La notte era umida, carica di un odore di terra bagnata che sembrava contenere, insieme all’umidità stessa, il peso di tutte le attese mai realizzate, i sogni mai osati e i ricordi che non erano mai stati.
Samuel camminava lungo la strada sterrata, con una valigia il cui peso non era solo fisico ma quasi morale, come se dentro ci fosse concentrata la gravità di ciò che avrebbe potuto fare e non aveva ancora fatto, mentre dietro di lui brillavano le luci tremolanti delle fattorie dell’Arkansas.
Luci in lontananza, fragili e oscure, come se fossero sospese tra ciò che resta e ciò che si lascia andare, continuavano a luccicare come piccole promesse che lui stava, in qualche modo, tradendo, mentre davanti si stendeva la highway lucida di pioggia che lo avrebbe condotto verso Little Rock e, oltre ancora, verso New York.
La Big Apple, la città mai vista, eppure così abitata nei suoi sogni da sembrare reale, promessa e minaccia insieme, spazio dove il desiderio e l’incertezza si mescolano in un nodo così intricato che pensare al futuro provoca vertigini tali da confondersi con il corpo stesso, con la respirazione, con la terra sotto i piedi.
Nella tasca interna del giubbotto portava la lettera dell’Actors Studio, già stropicciata dalle mani che l’avevano letta e riletta, come se ogni piega fosse un segno tangibile della tensione fra ciò che desiderava e ciò che temeva; non era un invito, non era una porta aperta, solo una fessura che prometteva qualcosa e nello stesso tempo minacciava il vuoto, e le parole che Nathan gli aveva detto, lo seguivano come un’ombra permanente, non lasciandolo solo un istante:
«Uno su mille ce la fa, è risaputo: e senza qualcuno che ti spalanchi la porta, che ti sponsorizzi, Samuel, sarai solo uno dei novecentonovantanove che tornano qui, più vecchi e più arrabbiati, magari tossico e con le pezze al culo.»
E così, forse più per la necessità di nominare quella paura che per vera convinzione, Samuel si diresse dal sig. Carter, il vecchio ufficiale dell'anagrafe in pensione, cercando qualcuno che sapesse dare un volto al terrore del fallimento, che potesse insegnargli, con la sola presenza e senza fretta, a riconoscere il senso di ciò che lo paralizzava.
La casa di Carter non era costruita; sembrava sedimentata nel tempo, un accumulo di anni e di attese non compiute, un edificio che respirava lentamente e che raccontava storie di compromessi e di desideri traditi attraverso le assi scricchiolanti e le persiane che il vento sollevava e lasciava ricadere.
Sulla veranda, una sedia a dondolo oscillava, lenta e regolare, sospesa tra il movimento dell’aria e quello dei pensieri del proprietario, che sedeva avvolto in una coperta, lo sguardo perso nella campagna notturna e nello stesso tempo dentro se stesso, come chi porta addosso una vita intera di strade parallele consumate, una vita in cui ciò che si amava di più veniva rimandato o sacrificato, sempre, per la ragionevolezza, per la sicurezza, per il dovere, per il compromesso.
Ogni vecchio ha un odore, e Carter aveva quello della carta, dei faldoni, delle stanze d’ufficio e dell’illusione che la vita possa essere domata con firme e timbri.
Samuel esitò.
«Mr. Carter… non so che fare. Se resto qui, frequento l’università locale, entro nell’azienda di famiglia: vita sicura, prevedibile, protetta… senza sorprese né umiliazioni. Ma se parto per New York, inseguo il sogno di diventare attore… e se fallisco, torno indietro con niente. Uno dei novecentonovantanove, come dice Nathan.»
Il silenzio cadde tra loro come una coperta pesante eppure fragile, e solo il dondolio della sedia rompeva la quiete, come un battito di cuore esterno, lento e insistente, mentre la notte sembrava sospendere il tempo, trattenere i secondi in attesa di una risposta che non era solo per Samuel ma per chiunque si fosse trovato di fronte a un bivio della vita senza sapere quale strada scegliere.
Carter si schiarì la voce e cominciò a parlare, lentamente, come se avesse tutta la vita per spiegare, come se le parole stesse non potessero mai contenere pienamente ciò che voleva dire:
«In ogni caso saresti in buona compagnia, Samuel; non ti cruciare troppo»
esordì Mr. Carter, con un mezzo sorriso fissando il giovane bonariamente, quasi a voler alleggerire il peso che insisteva sul ragazzo; ma poi si fece più serio e, spostando lo sguardo verso l'orizzonte proseguì:
«Quando avevo vent’anni, Samuel, ero come te: avevo molti talenti, alcune cose le facevo così bene da intuire già allora che la vita avrebbe potuto chiedermi di dare il meglio di me. Ma non è andata così. Ho sempre saputo cosa non volevo fare, più che ciò che volevo, e così mi affidai al compromesso: accettare temporaneamente ciò che detestavo, convincendomi che nel frattempo avrei costruito una strada parallela, una via segreta, che mi avrebbe portato finalmente a ciò che desideravo davvero. Ma le strade parallele non resistono, Samuel. Si consumano. Si dissolvono. E io rimasi solo sulla strada che temevo e che avevo giurato di non percorrere.»
Mr Carter interruppe per un attimo il suo dicorso per estrarre dalla tasca un pacchetto di sigari cubani e dopo averne acceso uno e riempito dell'aroma di tabacco tutto l'ambiente, con uno sbuffo, proseguì.
«Ho passato la vita a fare ciò che detestavo, e per di più lo facevo male, mentre tutte le mie capacità migliori restavano inutilizzate, intrappolate in una società che, al di sotto delle frasi fatte di circostanza, non vuole riconoscere il merito, non è interessata valorizzare ciò che un uomo sa fare meglio, perché l’obiettivo non è la crescita ma la conservazione del potere. E raramente un uomo di valore, che per essere tale deve essere un campione del libero pensiero e navigare lontano dal mare dei pregiudizi, può essere strumentale a chi comanda. Un uomo libero non si fa manipolare, e se non sei manipolabile o ricattabile diventi un pericolo e, perciò, chi è al potere trova il modo di metterti fuori gioco, con le buone o con le cattive; sia che tu viva in una democrazia o in una dittatura. Variano solo i metodi, non la sostanza. »
Fece un'altra pausa. Respirò. «Mentre tu disegni la tua strada con i sogni, Samuel, la Vita ne disegna un’altra con strumenti diversi. Raramente coincidono.»
Alzò gli occhi al cielo e poi, inspirando profondamente sorrise appena, come se scherzasse con se stesso e si rivolse di nuovo a Samuel:
«Ma la vita… la vita ha un modo tutto suo di insegnarti che, qualunque strada tu scelga, anche quella apparentemente giusta, col tempo, tende a diventare ordinaria. Tutto ciò che ora ti sembra straordinario — i successi, le possibilità, perfino i tuoi sogni — finirà per diventare acquisito, scontato. Ti concentrerai sempre su ciò che non funziona, su ciò che manca, e dimenticherai quanto hai avuto.»
Mr. Carter, abbassò il capo per un istante, quasi avesse vergogna per quanto aveva detto, ma poi riprese senza tentennamenti ciò che stava per diventare una confessione.
«Io, con i miei compromessi… ho visto svanire molte possibilità di dare il meglio di me. Probabilmente molte più di quante ne avrei potuto cogliere, ma mi hanno anche portato fin qui, a un’età in cui posso osservare i ragazzi come te, parlare della vita senza ansia, senza fretta… a fare il mentore. E in questo, credimi, c’è una forma di pace. Una pace che non vale meno dei sogni, solo perché arriva con i capelli grigi e meno strada da percorrere in avanti.»
Poi abbassò lo sguardo sulle mani, più a se stesso che a Samuel.
«La natura umana è così: sempre pronta a desiderare ciò che non ha, a rimpiangere o mitizzare ciò che ha perso, a trascurare le conquiste che invece ha ottenuto. Fa parte del gioco, ma comprenderlo significa uscirne vincitori, perchè solo così puoi imparare a scegliere senza essere schiacciato dalla paura del futuro e, soprattutto, a godere nel presente di ciò che hai saputo comunque costruire.»
Il vecchio ufficiale dell'anagrafe di Little Rock continuava a sbuffare tabacco come il camino di una locomotiva lanciata a tutta velocità verso il capolinea di un viaggio nel selvaggio West.
« E c’è un’altra verità che devi sapere. Forse, arrivando a New York, scoprirai che ciò che inseguivi non era la tua vera vocazione. Forse ami solo l’idea di essere un attore, mentre il mondo reale del cinema, delle audizioni, dei rifiuti continui, non è affatto quello che avevi immaginato e potrebbe richiederti compromessi ben più grandi con la tua coscienza. Oppure la tua vocazione è autentica, ma per qualcosa che al mondo non interessa, qualcosa che non ha spazio, e che nessuno sarà disposto a coltivare. E questo non è una condanna: è solo un modo della vita per ricordarti che i sogni spesso esistono al di là della realtà, e che affrontare questa distanza è parte del prezzo che si paga per vivere.»
Samuel abbassò lo sguardo, le mani strette attorno alla valigia.
«Ho paura, Mr. Carter. Paura di fallire, paura di scoprire che non sono abbastanza, paura di buttare via anni preziosi.»
Carter lo guardò a lungo, e la sua voce si fece calma e tagliente al tempo stesso:
«La paura non è il tuo nemico, Samuel. È un messaggero. Ti segnala che c’è un pericolo, ma non ti dice quale, quello lo lascia scoprire a te. E il vero dramma, il vero fallimento, non è seguire la paura: è non scegliere, illudersi che non scegliere conservi intatta la possibilità di un sogno senza pagare il prezzo del rischio, senza sopportare il peso della paura. È pensare che potrai comunque un giorno raggiungere le stelle, semplicemente guardandole dal basso. È il rischio di ritrovarti, a cinquant’anni, a osservare il cielo notturno con il cuore fermo, sapendo che quelle stelle non si possono mai raggiungere, consolandoti solo con il fatto che almeno esistono ancora, sospese, lassù, da contemplare.»
E fece una pausa, lasciando che le parole scendessero lente come pioggia sul terreno della mente del ragazzo:
«Quando ascolti la paura, chiedile: ‘Da che cosa stai cercando di proteggermi?’ Non sempre il pericolo che percepisci è reale. Solo comprendendolo puoi scegliere davvero.»
L’alba cominciava a tingere il cielo di rosa e arancio, e la luce scivolava tra i campi come una promessa che nessuno aveva chiesto. Samuel prese la valigia. Davanti a lui, la strada si divideva:
a sinistra, la stazione degli autobus per New York;
a destra, l’università e l’azienda di famiglia, la sicurezza che sarebbe stata insieme consolazione e prigione.
Mr. Carter rimase sulla veranda, senza chiamarlo. Solo il dondolio della sedia rompeva il silenzio, mentre il vecchio osservava il ragazzo allontanarsi tra le luci dell’alba. Mr. Carter si rivolse da lontano, un'ultima volta, a Samuel.
«Ricorda: ogni scelta vera comporta un cambiamento drastico del contesto in cui ci si muove. Non esiste percorso senza imprevisti, senza ostacoli imposti dagli altri o dalla natura stessa, e quando li affronterai scoprirai risorse che neanche sospettavi di avere. Abbi fiducia, Samuel! Ogni bivio è un rischio, ma anche un’occasione di meravigliarti per ciò di cui sei davvero capace.»
Poi mormorò, come parlando a se stesso:
«Ogni volta che un talento si spegne, la società perde una parte di sé, ma la ferita più grande è di chi scopre che non ha mai davvero scelto la sua strada.»
E il vento portò via le sue parole, mentre Samuel camminava verso ciò che ancora non sapeva essere il suo destino, con le stelle sospese sopra di lui, splendenti e irrangiungibili, come tutte le verità della vita, mentre ogni passo, ogni scelta, ogni paura e ogni rischio cominciavano a delineare la forma di ciò che avrebbe potuto essere la sua esistenza.