La notizia della qualificazione di Haiti ai prossimi mondiali di USA-CANADA-MESSICO 2026 mi ha provocato una scossa emotiva che ai più, inclusi forse gli albicanuti alle mie latitudini, potrà sembrare del tutto eccessiva o ingiustificata.
Perchè tutta questa eccitazione per i francofoni caraibici, mentre sono passate indifferenti le storiche qualificazioni di giordani, uzbeki o dei fortunati abitanti della minuscola isola di Curacao, persa nelle acque paradisiache del Mar dei Caraibi e di cui ho dovuto subito avviare la ricerca su Google per capire che non si trattava di un Cocktail? E che dire della rassegnazione e dello scarto emotivo praticamente nullo con cui ho già messo in conto anche un'assenza degli azzurri per la prossima rassegna iridata?
La memoria gioca brutti scherzi, soprattutto agli sfortunati come il sottoscritto, afflitti da un'amigdala ipertrofica che rilancia alla corteccia frontale immagini anche del passato remoto ogni volta che vista o udito mandano segnali solo lontanamente afferenti a fatti che hanno lasciato un minimo sussulto emotivo nel tempo che fu.
Lasciamo perdere queste premesse dal sapore autoassolutorio e cerchiamo di spiegare l'arcano che si cela dietro a questo risibile scossone neurale.
Italia-Haiti, disputata il 15 giugno 1974 all'Olympiastadion di Monaco di Baviera quale gara inaugurale del girone 4 della fase finale del campionato del mondo, è stato anche il mio debutto ai mondiali come tifoso della nazionale.
Un bambino di 8 anni, cresciuto a pane e pallone, che appena un mese prima aveva gioito come un matto quando al suo compleanno la nonna gli aveva regalato un completo fatto con calzoncini e calzettoni bianchi, maglia a strisce larghe verticali bianconere ed un pallone "Elite" di plastica, anch'esso bianconero. Completo rigorosamente in sintetico, senza ombra di sponsor o di emblemi distintivi, di nomi o numeri sulla schiena.
Eppure quel completo mi faceva sentire, ogni volta che lo indossavo, come Fabio Capello, il mio eroe preferito, che un po' di mesi prima mi aveva regalato la prima gioia che la memoria mi riporta ancora dalle profondità dei meandri cerebrali: il gol della vittoria sull'Inghilterra a Wembley.
Poi certo in azzurro c'erano anche Mazzola, Rivera e Gigi Riva che però non giocavano nella Juventus e Dino Zoff era un portiere, ruolo che non suscitava grandi emozioni perchè da bambini il sogno è fare gol, non salvare la propria porta.
La Vita poi s'incarica di correggere il tiro.
Oggi scorrono di nuovo le immagini di quel pomeriggio, da solo, davanti alla TV in bianco e nero della cucina, "funestato" prima dal gol di Emanuel Sanon il quale, a inizio secondo tempo, ruppe la parità e capitalizzò i "miracoli" che un "gatto" in maglia gialla, all'anagrafe Henry Francillion, aveva dispensato per tutto il primo tempo, salvando a più riprese la porta dagli assalti svogliati del Golden Boy Gianni Rivera e del Bomber Giggi RRiva.
Poi era arrivato un temporale a confondere con il rumore della pioggia la telecronaca di Nando Martellini, il quale, più istituzionale che mai, faceva fatica a nascondere il disappunto per quel gol che interrompeva l'imbattibilità di Dino Zoff, fermando il record a 1.143 minuti. (Limite superato solo nel 2021 da Gigio Donnarumma che l'ha spinto fino a 1.168).
Rinviene quel sentimento di delusione, per qualcosa che non ritenevo possibile, non avevo mai visto perdere la nazionale fino a quel pomeriggio e durante la raccolta del mio primo album di figurine avevo letto che eravamo vice-campioni del mondo, che alla nostra nazionale erano state riservate tre facciate mentre ad Haiti uno spazio che non comprendeva neanche 11 giocatori. In più, una figurina commemorativa diceva chiaramente: "Nella grande finale questa volta gli italiani batteranno i brasiliani" e se per Hercule Poirot 3 indizi fanno una prova, per un bambino di 8 anni erano la certezza che l'Italia avrebbe vinto i mondiali.
Invece stava perdendo con Haiti.
A rimettere le cose a posto ci pensarono poi un'autorete di Auguste su tiro di Benetti, un gol di Rivera ed uno dello juventino Petruzzu Anastasi - il Pelè bianco - subentrato nel mentre ad un infuriatissimo Long John Giorgione Chinaglia che non esitò a mandare in mondovisione "a quel paese" il Cittì triestino, "Lo Zio" Ferruccio Valcareggi.
Per il bambino di 8 anni fu un trionfo! La conferma che gli azzurri erano imbattibili e così, con il cielo che si era rasserenato in sintonia con l'andamento della partita, si vestì di bianconero e noncurante dei richiami della mamma e della nonna che volevano farlo desistere, visto che il terreno era ancora inzuppato dalla pioggia, corse in giardino per imitare le gesta dei suoi beniamini.
Qualcuno ha detto che per fare felice un bambino è sufficiente dargli un pallone e la libertà: oggi non lo so se vale ancora, ma nel giugno 1974 (e anche un po' oltre) assicuro che era così.
Da solo, con le colonne del porticato di casa che erano diventate la porta dei caraibici e i due alberi in fondo al giardino quella difesa da Zoff, correva e correva calciando il pallone cercando di "rifare" quello che aveva visto fare ad Anastasi.. con tanto di esultanza scalmanata sotto la "curva" rappresentata dalle scale che portavano al terrazzo, nella mente gremite di tifosi plaudenti.
Non ci fu un fischio dell'arbitro a decretare la fine di quella goduria, neanche un richiamo della mamma o del papà, ma il pallone che, calciato "dall'idolo Fabio Capello" assunse una traiettoria non voluta e finì dentro ad uno dei rosai del giardino e si sgonfò con la stessa velocità con cui Sanon aveva bruciato Spinosi in contropiede e con scarto felino poi superato Zoff per deporre infine la palla in rete, più agile di Gustav Thoeni tra i pali dello slalom olimpico di Sapporo.
Fu un mesto presagio: proprio quel 3-1 risultò alla fine determinante per la nostra eliminazione dal mondiale al primo turno, quando a pari punti del girone con gli argentini questi ci superarono per un gol in più nella differenza reti: loro, al "gatto" Francillion rifilarono 4 "pappine" al gol che Sanon aveva infilato anche al loro portiere, tale Daniel Carnevali.
Il "mio" primo mondiale non lo vinse neanche l'altra favorita della vigilia, il Brasile, ma i padroni di casa della Germania Ovest - quella capitalista - che nonostante la sconfitta nel primo e unico derby tedesco della storia con i "cugini" socialisti dell'Est, superarono nella finale i favoritissimi olandesi, l'Arancia Meccanica del profeta Johann Cruijff.
I quali all'inizio, agli occhi del bambino di 8 anni infarcito dalla retorica nazionalpopolare che lo circondava, valevano poco più di Haiti, solo per il fatto che nell'album delle figurine WM 74 non comparivano tra le nazionali storiche delle edizioni precedenti e a disposizione avevano solo 2 facciate e non 3, come Brasile, Italia e Germania Ovest.
La delusione fu tremenda, dopo Italia-Polonia 2-1 che decretava la nostra eliminazione, a stento trattenni le lacrime, che poi scivolarono senza freni quando seppi dal Tg della sera che la Jugoslavia aveva passato il turno.
Da allora quel bambino di 8 anni incominciò a guardare e ascoltare con maggior beneficio del dubbio ciò che vedeva e udiva intorno a sé, ad iniziare dal calcio.
Un po' di anni più tardi, quel bambino che nel frattempo tentava di diventare adulto scoprì, attraverso il romanzo "Azzurro Tenebra" di Giovanni Arpino, quanto fosse malandata quella spedizione azzurra che per l'occasione fu somma estrema di tanti mali tipicamente italici e che la grancassa faceva intendere fosse invece una sorta di Invicibile Armada.
Ecco perchè Haiti che torna ai mondiali dopo 52 anni è stata una bomba atomica per la memoria, a prescindere che possa ripetersi in nordamerica nel 2026 un'altra Italia-Haiti, sulla cui possibilità non scommetterei neanche 50 lire del 1974.
Non solo perchè sarà il primo mondiale a 48 squadre, invece delle 16 di Monaco 74 ed il calcolo combinatorio è impietoso.
Arbitro: Llobregat (Venezuela).

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