giovedì 23 ottobre 2025

C'ERA UNA VOLTA LA TRATTORIA FRIULI

C'era una volta una vecchia trattoria, si chiamava Friuli, ed era stata inaugurata nel settembre di un anno horribilis per quelle contrade: il 1976.

Il proprietario in poco tempo azzeccò il cuoco capace di usare gli ingredienti giusti per cucinare piatti saporiti che, con grande soddisfazione dei clienti, vide salire il livello fino alla menzione nelle guide nazionali della ristorazione.

La trattoria necessitava di adeguamenti per reggere ora il peso del livello acquisito e mantenerlo e, così, il propritario cedette la mano ad una famosa società locale dai grandi mezzi economici, e questa iniziò ud abbellirlo ed ingrandirlo nelle strutture, e puntò su piatti da cucinarsi con ingredienti di pregio internazionale, allargando la clientela e puntando a finire nelle guide europee, non solo nazionali.

Dopo pochi anni però, la società proprietaria aveva ben altre gatte da pelare in casa sua che continuare a finanziarie la politica espansiva e assai dispendiosa del ristorante che, nonostante gli ingredienti pregiati i cuochi prescelti, italiani e stranieri, non riuscivano a far decollare e così regalò l'azienda al suo direttore come liquidazione.

La qualità dei piatti continuava a peggiorare, il "nuovo" proprietario non aveva più le risorse per mantenere il livello, si fece qualche "maneggio" per riuscire a reggere, ma alla fine, sull'orlo della bancarotta e con il decalssamento nelle guide Michelin, cedette a sua volta ad un nuovo proprietario, un friulano tutto d'un pezzo.

I clienti locali nonostante tutto, si mantenevano sempre affezionati al loro ristorante di fiducia.

Il nuovo proprietario ci mise un po' a capire come andava il mercato, all'inizio si affidava a cuochi ed ingredienti di pregio, ma al limite della scadenza e così la clientela, sempre affezionata, si dovette accontentare di menù di seconda categoria con qualche episodico pranzo di livello.

Poi, sfruttando le nuove regole del mercato, trovò la formula magica per far decollare l'attività: cuochi semisconosciuti e di grande talento e pietanze anch'esse poco note e provenienti da ogni angolo del mondo che riuscivano a stupire la concorrenza e guadagnare posizioni nelle guide nazionali e per la prima volta anche europee.

La clientela ne fu estasiata. 

Ma il proprietario scoprì presto che poteva brevettare i piatti e cederli alle multinazionali della ristorazione e guadagnarci un bel po' e fu così che si dedicò solo alla gestione del risorante Friuli, ben coadivato dai suoi familiari.

Per molti anni riuscì a mantenere alto il livello qualitativo  - pur cambiando cuochi, ingredenti e menù -  soddisfare gli affesionati clienti locali e guadagnarci un bel po' di denari, tanto da attrarre spesso le attenzioni del Fisco, non convinto della fedeltà delle dichiarazioni dell'azienda.

Le cose funzionavano talmente bene che pensò di replicare il modello ristrutturando in Spagna ed Inghilterra vecchie trattorie, acquisendone la proprietà, ed iniziando a scambiarsi i cuochi e le pietanze all'interno della catena.

Il cibo ed i menù non ne guadagnavao in qualità, ma i profitti salivano e i clienti, soprattutto quelli friulani non smettevano di frequentare il ristorante Friuli, come fedeli che non disertano mai la Messa della domenica, anche quando e se la Fede vacilla.

Ad un certo punto il proprietario, all'apice della popolarità per la capacità di mantenere ai massimi la qualità del prodotto che dimostrava il cuoco del tempo nel mescolare sempre al meglio le pietanze note, ma soprattuto meno note, che venivano rifornite ogni anno da ogni dove, decise che la struttura del ristorante era antiquata e sentiva il peso del tempo.

Decise che era ora di rinnovarlo completamente, rifacendolo da capo a piedi e cambiandogli pure il nome, "brandizzandolo" con una marca automobilistica prima e con una multiutility energetica poi per adeguarlo al mercato ed aumentare i ricavi e così, in un paio di anni, con tenacia tutta friulana di superare tutte le ardue prove imposte dall'italica burocrazia, il risultato fu un vero e proprio gioellino, un ristorante di lusso.

Da lì in poi, invece, la qualità del prodotto divenne sempre più scarsa, nonostante una girandola di cuochi assunti in Italia e all'estero per trasformare, come era riuscito in passato, "il piombo in oro".

L'operazione è perfettamente andata a buon fine a livello contabile, mentre è risultata indigesta per i clienti che si sono visti propinare ogni anno, immancabilmente e nonostante le promesse di rilancio, cibi sempre più scotti e insipidi, fino a rischiare il declassamento.

Nonostante questo, non è cambata la fedeltà: qualche mugugno, ma sempre "presenti" alla messa della domenica o del venerdì, del sabato e del lunedì, visto che nel tempo i ristoranti possono aprire quando vogliono e neache tutti alla stessa ora, per le mutate regole di mercato.   

La proprietà di fronte a qualche lieve maldipancia di qualche cliente meno bonario fa spallucce e dice: "O mangi questa minestra o salti la finestra", perchè diversamente non si può fare con la concorrenza che c'è e anzi, bisogna essere orgogliosi di essere da più trent'anni nelle guide Michelin.

Nonostante tutto.

Morale della favola, se c'è una morale: la proprietà non guadagnarà mai una stella Michelin, nè in Italia nè altrove, ma sicuramente merita il premio Nobel per l'economia.

Chapeau. 

E i clienti?




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