il tremendo senso di smarrimento e conseguente timore, che li aveva travolti una volta che il portone della Caserma si era chiuso alle spalle ed erano iniziate le urla dei sergenti istruttori che li avevano "accolti" nei vari C.A.R. d'Italia in cui erano stati destinati (Centro Addestramento Reclute).

Certo nella scelta conta molto l'esperienza personale di ciascuno; faceva differenza l'età, il corpo, il reparto e il luogo di destinazione: una cosa era partire per un CAR di fanteria vicino a casa oppure finire nei paracadutisti della Folgore o alla famigerata SMALP di Aosta (Scuola Militare Alpina) per il corso AUC (Allievi Ufficiali di Complemento).

Una cosa poi era partire pischelli, appena compiuti i 18 anni, oppure terminati o prossimi alla fine degli studi universitari.

Tra gli amici le opinioni e le esperienze si dividono più o meno in parti uguali, per cui non mi resta che dire la mia.

Sicuramente fu la sera della partenza ed il viaggio verso la destinazione: la Caserma "Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa" di Fossano (Cuneo), sede del II Battaglione della Scuola Allievi Carabinieri Ausiliari di Torino, per "frequentare" il 170° Corso A.C.A. - Allievi Carabinieri Ausiliari, intitolato alla memoria del Brigadiere Angelo Joppi.

Ancora non lo potevo sapere, ma il suo vero nome era 170° "SAHARA", come erano battezzati dagli allievi tutti i  corsi estivi nel microclima particolarmente caldo e afoso della località piemontese, da trascorrere più che si poteva all'aperto, stante l'ovvia mancanza di sistemi di climatizzazione nelle camerate, che non fossero le finestre aperte di notte.

Tutti quelli invernali invece erano intitolati "FINDUS", visto che invece scontavano la rigidità dell'inverno nel cuneense, i malfunzionamenti cronici dell'impianto di riscaldamento e gli spifferi gelidi notturni provenienti dalle finestre che ancora non avevano potuto beneficiare di tanti bonus fiscali di efficientamento energetico.  

Quella sarebbe stata per tre mesi la mia "casa", assieme a quella di altri 1000 ragazzi provenienti dalle regioni del centro-nord Italia, in attesa di lasciare la pellicola del bruco - l'allievo - e conseguire per i successivi 9 mesi lo status  - e la pistola - di Carabiniere in qualche altra regione del Centro-Nord Italia, verosimilmente quella di residenza.

Alle 21,00 circa della sera del 5 giugno 1992, alla stazione di Udine, salutavo i miei genitori dal finestrino di un treno che, dopo essersi cambiato "l'abito" nelle stazioni di Venezia Mestre, Milano Centrale e Torino Porta Nuova, mi avrebbe infine fatto scendere alle 9,00 del mattino seguente in quella di Fossano in una sorta di D-Day 48 anni dopo un 6 giugno ben più drammatico.

Probabilmente il viaggio "più lungo" di tutta la mia vita, non solo per i tanti cambi, le attese e le ore sui binari: incominciavo a mettere a fuoco, e toccarlo con mano, il concetto che di lì a poco la mia Vita sarebbe cambiata drasticamente, che abitudini consolidate, routine quotidiane, persino visioni del mondo erano in procinto di essere sostituite o messe in discussione da altre assai diverse e che, nonostante i tanti e particolareggiati racconti di amici che mi avevano preceduto nell'esperienza di vestire per un anno la divisa dell'Arma, ancora avevano i contorni dell'ignoto.

Mille domande, mille pensieri, mille per mille preoccupazioni. 

In ordine sparso:  la relazione sentimentale che avevo iniziato non molto prima della partenza avrebbe retto lo struggimento e la frustrazione della lontananza forzata? sarei riuscito in qualche modo a continuare la stesura della tesi di laurea che ora "quell'interruzione" rendeva assai complicata? sarei riuscito davvero ad adattarmi nel regno del "Signorsì"? in quel mondo che non contemplava la possibilità di discutere gli ordini ma solo di dar loro esecuzione, senza farsi e, soprattutto fare, troppe domande? 

E poi m'immaginavo le situazioni critiche in cui un Carabiniere poteva trovarsi nel suo quotidiano: in particolare l'idea di essere coinvolto nelle operazioni di ordine pubblico allo stadio oppure nelle manifestazioni di piazza, mi faceva correre un brivido lungo la schiena. Sarei stato all'altezza? Sarei riuscito davvero a spaccare, per legittima difesa, una carabina sulla schiena di qualche "tifoso" in curva?

E se mi fossi trovato in mezzo ad un conflitto a fuoco? Sarei stato in grado di cavarmela?? "Ricorda, è meglio un brutto processo di un bel funerale" - questa era stata la risposta dei "reduci" prima della partenza, interpellati in merito.

Io avevo studiato per diventare un commercialista, mica Serpico!!!

Insomma, ore e ore con quei pensieri che giravano e rigiravano nella mente come il famoso criceto in gabbia, sempre con risposte insoddisfacenti o incomplete nel buio dello scompartimento del treno con il costante rumore dello sferragliare del convoglio sulle rotaie.

Poi, esaurita la sosta a Milano Centrale, qualcosa cambiò perché le carrozze si erano nel frattempo riempite di tanti e tanti ragazzi più o meno della mia età, con i capelli tagliati corti e un borsone al seguito, ma soprattutto tutti con gli stessi pensieri che si leggevano nel loro sguardo lontano, colmo di smarrimento e preoccupazione.

E molta umidità.

Stessa mia destinazione, non ero più solo.

Così le ultime ore prima dello "sbarco" sulla banchina di Fossano in "Normandia", passarono un po' più veloci ma soprattutto meno "faticose" nell'animo, constatando che quei pensieri pesanti come il piombo erano condivisi da molti altri e che insieme riuscivamo a "farci coraggio" e persino a scherzarci sopra.

Che fosse meglio lasciar stare tutte le previsioni ma dedicarsi ad essere pronti ad affrontare le situazioni via via che queste si palesassero, lo capimmo non appena ci trovammo sulla "spiaggia" della stazione del cuneense e svanirono tutti i piani di farci un giro insieme in paese per consumare le ultime "ore d'aria" prima di rispondere "presente" alla chiamata per le ore 12,00, come riportato sulla famigerata cartolina di precetto colore rosa: fuori dall'edificio ferroviario erano parcheggiati alcuni bus blu con l'inequivocabile scritta CARABINIERI sulla fiancata e diversi graduati in divisa che sbrigativamente c'invitavano a mostrare i documenti e salire sui mezzi alle nove del mattino.

Durante tutto il primo giorno non ci fu molto tempo per pensare oltre e farsi prendere dalla nostalgia: come in una catena di montaggio tutti 500 arrivati in giornata fummo sottoposti ad una serie continua di frenetiche attività volte a trasformarci da civili a militari in 24 ore: riconoscimento, visita medica, inquadramento in uno dei 12 plotoni del battaglione in base alle iniziali del cognome, consegna di tutto il materiale personale, camerata e posto branda, incontro con i propri comandanti, rancio e prime istruzioni sulle regole interne (orari, come e quando sistemare il letto, la cura e l'igiene personale, i vari servizi, ecc..) e la logistica della Caserma, una vera e propria città nella città.

Seppur decisamente fatiscente e con i servizi igienici che rispettavano questa proporzione: 12 "turche" (di cui almeno la metà costantemente fuori uso) per 90 allievi. Ricordo ancora il primo pensiero: "Ma con quale cazzo di coraggio i NAS (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità) dei Carabinieri girano per gli esercizi pubblici a fare le multe?"

Solo a tarda serata, disteso nella branda della camerata, di nuovo solo con i miei pensieri amplificati dal suono della tromba del silenzio, compresi che "niente sarebbe stato come prima".

Nell'ipotesi che il lettore sia arrivato sino a questo punto, non è mia intenzione tediarlo oltre con aneddoti di quel primo giorno, probabilmente assai simili a quelli vissuti in prima persona se nato prima del 31/12/1985 e non esentato dal servizio militare.

Però 2 di numero li voglio lasciare alla memoria dei posteri.

Il primo, che ben dipinge quanto diverso fosse il politicamente corretto 30 anni fa rispetto ad oggi, si riferisce al discorso che ci fece il caposquadra, un brigadiere di origini friulane, quando alla meno peggio riuscì ad inquadrare i miei compagni di plotone e me nel piazzale davanti alle camerate che ci erano state assegnate.

Con voce stentorea e scandendo bene, lentamente, le parole, più o meno disse così:

"In questa Caserma e nell'Arma in generale possiamo essere tolleranti su molte cose; ma su tre non si transige minimamente e siete pregati di ficcarvelo bene in testa da questo momento in avanti.

Primo: non accettiamo chi ha la mano lunga.

Secondo: non accettiamo chi fuma sostanze diverse dal tabacco, assume polveri diverse dalla penicillina o per via endovenosa sostanze diverse dalle flebo o dalle vaccinazioni.

Terzo: non è gradito chi suona il flauto a pelle.

Per cui se ricadete in una di queste categorie e foste riusciti comunque ad arrivare qui, è meglio che ce lo diciate voi subito e sarete solo trasferiti in altro reparto dell'Esercito senza ulteriori accertamenti o complicazioni perché se invece in questi tre mesi o più tardi lo scopriamo noi, poi è peggio."

Il secondo aneddoto invece riguarda la visita medica a cui venimmo sottoposti prima di essere immatricolati.

La procedura ricordava vagamente quella vista nel film "Schindler's List", quando i detenuti del campo venivano separati, denudati e inviati in diverse fila ad un sanitario in divisa che sommariamente li guardava e poi con un cenno della mano li inviava da una parte o dall'altra.

Mi si perdoni la macabra analogia, ma quello fu il pensiero che mi assalì quel giorno.

A gruppi di 10 venivamo avviati da un graduato sul primo uscio di uno stanzone con due porte, "invitati" a spogliarci in fretta - e poi, una volta udito il nostro cognome e nome, ad entrarvi in serie, uno alla volta; in quella specie di "aula magna" erano state allestite a semicerchio 4 postazioni di cui l'ultima vicino all'altra porta e dalla quale poi si sarebbe usciti al termine del percorso.

Nella prima postazione un medico con il camice bianco ti chiedeva se assumevi abitualmente farmaci e se si quali, poi ti faceva aprire la bocca, osservava all'interno del cavo orale, di seguito scrutava cornea e pupille e infine con un cenno ti faceva proseguire al secondo e terzo step dove due militari dell'arma in divisa provvedevano rispettivamente a prendere e registrare peso e altezza.

L'ultimo "ostacolo" era il più temuto: innanzi ad un graduato in divisa che indossava un guanto chirurgico, senza camice bianco seduto su di una sedia vicina all'uscio, si veniva prima "invitati" ad esporre il glande, poi ad allargare le gambe e tossire mentre lui con la mano "guantata" - per la sua igiene (sic) -  dava una bella scrollata ai testicoli e ti ripeteva senza troppa "cortesia" di tossire e tossire ancora più forte.

Terminata "l'accertamento clinico" ti ritrovavi nel corridoio con un altro graduato che sollecitamente t'invitava a rivestirti, uscire e lasciar libero il passaggio.

Ancora un po' storditi nel piazzale della palazzina "medica" ci trovammo a commentare tra reclute e ricordo come se fosse adesso la chiosa di un commilitone lombardo: "Io sarò pure una spina di merda e quello là dentro un graduato... ma stasera quando andrà a casa, se la moglie gli chiederà com'è andata al lavoro, cosa gli risponderà? che ha tastato 500 scroti in due ore? e domani altrettanti?"  

Detto questo furono tre mesi indimenticabili, densi di esperienze irripetibili, tra cui il regalo di amicizie che mi onoro ancora di coltivare a distanza di più di trent'anni. 

Al momento del congedo, il 5 giugno 1993, oltre al sapore della gioia per riprendere la vita civile che avevo pianificato e desideravo, provai grande soddisfazione per essere riuscito, durante il servizio  al reparto di destinazione come Carabiniere ausiliario, a gestire e disimpegnarmi in diverse di quelle circostanze che tanto temevo e mi preoccupavano quella notte di un anno prima, sul treno che da Udine mi portava a Fossano. 





venerdì 9 agosto 2024

LEVA SI O LEVA NO?

La questione è un terreno assai scivoloso, ne sono consapevole e pure molto divisiva: il fronte del si è assai folto e agguerrito, come pure quello del no ed entrambe gli schieramenti non riescono a trovare una posizione di compromesso.

In questi ultimi decenni lo stato delle finanze pubbliche ha sempre reso la vexata quaestio un passatempo estivo, visto che sono mancate - e mancano tutt'ora - le risorse, solo per ipotizzare un timido accoglimento delle ragioni del si.

Il mutato contesto geo-politico europeo e mondiale innescatosi nel febbraio 2022 con la sedicente "operazione militare speciale" - (rectius: invasione militare) della Federazione Russa ai danni dell'Ucraina ed il conseguente riemergere di tensioni e minacce per la sicurezza dell'Unione Europea che sembravano solo un antico ricordo, ha riportato con insistenza in primo piano il tema se è davvero anacronistico ripensare al ripristino del servizio militare obbligatorio - la famigerata leva.

Quest'obbligo costituzionale del cittadino, giova ricordare, è stato solo sospeso a partire dal 1 gennaio 2005 con la Legge n. 226 del 23 agosto 2004, da leggersi tenendo a mente l'art. 52 della Costituzione: "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica."

Da un punto di vista giuridico la leva obbligatoria non è stata mai abolita - non lo si poteva fare senza prima modificare l'art. 52 della Costituzione - ma appunto è solo sospesa, per cui il Parlamento della Repubblica ha piena facoltà di decidere sull'opportunità di un suo ripristino - o meglio - termine della sua sospensione.

Ed è sempre il Parlamento che ha piena facoltà di riattivare l'obbligo del servizio militare obbligatorio innovandolo senza alcun vincolo, rispetto ai tempi e ai modi con cui ciò avveniva fino al 31.12.2004.

Personalmente ritengo che l'idea di riattivare la Leva così com'era non sia più realizzabile, prima ancora che essere anacronistica, così come fu a suo tempo un grave errore la  sospensione tout court nel 2004.

Non solo per le importanti e introvabili risorse finanziarie che questo necessiterebbe senza stravolgere il già traballante bilancio pubblico sottraendo fondi a settori come l'istruzione, la cultura, la sanità, la giustizia, già risicati rispetto alle esigenze, oppure aumentando l'imposizione fiscale (che Dio ci aiuti!).

L'attuale bilancio non è in grado neppure di finanziare adeguatamente le forze dell'ordine, che si dibattono da anni tra croniche mancanze di uomini in organico e di mezzi a disposizione e sempre più compresse nel disbrigo di formalità burocratiche invece che di azioni sul territorio.

Il nocciolo della questione è un altro: voi riuscite, con onestà intellettuale, ad immaginare oggi come i giovani coscritti e anche - o soprattutto - i loro genitori "vivrebbero" i rituali, i sacrifici, le limitazioni alla libertà personale che comportava e imponeva la vita militare durante il sevizio di leva in vigore sino al 2004?

Padri - e soprattutto madri - ogni fine settimana a contattare il l'URP della Caserma per domandare incontri con il Comandante per chiedere ragione del perché il proprio pargolo non ha fruito di una licenza, oppure perché è stato punito, oppure per produrre certificazioni mediche e/o psicologiche attestanti l'inidoneità al disbrigo di qualche incarico sgradito.

Minacciando "Chiamo il mio avvocato e faccio ricorso - oppure vi denuncio!" se le richieste non vengono accolte.

Basta pensare a ciò che avviene nel mondo della scuola e ci si rende conto immediatamente che il servizio di leva obbligatorio non è più attuabile.

Ve la immaginate la "chat delle mamme del terzo scaglione"?

Il "comune sentire" della società italiana del 2024 è molto diverso da quello della fine del novecento, la maggioranza oggi è focalizzata quasi esclusivamente sull'esercizio e sulla tutela dei diritti del singolo, fa estremamente fatica a riconoscere che tali diritti andrebbero considerati in una cornice di doveri altrettanto importanti nei confronti della comunità di appartenenza.

Ho sempre pensato che sospendere l'obbligo di "dare un anno alla Patria lontano da casa" sia stato un invece grave errore perché ha privato la nostra gioventù della possibilità di vivere un'esperienza formativa importante per sé stessa e per la coesione sociale.

Qualcuno mi dice che anche oggi i giovani vanno lontano da casa perché fanno gli Erasmus e studiano in Università fuori sede o addirittura all'estero, maturando una coscienza civile e una capacità di cavarsela da soli migliore di quella che potevano ricevere in un ambiente sostanzialmente vessatorio e sessista come quello della Caserma.  

C'è sicuramente del vero anche in questo, dimenticandosi però di un aspetto estremamente importante e a mio avviso decisivo: coloro che possono permettersi di "Fare un Erasmus" o frequentare Università fuori sede sono ancora una ristretta minoranza rispetto all'universo giovanile e che comunque si tratta di qualcosa che fanno "a loro esclusivo beneficio" mentre la leva obbligatoria, pur fra tutte le sue ingiustizie e disfunzionalità, questa possibilità la dava a tutti e in un'ottica di farlo nell'interesse superiore della collettività, sia che la si voglia chiamare Patria, Stato, Paese, Nazione o Comunità... 

C'erano i "raccomandati", come ci sono e ci saranno sempre in tutte le italiche istituzioni pubbliche e private, i figli delle varie caste sociali, delle "élite" che riuscivano ad ottenere destinazioni ed incarichi di favore, ma nelle camerate i doveri e le ristrettezze erano davvero uguali quasi per tutti, senza distinzioni, dal laureando in giurisprudenza al disoccupato che non aveva terminato gli studi, fosse nato all'ombra del Duomo di Milano o di qualche sperduto paesino dell'Aspromonte. 

La leva militare andava sicuramente riformata in profondità per tempi e modi, come appunto prevede e consente saggiamente la tanto selettivamente invocata Costituzione Repubblicana, ma non sospesa tout court.

Certi suoi rituali e dinamiche interne erano del tutto inaccettabili ed erano mutate drasticamente le funzioni delle forze armate che dovevano adeguarsi al mutato contesto geo-politico mondiale post caduta del Muro di Berlino.

Ho sempre pensato però, che la leva obbligatoria potesse essere trasformata in una sorta di servizio permanente di Protezione Civile obbligatorio, invece che affidare questa importante funzione ad una struttura che si fonda su squadre di volontari.

Forse così si sarebbe salvato, almeno in parte, anche un patrimonio immobiliare pubblico andato in sfacelo - a mente delle decine e decine si siti ed installazioni militari che la burocrazia italica e la scarsità di iniziative ed idee hanno trasformato nel triste fenomeno delle caserme dismesse.

Insomma, continuo a pensare che insieme all'acqua sporca, il 23 agosto 2004, si decise di buttar via anche il bambino.

 E quindi? Oggi Leva si o Leva no?

La mia risposta è NO a malincuore, perché proprio non ci sono più le condizioni: il danno fatto è irreversibile ed è bene prenderne atto una volta per tutte.

L'unico scenario in cui è pensabile venga ripristinata, comunque con dubbia utilità sul piano strettamente militare, sarebbe quello creato dalla necessità di difendere il territorio nazionale od europeo dalla concreta minaccia di un attacco di terra da parte di eserciti extraeuropei.

Scenario che proprio nessuno si augura. O no? 





 


 

giovedì 8 agosto 2024

UN DIVERSO PRESEPE PER LE ORSOLINE

 

Anni 80' del novecento. Estate. Cividale del Friuli. Il Monastero delle Madri Orsoline conservava al suo interno l'Oratorio di santa Maria in Valle, ma non era ancora un sito facente parte della WHL - World Heritage List dell'UNESCO e, soprattutto, era ancora un "luogo santo" dove le suore vivevano secondo le regole del loro ordine monastico e provvedevano al sostentamento della congregazione e al mantenimento del sito,  con i proventi delle scuole parificate che gestivano all'interno.

Dall'asilo alle superiori (magistrali e tecnico professionale per segretarie d'azienda) si erano occupate dal 1843 al 1999 dell'istruzione "politicamente corretta", per i tempi, delle ragazze delle famiglie "bene" della zona, prima che i mutamenti socio-economici ne falcidiassero le vocazioni e le iscrizioni, costringendo la "sede centrale" in Roma a chiudere il Monastero e a venderlo all'amministrazione comunale.

Il dopo è storia recente che tutti conoscono.

Ritorniamo nella metà degli anni 80 del novecento. Estate.

Come di costume per quel periodo per gran parte dei ragazzi che studiavano ancora dopo le medie era consuetudine diffusa trovare dei "lavoretti" estivi per contribuire alle spese familiari e togliersi quegli sfizi (il motorino, qualche abito di marca, l'iscrizione alla scuola guida) inarrivabili con la modesta paghetta settimanale che ricevevano dai genitori durante i mesi invernali e l'anno scolastico.

Gli impieghi più richiesti, tutti rigorosamente molto "qualificati" e in "nero", senza alcuna misura di prevenzione e/o protezione, con orario dall'alba al tramonto, consistevano nel servizio ai tavoli o l'aiuto in cucina di qualche bar-ristorante, il factotum in qualche fabbrica del triangolo della sedia o della pietra piasentina nel torreanese, il garzone in qualche piccola impresa artigiana dell'edilizia mentre i più "fortunati" aiutavano il padre nel negozio di famiglia se questi era un commerciante.

E le ragazze? destinate quasi d'imperio "solo" ad aiutare la madre nel disbrigo delle faccende domestiche.

In questo "bel" quadretto, che ho cercato di delineare, si svolse "la vicenda dissacrante" che voglio raccontarvi.

Dunque, di nuovo anni 80' del novecento, estate.

Le madri Orsoline più per necessità che per volontà sono costrette ad intervenire sul parquet in legno di alcune aule di un'ala del Monastero, talmente mal ridotto dall'umidità da non essere più fruibile e così, obtorto collo - o meglio, a Dio piacendo - decisero di appaltare i lavori di rifacimento "in economia" e scelsero una ditta locale "specializzata", in cui appunto era stato "ingaggiato" come aiuto estivo un caro amico, di cui, per entrambi  "è pietoso tacere anche il nome",  come scrisse Umberto Eco ne "Il Nome della Rosa" a proposito dell'abbazia dov'è ambientato il suo celeberrimo romanzo.

Non solo per ragioni di privacy.

L'artigiano fu chiamato in via preliminare a fare il sopralluogo per redigere il preventivo, e già in quella sede fu piantato il "seme luciferino" della vicenda: la Madre Superiora impose come condizione sine qua non per il conferimento dell'incarico, il riutilizzo dei pezzi di parquet in legno che non erano guastati irrimediabilmente dall'umidità, allo scopo di ridurre i costi del materiale e risparmiare così sul prezzo complessivo.

Vani furono tutti i tentativi del Mastro Artigiano di dissuadere la religiosa da quella richiesta che a suo dire avrebbe solo aumentato le ore di manodopera, reso il compito tremendamente più complicato e, infine, prodotto un risultato qualitativamente inferiore, che non valeva assolutamente l'ipotetico risparmio.

Nulla da fare: lavoro commissionato a corpo, prezzo fisso e riutilizzo di tutto il parquet recuperabile; l'impresa partiva già male.

Il Mastro artigiano ed il suo garzone si adoperarono nell'esecuzione dell'opera come da contratto, e naturalmente dovettero affrontare quanto era stato anticipato e largamente previsto in relazione alla complessità del lavoro, circostanza che incise come ripetuti colpi di maglio sul punto "sensibile" del Maestro: la pazienza e la poca (o nulla) riverenza verso il Padre Eterno, ritenuto il vero "Superiore" della Madre Superiora.

Il Mastro, per niente intimorito dal trovarsi dentro le mura consacrate di quel millenario luogo santo, dalla vicinanza di un garzone minorenne e dalla continua presenza delle Madri Orsoline che a turno facevano timido capolino sul cantiere per verificare i lavori, si lasciò andare durante l'esecuzione degli stessi  ad una vera e propria tempesta quotidiana di bestemmie colorite ed imprecazioni blasfeme verso l'Altissimo, che solo un miracolo fece si che Questi non scese dai crocefissi del convento per tappargli la bocca. 

Ma il vero Coup de Maitre lo piazzò il giorno della chiusura del cantiere, durante il sopralluogo della Madre Superiora per l'approvazione del rendiconto.

La Badessa, terminato l'esame dei pavimenti "rinnovati" manifestò chiaramente l'apprezzamento per l'opera compiuta. "Ha visto? Avete fatto proprio un bel lavoro, anche riutilizzando il vecchio parquet! Siete stati proprio bravi."

E fin qui tutto bene, la Madre avrebbe dovuto metterci il punto e  resistere al moto interiore che la spinsero ad esercitare in quel frangente le sue funzioni di educatrice religiosa e che fecero invece scaturire "la perla finale"; prese da parte il Maestro e con aria di serio rimprovero si rivolse all'artigiano dicendogli testualmente. "Siete stati bravi ma lei dovrebbe cercare di contenersi... sa, a forza di tutte quelle bestemmie il Signore potrebbe anche risentirsi e mandare qualche disgrazia!" 

Udite quelle parole, il Mastro senza pensarci troppo, immediatamente, replicò in dialetto. "Che sinti Madre, la disgrasia plui granda cal Signor podares fà, sares mandà un fulmin tal presepio e che copi nome il mus" (Che mi stia a sentire Madre, la disgrazia più grande che potrebbe accadere sarebbe che il Signore scagli un fulmine sul presepio e che questo uccida solo l'Asinello."

La Madre Superiora rimase per un attimo allibita per poi, una volta compresa la "sottile" blasfemia a cui il dialetto friulano aveva conferito inoltre una potenza incredibile, farsi il segno della croce ed abbandonare l'aula senza salutare.

Non si è mai saputo se il lavoro venne pagato e se si, quali furono i termini di pagamento: diverse sono le teorie in proposito.

Considerato che in seguito  nessun fulmine si è mai abbattuto sul Monastero e avendo a mente le "politiche" di riscossione degli insoluti da parte del Mastro Artigiano ci dichiariamo, senza necessità di indagare nell'Archivio Segreto del Vaticano, per l'avvenuto pagamento integrale alla scadenza pattuita in origine.

 

 

   

   

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