lunedì 17 marzo 2025

IL FUOCO E LA BILANCIA


Dolores passò una mano tremante sulla pietra consumata di una colonna spezzata. Il sole del tardo pomeriggio si frantumava sui resti del Foro Romano, gettando ombre lunghe e morbide. Sedeva su un blocco di marmo caduto, con la schiena curva e le mani che, dopo tanti anni di progetti e calcoli, non stringevano più un taccuino, non correvano più veloci su una tastiera per inseguire una storia.

A vent’anni, nella sua Madrid, voleva essere un ingegnere. Costruire, progettare, dare forma alla realtà con precisione e logica. Suo padre, che aveva sempre ammirato la solidità delle scelte razionali, ne era fiero. Con un lavoro coì, le diceva, avrebbe avuto sicurezza, indipendenza, un futuro stabile.

Poi, un giorno, tutto era cambiato.

Era stato un pomeriggio qualunque, uno di quelli in cui si chiudeva in biblioteca per studiare strutture e calcoli. Ma mentre sfogliava un giornale, aveva letto un reportage su una guerra lontana, scritto con una tale intensità che sembrava di sentire il fragore delle esplosioni, il pianto delle madri, la disperazione di chi non aveva più niente. Le parole avevano un potere che i numeri non avrebbero mai avuto: erano in grado di scuotere le coscienze, di far sgorgare le emozioni.

Non era stato un colpo di fulmine, ma un incendio lento e inesorabile. Aveva iniziato a scrivere di nascosto, prima piccoli articoli, poi inchieste più complesse. Si era avvicinata al giornalismo con l’urgenza di chi sente di dover dare voce a chi non ne ha. Il giorno in cui aveva deciso di lasciare l’università suo padre non le aveva rivolto parola per mesi. Quando finalmente lo fece, le disse solo: “Un ingegnere progetta il proprio futuro, un giornalista lo rincorre. Senza certezze, finirai per stancarti.”

Per anni, Dolores aveva inseguito storie tra Madrid, Parigi, Roma. Aveva vissuto intensamente, tra redazioni caotiche, viaggi improvvisati, mancati pagamenti, notti insonni a battere sui tasti per consegnare un pezzo prima della scadenza. Aveva amato uomini e idee con la stessa foga, si era sentita viva ogni volta che un articolo riusciva a fare la differenza. Ma poi era arrivato un momento in cui il fuoco aveva iniziato a spegnersi. O forse non era il fuoco, forse era solo la paura. La paura di non farcela, di invecchiare senza nulla di concreto, di vivere sempre con la precarietà di chi rincorre una notizia e non una certezza.

E di chi prometteva compensi e poi si faceva negare.

E così, un giorno, si era arresa. Aveva ripreso gli studi, era tornata nel mondo dell’ingegneria, quello che aveva cercato di lasciarsi alle spalle. Era stato faticoso, umiliante, quasi come tornare su un campo di battaglia già perso. Ma alla fine, il titolo era arrivato, il lavoro anche.

Aveva progettato edifici, ponti, strutture solide e durature. La stabilità le aveva dato sicurezza, ma dentro di lei qualcosa era rimasto sospeso, come un’inchiesta lasciata a metà.

Ora era qui, a Roma, città di storie e rovine, con il peso di settant’anni sulle spalle. E guardando i resti del Tempio di Vesta, le colonne slanciate, le statue delle Vestali che un tempo avevano custodito il fuoco sacro, si chiese se avesse fatto bene. Se il suo fuoco si fosse spento davvero o se lei stessa, per paura, lo avesse lasciato consumare.

Le tornò in mente un’altra storia che aveva letto molti anni prima. Nel 390 a.C., Roma era caduta sotto l’assedio di Brenno e dei suoi Galli. La città era stata saccheggiata, i suoi abitanti umiliati, costretti a pagare un riscatto in oro per liberarsi dall’invasore. Ma quando i Romani si erano accorti che le bilance erano truccate e avevano protestato, Brenno aveva gettato la propria spada sul piatto e pronunciato la sentenza definitiva: Vae victis, guai ai vinti.

Dolores si chiese se la vita avesse pronunciato quelle stesse parole anche per lei. Se tornando all’ingegneria fosse stata una vincitrice o una vinta. Aveva pagato la sicurezza con la moneta dei sogni, e nessuno le avrebbe restituito quegli anni.

Eppure, i Romani non si erano lasciati schiacciare. Erano caduti, avevano pagato, ma poi avevano ricostruito. Non si erano arresi.

Forse anche lei poteva ricostruire. Forse il fuoco della passione non si era spento del tutto. Forse c’era ancora tempo per scrivere, per concedersi un’ultima inchiesta, un’ultima storia, un’ultima verità.

O forse no.

Sorrise, tirò fuori un vecchio taccuino e cominciò ad annotare.


Nessun commento:

Posta un commento

Post in evidenza

NOTTI MAGICHE ANTE LITTERAM

25 giugno 1983 – Arrivo al campo mezz’ora prima del fischio d’inizio, di corsa dopo essere riuscito a fuggire da una riunione familiare ...