Sport, Memoria, Pensieri & Arte varia oltre il Natisone dall'antica capitale del Friuli
martedì 4 novembre 2025
QUATTRO NOVEMBRE
mercoledì 29 ottobre 2025
QUASI PRONTA
Milano, autunno, sabato sera.
Nel grande appartamento di Brera le luci calde dei faretti si riflettono sul parquet lucido. Il profumo di un fondotinta costoso si mescola a quello di un Barolo appena stappato mentre dalla finestra socchiusa arriva il suono distante del traffico e una scia di musica elettronica da un locale lì sotto.
— Hai deciso cosa metterti? — chiede lui, guardando l’orologio con una punta di malcelata impazienza. — È già tardi, Cla. Lo sai che l'Enrico e la Silvia non sopportano i ritardi.
— Sono quasi pronta. (Sarò pronta quando sarò pronta. Forse tra dieci minuti, forse tra un’ora. Tu intanto non rompere le palle e trovati un’altra occupazione, possibilmente lontano da me. E vaffanculo anche l'Enrico e la Silvia.)
— Fai quello che vuoi. (E' un test, idiota. Dovresti conoscermi abbastanza bene per sapere qual è la bottiglia giusta. Che cazzo chiedi? Sei scemo?)
Lui la fissa come si guarda una bomba a orologeria. — Questo “fai quello che vuoi” mi mette i brividi più del fisco.
— Ma smettila — risponde lei, sorridendo senza guardarlo. (Appunto: è un test. E stai per fallirlo, amore mio.)
Giulio posa il bicchiere e alza le mani. — Ti prego, cerchiamo di non litigare prima di uscire.
— Va bene. (Non va bene. Significa solo che la discussione è terminata. Al momento.)
— Ti rendi conto che a ogni cena ci arriviamo sempre in ritardo per colpa tua?
— Mia? Io sono pronto da venti minuti!
— Sì, ma mentalmente sei ancora in tribunale.
Giulio si avvicina, con un tono che vuole essere dolce. — Magari dopo la cena andiamo a bere qualcosa solo io e te.
— Vedremo. (No, e se si, non'interessa.)
— “Vedremo” cosa? — insiste lui. — Vedremo se sopravvivo alla cena o vedremo se mi concedi il tuo drink dopo? — l'avvocato gioca la carta della seduzione con un doppio senso neppure molto doppio.
— Vedremo, Giulio. (No, e smettila di interpretare tutto, che mi rovini anche la pausa drammatica. Eppoi: ma come sei scontato. "Il tuo drink!" ma con chi credi di avere a che fare? con una escort pescata in rete?)
Lui scuote la testa. — Ti rendi conto che ogni tua risposta è un campo minato semantico?
— E tu ti rendi conto che tu analizzi tutto? È per questo che sei bravo nel lavoro e pessimo nella vita.
— Ah, perfetto. Quindi quel tipo di ieri sera all’aperitivo era più bravo nella vita?
— Quel tipo è un gran figo. (Penso che tu mi stia dando troppo per scontata, e forse ti stai lasciando andare un po’ troppo. Uomo avvisato.)
Giulio sbatte la lingua contro il palato. — Fantastico. Quindi vuoi farmi ingelosire.
— No, voglio solo che ti rimetta a correre. Hai una pancia da commercialista.
Il phon tace, la tensione resta. Lei si trucca, lui la osserva nello specchio.
— Ti stai vedendo con qualcuno? — chiede lui, quasi per scherzo ma non del tutto.
— Davvero pensi che avrei tempo per un amante? (Sei senza rimedio, che cazzo di domandi fai? E tu pensi che se io veramente avessi un amante tu potresti accorgertene??)
— Hai detto la stessa cosa del pilates — ribatte lui, ma la voce è stanca.
Lei posa il rossetto con gesto lento. — Senti Giulio, dobbiamo parlare. (Io devo parlare, tu devi ascoltare.)
Giulio si irrigidisce. — Oddio. Dimmi almeno se prima o dopo la cena.
— Di questo ne parliamo più tardi. (Mi hai fatto così incazzare che non riesco neanche a pensare. Ho bisogno di un po’ di tempo per tenerti il muso e capire come cazzo faccio a stare ancora con te.)
Lui alza gli occhi al soffitto, come in preghiera. — Vuoi che cancelli la cena? Restiamo a casa, ordiniamo sushi.
— Non preoccuparti. (Inizia a preoccuparti.)
— Sei splendida, comunque — dice, sincero, mentre lei indossa un orecchino.
— Credi che lei sia carina?
Giulio si gira, sorpreso ma colpevole. — Lei Chi?
— Non fare l'idiota con me, sai bene di chi sto parlando. (E' proprio un ingenuo, non capisce che lo sto provocando, se sospettassi qualcosa per davvero sarebbe già in croce.)
Non ti starai mica riferendo a Francesca, la mia nuova Segretaria?
Un silenzio di tomba scende nel grande appartamento di Brera.
(Eccolo qui, il pesce che cade nella rete... adesso lo mangio vivo!)
Ma no! Cosa dici... Tu sei… carina.
Lei lo guarda di traverso. — Solo carina?
( Rispondi di si e te la scordi fino a Natale)
— No, no. Sei bellissima. Da infarto.
— Ti perdono. (Ho deciso che, per adesso, posso vivere nonostante quello che hai combinato, ma sappi che stasera non vorrò in alcun modo veder ciondolare il tuo pisello dalle mie parti e ti rinfaccerò per tutti i giorni della tua vita di aver sicuramente guardato quella Francesca con aria da marpione.)
— Allora possiamo uscire? — chiede lui, già con la giacca in mano.
— Sono stanca.
— Stanca? Ma non siamo ancora usciti!
— Appunto.
Lei prende la borsetta, si guarda per un ultimo istante allo specchio prima di voltarsi verso Giulio con un sorriso impeccabile, mentre lui la guarda tra il basito e il rassegnato.
— Allora Giulio, andiamo si o no? (Non va bene. Ma almeno stasera ci sarà del vino decente.)
E così, mano nella mano, escono nel corridoio illuminato del palazzo, come due attori che conoscono a memoria la parte, ma non credono più davvero nella trama.
giovedì 23 ottobre 2025
C'ERA UNA VOLTA LA TRATTORIA FRIULI
C'era una volta una vecchia trattoria, si chiamava Friuli, ed era stata inaugurata nel settembre di un anno horribilis per quelle contrade: il 1976.
Il proprietario in poco tempo azzeccò il cuoco capace di usare gli ingredienti giusti per cucinare piatti saporiti che, con grande soddisfazione dei clienti, vide salire il livello fino alla menzione nelle guide nazionali della ristorazione.
La trattoria necessitava di adeguamenti per reggere ora il peso del livello acquisito e mantenerlo e, così, il proprietario cedette la mano ad una famosa società locale dai grandi mezzi economici, e questa iniziò ud abbellirlo ed ingrandirlo nelle strutture, e puntò su piatti da cucinarsi con ingredienti di pregio internazionale, allargando la clientela e puntando a finire nelle guide europee, non solo nazionali e a diventare addirittura stellato!
Dopo pochi anni però, la società proprietaria aveva ben altre gatte da pelare in casa sua che continuare a finanziarie la politica espansiva e assai dispendiosa del ristorante che, nonostante gli ingredienti pregiati i cuochi prescelti, italiani e stranieri, non riuscivano a far decollare e così regalò l'azienda al suo direttore come liquidazione.
La qualità dei piatti continuava a peggiorare, il "nuovo" proprietario non aveva più le risorse per mantenere il livello, si fece qualche "maneggio" per riuscire a reggere, ma alla fine, sull'orlo della bancarotta e con il declassamento nelle guide Michelin, cedette a sua volta ad un nuovo proprietario, un friulano tutto d'un pezzo.
I clienti locali nonostante tutto, si mantenevano sempre affezionati al loro ristorante di fiducia.
Il nuovo proprietario ci mise un po' a capire come andava il mercato, all'inizio si affidava a cuochi ed ingredienti di pregio, ma al limite della scadenza e così la clientela, sempre affezionata, si dovette accontentare di menù di seconda categoria con qualche episodico pranzo di livello.
Poi, sfruttando le nuove regole del mercato, trovò la formula magica per far decollare l'attività: cuochi semisconosciuti e di grande talento e pietanze anch'esse poco note e provenienti da ogni angolo del mondo che riuscivano a stupire la concorrenza e guadagnare posizioni nelle guide nazionali e per la prima volta anche europee.
La clientela ne fu estasiata.
Ma il proprietario scoprì presto che poteva brevettare i piatti e cederli alle multinazionali della ristorazione e guadagnarci un bel po' e fu così che si dedicò solo alla gestione del ristorante Friuli, ben coadiuvato dai suoi familiari.
Per molti anni riuscì a mantenere alto il livello qualitativo - pur cambiando cuochi, ingredienti e menù - soddisfare gli affezionati clienti locali e guadagnarci un bel po' di denari, tanto da attrarre spesso le attenzioni del Fisco, non convinto della fedeltà delle dichiarazioni dei redditi dell'azienda.
Le cose funzionavano talmente bene che pensò di replicare il modello ristrutturando in Spagna ed Inghilterra vecchie trattorie, acquisendone la proprietà, ed iniziando a scambiarsi i cuochi e le pietanze all'interno della catena creata.
Il cibo ed i menù non ne guadagnavano in qualità, ma i profitti salivano e i clienti, soprattutto quelli friulani non smettevano di frequentare il ristorante Friuli, come fedeli che non disertano mai la Messa della domenica, anche quando o se la Fede vacilla.
Ad un certo punto il proprietario, all'apice della popolarità per la capacità di mantenere ai massimi la qualità del prodotto dimostrata dal cuoco del tempo nel mescolare sempre al meglio le pietanze note, ma soprattutto meno note, che venivano rifornite ogni anno da ogni dove, decise che la struttura del ristorante era antiquata e sentiva il peso del tempo.
Decise che era ora di rinnovarlo completamente, rifacendolo da capo a piedi e cambiandogli pure il nome, "brandizzandolo" con una marca automobilistica prima e con una multiutility energetica poi per adeguarlo al mercato ed aumentare i ricavi e così, in un paio di anni, con tenacia tipicamente friulana di superare tutte le ardue prove imposte dall'italica burocrazia, il risultato fu un vero e proprio gioellino, un ristorante di lusso.
Da lì in poi, invece, la qualità del prodotto divenne sempre più scarsa, nonostante una girandola di cuochi assunti in Italia e all'estero per trasformare, come era riuscito in passato, "il piombo in oro".
L'operazione è perfettamente andata a buon fine a livello contabile, mentre è risultata indigesta per i clienti che si sono visti propinare ogni anno, immancabilmente e nonostante le promesse di rilancio, cibi sempre più scotti e insipidi, fino a rischiare il declassamento.
Nonostante questo, non è cambiata la fedeltà: qualche mugugno, ma sempre "presenti" alla messa della domenica o del venerdì, del sabato e del lunedì, visto che nel tempo i ristoranti possono aprire quando vogliono e neanche tutti alla stessa ora, per le mutate regole di mercato.
La proprietà, di fronte agli sparuti brontolii e maldipancia di qualche cliente meno bonario, fa spallucce e dice: "O mangi questa minestra o salti la finestra", perché diversamente non si può fare con la concorrenza che c'è e anzi, bisogna essere orgogliosi di essere, con la sua gestione, da più di trent'anni clienti fissi di un ristorante di lusso stabilmente elencato nelle guide Michelin.
Nonostante tutto.
Morale della favola, se c'è una morale: la proprietà non guadagnerà mai una stella Michelin, nè in Italia nè altrove, ma sicuramente merita il premio Nobel per l'economia.
Chapeau.
E i clienti?
giovedì 16 ottobre 2025
L'ULTIMA SBERLA
Sono nato a metà degli anni ’60 in Friuli e come gran parte dei miei coetanei, l’infanzia e la prima adolescenza si sono svolte assieme ad un compagno di viaggio molto presente quanto indesiderato: la sberla. In famiglia, all’asilo e alla scuola elementare erano “espedienti” considerati assolutamente “politically correct” per l’educazione dei giovani virgulti.
Questa compagnia, almeno in
famiglia, è stata indiscussa almeno fino ai primi anni 90, mentre nelle istituzioni
scolastiche, dopo la rivoluzione studentesca e giovanile del ’68, la pratica si
era ridotta drasticamente fino a scomparire in pratica del tutto già a metà degli anni ’70.
Ogni volta che si contravveniva
ad una richiesta (ordine) dei genitori o dei maestri o si combinava qualche “disastro” che
poteva mettere in cattiva luce il buon nome della famiglia o dell'istituzione nel suo contesto di
riferimento – la sberla era inevitabile come la caduta delle foglie in autunno.
Naturalmente forza e
localizzazione della sberla – sedere o volto – variava a seconda dell’importanza
dell’infrazione in base alla diversa scala valoriale vigente nella famiglia di
appartenenza.
Che questa pratica, appannaggio
esclusivo dei padri fosse da rivedere, attesi i risultati comunque insoddisfacenti
in termini di rispetto delle regole, dev’essere iniziato a serpeggiare ad un
certo punto anche tra gli stessi papà, considerato che mio fratello, nato
invece all’inizio degli anni ’70 si prese un decimo degli schiaffoni che miravano
a fare di me una persona adulta ed educata, raddrizzando i comportamenti
ritenuti disfunzionali per la morale del tempo.
E non perché lui fosse più ligio alle regole o rispettoso dei divieti rispetto a me.
Quando la mia generazione a sua volta si è trovata a ricoprire il difficile
ruolo di genitore, probabilmente memore di quanto male ci hanno fatto quelle grandinate
di sberle inflitte dal nostro Pater Familias - oggi termine divenuto politicamente
scorretto e sostituito dal più benevolo anglicismo Care Giver - le
abbiamo bandite del tutto e spinte sul bordo del Codice penale.
Sia chiaro, la finalità di questo
scritto non vuole essere un Ode nostalgica al tempo della Sberla che, a
posteriori, ritengo mi abbiano recato più danni che benefici ma fare solo la
fotografia di un’epoca e confrontarla, lasciando
un ricordo personale a chi è interessato a guardare sotto la superficie del
presente.
Quei ceffoni non facevano male
fisico, quello se ne andava in fretta: erano vere e proprie ferite dell’Anima che
facevano fatica a guarire perchè inferte da chi invece ti aspettavi riconoscimento e qualche
carezza.
Detto questo non mi sento una
vittima, e non ho mai smesso di voler bene a mio Padre perché con il tempo ho
capito che ciò che oggi sconfinerebbe nel codice penale e sarebbe di sicuro
socialmente inaccettabile, per lui non solo era un normale stile educativo, ma
per di più quello che riteneva il migliore e più efficace per me.
Ciascuno è figlio del suo tempo.
Nel mio, da genitore, memore di
quante ne abbia prese e del male che mi hanno fatto tutte quelle sberle, non
sono mai riuscito ad alzare le mani od alzare la voce nei confronti di mio
figlio e invece ho sempre cercato di praticare l’arma della persuasione.
Oggi mi domando se lui, al contrario, da me si aspettasse qualche sberla e oggi mi biasima per non averlo fatto.
Come mio padre – e come tutti i
padri prima e dopo di lui - se ho sbagliato, l’ho fatto
pensando di fare del bene. Un “classico” insomma.
Alla fine, rileggendo un adagio
secondo cui “l’estrema risposta ad una stronzata è anch’essa una stronzata”
mi sono detto che i genitori di ogni epoca sono attesi dallo stesso destino: possono
cambiare i metodi, restano errori ed inadeguatezze per ciò di cui invece hanno
bisogno i figli, che nascono e crescono in un altro tempo.
Chiudo svelando il perché del
titolo, per dimostrare quanto mio padre fosse convinto dell’utilità delle
Sberle.
L’ultima me la tirò in pieno
volto una sera di agosto dell’anno domini 1984, quando avevo già compiuto 18
anni da qualche mese: appena varcata la soglia di casa, puntuale per la cena,
tutto contento, lui senza dire nulla, mi sferrò il ceffone prima ancora che
potessi dirgli “ciao”.
Perché?
Perché suo papà – mio nonno – gli
aveva riferito, accusandolo di non essere stato in grado di “crescere bene” un
figlio, di avermi visto andare a fare la comunione in duomo indossando una
canottiera gialla.
Era tutto vero, canottiera
acquistata nello stesso pomeriggio in cui avevo concluso un mese da operaio in una verniciatura del manzanese – lavoro estivo “in nero” dopo la promozione
scolastica con ottimi voti, utilizzando il guadagno di quell’occupazione che si
svolgeva ben prima della vigenza della normativa sulla sicurezza sul lavoro.
Confesso che la vera vertigine è accorgersi che la propria infanzia e la propria giovinezza, rilette alla luce delle leggi odierne, si sarebbero svolte — in famiglia, al lavoro e nel tempo libero — tra infrazioni assortite del codice penale.
E pure aggravate e continuate.
lunedì 13 ottobre 2025
VIRTUS, NON VIRUS
Roma, ottobre. Le ottobrate coloravano la città di oro e polvere. I sampietrini riflettevano la luce come se custodissero storie di coraggio e mediocrità. Andrea camminava verso il bar con passo deciso, l’aria piena di convinzione.
Il professor Balestri sedeva al suo solito tavolino del solito bar di Via del Governo Vecchio. Caffè nero e anni di osservazioni, sorridendo con ironia. L’aveva conosciuto dieci anni prima, quando Andrea era ancora un ragazzo ossessionato dagli appunti perfetti e dalle citazioni giuste. Ricordava le lezioni dove lui di colpo interrompeva tutto per raccontare un aneddoto assurdo, e Andrea, pur esasperato, rideva sempre, un po’ vergognandosi.
«Il compromesso, caro Andrea, non è una resa. È la forma più umana della coesistenza. Lo so, suona poco eroico. Ma la storia non la fanno gli eroi che bruciano, la fanno gli uomini che restano. Quelli che ogni giorno tentano di capire l’altro senza rinunciare a se stessi.»
«Ti dirò una cosa che non ti piacerà: l’estremo opposto di una stronzata è anch’esso una stronzata.»
Andrea scosse la testa, contrariato.
«Lei riduce tutto a battute, come sempre. Ma ci sono momenti in cui bisogna scegliere da che parte stare.»
«E chi ti ha detto che non si possa stare nel mezzo senza essere vigliacchi?» ribatté Balestri.
«La via di mezzo è la più difficile. Richiede equilibrio, ascolto, disciplina. Gli estremi sono comodi: o tutto o niente, o si ama o si odia; vivere invece tra il tutto e il niente… quello sì, è un lavoro da adulti. Faticoso, umile, incessante. E ti dirò - continuò Balestri - che vigliaccheria o coraggio, a volte la differenza la decide il tempo, e guardati bene in giro: Roma ti insegna che compromesso, se fatto con saggezza, può diventare una forma di eroismo.»
Il professore si alzò, lentamente.
«In medio stat virtus, Andrea. E bada bene: virtus, non virus. La mediazione non contagia, cura, se hai voglia di guarire; è una specie di medicina, brucia solo un po'.»
Andrea infine sorrise, ma il sorriso gli uscì amaro.
«Lei si accontenta.»
«No, io persisto. È diverso. Sai qual è la differenza tra un idealista e un uomo libero? L’idealista vuole cambiare il mondo mentre l’uomo libero vuole capirlo, e semmai, migliorarlo un poco, quando può.»
Nel mentre, non curante di tutto questo, Roma continuava ad essere città eterna, incanto di uomini e di dei, inno perpetuo di nobiltà e miseria.
venerdì 10 ottobre 2025
LA NOTTE IN CUI CIVIDALE DIVENNE PRAGA
La notizia della morte di Paolo Bonacelli, avvenuta a Roma lo scorso 8 ottobre, ha avuto l’effetto di far riemergere dalle profondità del cervello limbico il ricordo di una strepitosa – per il mio gusto estetico – serata “andata in scena” il 17 luglio 1999 a Cividale del Friuli, durante l’ottava edizione di Mittelfest, quella dedicata a La via dell’Ambra.
I più collegheranno il volto e la voce dell’attore scomparso – 88 anni – alle interpretazioni della sua lunga carriera, guidata dai più famosi e ispirati registi italiani: Ettore Scola, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini, Nanni Loy, Roberto Rossellini, solo per citarne alcuni. Oppure, i più giovani e “meno impegnati” lo ricorderanno nei panni dell’avvocato D’Agata, al fianco di Roberto Benigni, nel fortunatissimo Johnny Stecchino.
Perché tutta questa “memoria” mi è arrivata dopo rispetto a quanto scritto in apertura?
Perché la voce di Paolo Bonacelli dava il via all’evento-spettacolo itinerante Praga Magica, ideato da Giorgio Pressburger e Mimma Gallina come apertura di Mittelfest 1999. Nei miei ricordi fu il momento più riuscito di tutta la storia del festival cividalese – opinione assolutamente personale, beninteso, visto che la critica del tempo non fu altrettanto entusiasta nei confronti dell’opera, dopo aver invece celebrato Danubio, altro evento itinerante pensato sempre da Pressburger per far vivere il libro di Claudio Magris, utilizzando “il fiume” di spettatori che si muoveva nei vari siti della città ducale.
“Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka ritorna a via Celetná (Zeltnergasse), a casa sua, con bombetta, vestito di nero. Ancor oggi, ogni notte, Jaroslav Hašek, in qualche taverna, proclama ai compagni di gozzoviglia che il radicalismo è dannoso e che il sano progresso si può raggiungere solo nell’obbedienza. Praga vive ancora nel segno di questi due scrittori, che meglio di altri hanno espresso la sua condanna senza rimedio, e perciò il suo malessere, il suo malumore, i ripieghi della sua astuzia, la sua finzione, la sua ironia carceraria…”
Molti avranno riconosciuto l’incipit del libro Praga Magica di Angelo Maria Ripellino, che Giorgio Pressburger aveva cercato di far vivere a Cividale, trasformando la città ducale nella Praga descritta dallo scrittore palermitano.
Quelle parole scritte dall'autore attraverso la voce di Paolo Bonacelli, accompagnata dalle note della Vltava di Smetana, giunsero agli spettatori che si accalcavano, al buio, a testa in su sul Ponte del Diavolo – divenuto per una notte il Ponte Carlo della capitale boema – mentre un funambolo lo attraversava su una fune tesa tra Borgo di Ponte e Piazza Duomo.
Vi posso assicurare che fu un momento davvero magico, anche per chi – come il sottoscritto – ebbe la ventura di essere al tempo assessore alla Cultura e membro del Consiglio di amministrazione dell’Associazione Mittelfest, e per questo a conoscenza di quante e quali richieste tecnico-organizzative, costi economici e responsabilità amministrative si nascondessero “dietro le quinte” di quell’evento.
Ne valse la pena.
Voglio “regalare” al lettore un solo aneddoto, per far intuire cosa significasse lavorare con Giorgio Pressburger. Lo spettacolo, nella “testa” del suo ideatore, doveva concludersi con la rievocazione dell’arrivo dei carri armati russi a Praga la notte del 20 agosto 1968, giunti a stroncare la famosa “primavera”. Giorgio voleva a tutti i costi far sfilare un carro armato vero su Largo Boiani fino a Piazza Duomo, e non c’era verso di fargli capire che la cosa era “troppo difficile”. Neppure il fatto che il Comando di Corpo d’Armata di Padova fosse stato interpellato – con esito chiaramente negativo – riusciva a placare la sua idea che “gli si volessero mettere i bastoni tra le ruote”, e che senza quella scena lo spettacolo non si sarebbe potuto chiudere degnamente.
La “salvezza” arrivò dalla scoperta che un tipo di Lubiana partecipava come stuntman in diverse produzioni, con la caratteristica di trasformarsi in torcia umana. La mente di Pressburger lo trasformò allora nel tragico rogo di Jan Palach, che nel gennaio 1969 si diede fuoco in piazza Venceslao per protestare contro l’occupazione sovietica.
Lo stuntman sloveno arse davanti al Duomo mentre un pallone-mongolfiera, rappresentante una luna benevola, si innalzava in Piazza Duomo portando con sé un’attrice vestita di bianco. Così, verso le due del mattino, lo spettacolo terminò: la magia si esaurì e Cividale si tolse i panni della capitale boema che aveva rivestito per una notte.
Gli eventi itineranti ideati da Giorgio Pressburger per far vivere pagine importanti della letteratura mitteleuropea furono, in quegli anni, il tratto distintivo di Mittelfest. Col tempo vennero abbandonati, perché i costi – e soprattutto le normative in tema di sicurezza – ne rendevano praticamente impossibile la realizzazione.
E mettiamoci pure Giove Pluvio, mai troppo benevolo con le estati cividalesi e il festival in particolare: esporre il budget importante di un evento non replicabile al rischio di annullamento al debutto o durante le prove non era più accettabile.
Peccato.
Chiudo lasciando la scheda dell’evento, tratta dal sito ufficiale dell’Associazione Mittelfest, per far immaginare al lettore cosa fu Praga Magica.
Praga Magica
Ispirato all’opera di Angelo Maria Ripellino
Un progetto itinerante di Mimma Gallina e Giorgio Pressburger
Coordinamento registico: Giorgio Pressburger e Sabrina Morena
Elementi scenografici di Andrea Stanisci
Narratore: Paolo Bonacelli
Coproduzione Mittelfest, Teatro Verdi di Trieste
ITALIA – TEATRO
Centro storico, spettacolo itinerante
Con gli interventi straordinari:
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Ancora oggi, ogni notte alle cinque – a cura di Monica e Nanì Maimone (Piccola Cooperativa Kant), Piazzetta Zorutti
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Al principe di Breslav. Il pellegrino – a cura di Gianfranco Evangelista (Moravske Divadlo Olomouc), Caffè San Marco
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Osteria dei veleni. Švejk – a cura di Guido De Monticelli, Osteria ai Tre Re
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Ai Due Agnelli. Kafka – a cura di Guido De Monticelli, Trattoria Alla Speranza
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La vecchia signora. Voskovec & Werich – a cura di Ferruccio Cainero e Giovanni De Lucia (Teatro dell’Ingenuo), Arco Medievale
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La maledizione della Montagna Bianca – a cura di Sabrina Morena, con Luciano Virgilio e Ester Galazzi, Piazza San Francesco
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Rodolfo II – con Massimo Popolizio, Piazza Dante
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Praga natura morta I e II – a cura di Jan Kratochvíl (Evropské Centrum Pantomimy Neslysicich Brno), Stretta della Giudaica
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20 agosto 1968 – con Rok Cvetkov e la Piccola Cooperativa Kant, Piazza Duomo
venerdì 3 ottobre 2025
ANONIMO RUSSO VS EUCLIDE 15-0
Il pomeriggio scivolava lento nella biblioteca della Sorbona, e la sessione autunnale di esami si avvicinava sempre più per Sophie Hubelle, ventunenne parigina studentessa di lingua e letteratura russa e Alexandre Dubois, ventiduenne di Nantes, al secondo anno di Ingegneria gestionale. Intorno a loro, libri e appunti erano sparsi sui tavoli, assieme a tanti altri giovani studenti e qualche professore dai capelli grigi.
Sophie, capelli castani raccolti in una treccia disordinata, sfogliava un’antologia di poeti russi dell’Ottocento, e i suoi occhi brillavano di passione e curiosità; di fronte, Alexandre, seduto rigido, era concentrato su uno studio di funzioni trigonometriche. Improvvisamente, la ragazza, a bassa voce, interruppe il compagno:
"Alexandre, senti qua! Lascia perdere quella roba astratta, senti la vita vera che pulsa!" ed iniziò a declamare, prima in russo e poi in francese:
Русский текст:
Теперь я знаю, что такое Жизнь.
Теперь я знаю, что такое Смерть.
И теперь что я знаю?
Теперь, когда я знаю,
слово потеряно.
Остаётся перо.
А потом?
Чёрное. Чёрное. Чёрное.
Как это чернило,
в котором я хочу утонуть.
Аноним, Белгород (?), 1891 (?)
Traduction
Maintenant je sais ce qu’est la Vie. (Adesso so cos’è la Vita.)
Maintenant je sais ce qu’est la Mort. (Ora so cos’è la Morte.)
Et maintenant, que sais-je? (E ora che so?)
Maintenant que je sais, (Adesso che so)
le mot est perdu. (la parola è perduta.)
Il reste la plume. (Rimane la penna.)
Et ensuite? (E poi?)
Noir. Noir. Noir. (Nero. Nero. Nero.)
Comme cet encre (Come questo inchiostro)
dans laquelle je veux me noyer. (in cui voglio annegare.)
Anonyme, Belgorod (?), 1891 (?)
Sophie, emozionata, chiuse lentamente il libro mentre il cuore le batteva forte.
"Che versi stupendi: le mot est perdu, ma resta la plume... Non è disperazione, è resistenza. È un gesto eroico, di speranza, silenzioso, che sfida la morte."
Alexandre scrollò le spalle, il volto contratto, quasi infastidito:
"C’est une connerie totale! Tutto questo è una baggianata, un'illusione, il solito oppio per i sentimentali! La vita non si misura con l’inchiostro, la vita si vive, si affronta, si rischia, non si racconta. La scrittura non è vita, è rifugio, è comoda fuga dalle responsabilità."
"Vedi…" replicò Sophie, calma ma emozionata, "La parola è perduta, ma resta la penna. È resilienza. Chiunque l’abbia scritto, uomo, donna, giovane o vecchio, è un Eroe! La scrittura rende eterno ciò che siamo, quello che proviamo, ciò che ci sta intorno."
"Héroïsme? Ma per carità! No," replicò lui, la voce dura. "È fuga, ti ripeto. Questo autore o autrice dimostra solo di saper nascondersi nell’inchiostro, evita il confronto con la vita. Noir. Noir. Noir… questo affonda. Altro che Eroe! Ma per piacere..."
Non capisce… pensò Sophie, e volle insistere: "Non tutti i dolori si sanano con l’azione. La vita reale non può contenere tutto ciò che proviamo; la scrittura è il nostro spazio, l’unico luogo dove ciò che conta può sopravvivere."
Alexandre si appoggiò al tavolo, la fronte corrugata. "Persistance? Rester en vie? Sopravvivere? Forma? La vita è confronto, rischio, azione! Odori, profumi, sapori, suoni...esperienze sensoriali! Tout le reste, c’est du pipeau! Tutto il resto è aria fritta!"
"Du pipau?" ribatté Sophie, con voce vibrante. "È la forma più alta e nobile della resistenza! La scrittura mantiene vivo ciò che è morto, fissa un’assenza o una presenza, una gioia! Non è fuga, è vita che non si spegne!"
Da un tavolo vicino, Jean-Luc, uno studente di filosofia dai capelli arruffati e segretamente innamorato di Sophie - che aveva origliato tutto - sbuffò e si rivolse a Dubois con tono canzonatorio:
"Alexandre, Anonimo Russo-Euclide 15-0, battuta regolare! La vittoria dura poco: solo la sconfitta è per sempre! Point barre. Fin de l’histoire."
Alexandre lo fissò, irritato e sorpreso, mentre Sophie a fatica tratteneva un sorriso.
Fu allora che la voce calma e misurata del professor Henri Leclerc, seduto a parte con un libro di diritto penale, si fece sentire:
"Écoutez-moi un peu... Vedete, ragazzi, non avete ragione del tutto, né torto completamente. L’autore o autrice non è né solo vittima, né solo eroe. La scrittura è si rifugio, ma anche resistenza. Trasforma il dolore in forma, la perdita in memoria. Senza la scrittura, ciò che è vissuto svanirebbe; senza l’azione, però, la vita sarebbe vuota. Qui c’è chi sopravvive e chi trionfa sul tempo e sulla morte. La vita è sintesi di estremi: fuga e eroismo, dolore e creazione, assenza e memoria. Camminare sul filo degli opposti è ciò che la rende piena. Et voilà, c’est tout."
Sophie annuì, illuminata dalla comprensione. Alexandre serrò le labbra, pensieroso, accettando con scarsa convinzione e a malincuore la complessità della realtà, e si ributtò con più determinazione sullo studio delle funzioni trigonometriche, mentre Jean-Luc sorrise soddisfatto.
La poesia non era più solo un testo da analizzare: era diventata un incontro con un’anima sospesa tra sofferenza e creazione. In quel frammento di inchiostro noir, ciascuno di loro aveva trovato, a modo proprio, una scintilla di vita, una lezione sull’infinita oscillazione tra Vita e Morte.
Proprio come le oscillazioni di una funzione
E mentre il sole calava, i tre studenti e il professore rimasero sospesi, consapevoli che la vita è sempre più complessa dei versi, eppure ogni parola scritta, ogni azione vissuta, lascia traccia nell’inchiostro e nel cuore.
O, almeno, di chi vuole e sa ascoltarlo.
martedì 30 settembre 2025
GREY LEGACY
domenica 28 settembre 2025
A RESIUTTA RIVIVE UN PEZZO DI CUORE CIVIDALESE
Entrare e sedersi sui seggioloni verdi è stato peggio che entrare in una macchina del tempo, ripensando a quanti viaggi sono iniziati e terminati lì dentro, a quanti sogni, speranze, timori, gioie, dolori si sono consumati negl’anni sentendo lo sferragliare della mitica littorina.
Un vero e proprio microcosmo in movimento nei 20 minuti del tragitto tra Udine e Cividale, che ha visto nascere amori, amicizie e progetti professionali e imprenditoriali.
Mio santolo, ad esempio, fu un macchinista della linea: non era un parente ma aveva conosciuto mio padre in treno, quando il babbo da pendolare, ogni mattina si recava, giovane garzone, a lavorare nel negozio udinese della catena "Morassutti" in riva Bartolini (oggi sede della Biblioteca Civica).
Peccato che a suo tempo nessuno dei miei concittadini abbia pensato di farla riposare, ridandole nuova vita, nella sua sede naturale, dove, tra le altre cose, tanta gioventù italiana in età di leva ci ha lasciato un bel po’ di lacrime e sorrisi, trasportata da quei sedili verdi. Dal 1959 al 2005.
Insomma, un bel pezzo di cuore cividalese - e oltre - rivive sulla pontebbana.
martedì 23 settembre 2025
MIDNIGHT IN LITTLE ROCK
«Ma la vita… la vita ha un modo tutto suo di insegnarti che, qualunque strada tu scelga, anche quella apparentemente giusta, col tempo, tende a diventare ordinaria. Tutto ciò che ora ti sembra straordinario — i successi, le possibilità, perfino i tuoi sogni — finirà per diventare acquisito, scontato. Ti concentrerai sempre su ciò che non funziona, su ciò che manca, e dimenticherai quanto hai avuto.»
Mr. Carter, abbassò il capo per un istante, quasi avesse vergogna per quanto aveva detto, ma poi riprese senza tentennamenti ciò che stava per diventare una confessione.
«Io, con i miei compromessi… ho visto svanire molte possibilità di dare il meglio di me. Probabilmente molte più di quante ne avrei potuto cogliere, ma mi hanno anche portato fin qui, a un’età in cui posso osservare i ragazzi come te, parlare della vita senza ansia, senza fretta… a fare il mentore. E in questo, credimi, c’è una forma di pace. Una pace che non vale meno dei sogni, solo perché arriva con i capelli grigi e meno strada da percorrere in avanti.»
Poi abbassò lo sguardo sulle mani, più a se stesso che a Samuel.
«La natura umana è così: sempre pronta a desiderare ciò che non ha, a rimpiangere o mitizzare ciò che ha perso, a trascurare le conquiste che invece ha ottenuto. Fa parte del gioco, ma comprenderlo significa uscirne vincitori, perchè solo così puoi imparare a scegliere senza essere schiacciato dalla paura del futuro e, soprattutto, a godere nel presente di ciò che hai saputo comunque costruire.»
Il vecchio ufficiale dell'anagrafe di Little Rock continuava a sbuffare tabacco come il camino di una locomotiva lanciata a tutta velocità verso il capolinea di un viaggio nel selvaggio West.
« E c’è un’altra verità che devi sapere. Forse, arrivando a New York, scoprirai che ciò che inseguivi non era la tua vera vocazione. Forse ami solo l’idea di essere un attore, mentre il mondo reale del cinema, delle audizioni, dei rifiuti continui, non è affatto quello che avevi immaginato e potrebbe richiederti compromessi ben più grandi con la tua coscienza. Oppure la tua vocazione è autentica, ma per qualcosa che al mondo non interessa, qualcosa che non ha spazio, e che nessuno sarà disposto a coltivare. E questo non è una condanna: è solo un modo della vita per ricordarti che i sogni spesso esistono al di là della realtà, e che affrontare questa distanza è parte del prezzo che si paga per vivere.»
lunedì 22 settembre 2025
DOGE 3.0 - ULTIMA POESIA A VENEZIA
Elena gli strinse la mano, tremante. «Marco… e se ci stessero già preparando una nuova sequenza? Una che ci separi per sempre?»
Marco comprese con chiarezza: il Doge non avrebbe mai permesso che loro comprendessero la verità.
Non senza un prezzo.
Non senza controllo.
A qualunque costo.
“Avviso a Marco Loredan ed Elena Bembo: tentativo di decifrare il codice segreto rilevato. Intervento immediato consigliato. Conseguenze impreviste.”
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