“Gli imprevisti e i dettagli sono
ciò che fa la differenza nel romanzo di ciascuno” – così Rubén aveva detto,
alzando sconsolato le spalle, alla banconiera di uno dei tanti bar
dell’aeroporto Generale Logan di Boston quando la giovane ragazza dai capelli
rossi si era scusata per non poter dare al pittore spagnolo una bustina
supplementare di sale, motivando la circostanza con l’inattesa mancata consegna
quotidiana da parte del fornitore. La ragazza era rimasta “di sale” e aveva poi
rivolto uno sguardo incuriosito verso la sagoma di quel bizzarro signore che
ritornava al tavolo per consumare quell’insalata evidentemente ritenuta
insipida, nonostante fosse stata a regola d’arte accompagnata al momento
dell’ordinazione dall’ultima bustina di sale rimasta.
“Ma che cazzo avrà voluto dire
questo? Certo che qui ne passa di gente strana ogni giorno, oggi era il turno
del filosofo del sale” – aveva in fretta concluso la banconiera, richiamata
subito alle mansioni abituali dai numerosi passeggeri che si accalcavano poco pazienti
verso la cassa.
Per Rubén, invece, quell’insalata
insipida non era altro che l’ulteriore prova di quello che aveva affermato con
malcelato fastidio alla stupefatta ragazza tutta lentiggini e dai capelli rossi,
tornando con la mente a quanto aveva assistito la sera prima al “The Garden”,
quando dopo molta riluttanza aveva accettato l’invito dell’avvocato Weinberg ad
assistere con lui la finale del campionato NBA tra i padroni di casa, i
celeberrimi Boston Celtics e i sorprendenti avversari che arrivavano dal
Pacifico, i quasi messicani di San Diego: i Los Angeles Clippers.
L’avvocato, suo fidato
patrocinatore nella causa in corso contro l’amministrazione del Boston Museum
of Fine Arts per il rifiuto opposto a pagare il danneggiamento del suo ultimo
quadro, prestato due anni prima per una mostra collettiva di pittori contemporanei
spagnoli, lo aveva pressato all’inverosimile per partecipare a quello che
asseriva essere l’evento sportivo più importante nella storia recente del
basket americano.
Così Rubén, da calciofilo
impenitente che poco o nulla conosceva di quello sport che gli era sempre
apparso noioso, dalle tante regole cervellotiche e complicate, si era sorbito
una vera e propria requisitoria da parte del legale a difesa del “suo” sport
del cuore, nella quale gli aveva spiegato che quella era “gara 7”, quella
decisiva, che contro ogni previsione avrebbe assegnato il titolo della massima
competizione mondiale.
Rincarando poi la dose spiegando
che a contenderlo agli strafavoriti e celebri Celtics, la sua squadra del cuore,
era il Team meno considerato di tutta la storia dell’NBA, i Clippers, abitualmente
sparring partner dei più titolati Lakers e delle altre società a stelle e
strisce e mai giunti neanche alla finale della loro conference in tutta la loro
storia.
Inizialmente il pittore spagnolo
aveva resistito con tutte le sue forze, perché si riteneva già abbondantemente
soddisfatto di quanto la città americana gli aveva offerto nel pomeriggio
durante la sua visita alla downtown, ed in particolare seguendo il famoso
Freedom Trail, il percorso pedonale segnato da mattoncini rossi che si snoda
tra il Boston Common, il parco pubblico più antico di tutti gli USA e autentico
polmone verde di Boston, per terminare il Quartiere di Cherlestown, passando
per gli edifici tra i più significativi che videro la gestazione della rivoluzione
americana tra cui l’Old State House.
In particolare proprio l’interno
di questo edificio aveva messo in moto un vero e proprio turbine emotivo,
quando aveva appreso dall’amico che tra quelle mura era stato progettato il
Boston Tea Party e avevano preso forma i concetti e i fondamenti della
dichiarazione d’indipendenza, poi sottoscritta a Philadelphia nella
Independence Hall il 4 luglio 1776.
Turbine che si era poi
addirittura trasformato in tempesta, quando all’esterno notò come l’Old State
House – piccolo e grazioso edificio perfettamente conservato da quei lontani
eventi del XVIII secolo - fosse completamente soffocato dalla giungla di
grattacieli giganti che lo facevano apparire come un microbo, un bizzarro
intruso portato lì da chissà quale altra parte del mondo, che poco o nulla
aveva a che vedere con la città di Boston.
“Eh già, proprio come i principi
pensati dai massoni, dagli illuministi e dai patrioti che stesero quel
documento, nel tempo assai stravolti e travisati dai posteri ma che, a dispetto
di tutto, restano incancellabili sulla carta per indicarci validamente ogni
giorno la via!”
Con questo “insight” Rubèn riteneva di poter
affrontare il lungo viaggio di ritorno in Europa ancor più soddisfatto di
quanto l’avv. Weinberg gli avesse prospettato circa l’andamento positivo del
contezioso legale e l’entità del risarcimento.
Invece alla fine, per non
mortificare la grande cortesia e l’amicizia del suo ospite alla fine aveva
deciso di godersi lo spettacolo di “Gara 7” al “The Garden” tra i favoriti
Celtics e l’underdog Clippers, finendo naturalmente per farsi travolgere dal
tifo nei confronti di questi ultimi in mezzo alla marea verde che faceva un
tifo infernale a favore della squadra di casa.
E finendo travolto anche dalla
bellezza di uno sport che, nonostante le regole continuassero ad essere per lui
quasi un mistero ad ogni fischio arbitrale, gli regalarono una serata di pura
adrenalina seguendo gli atleti in campo darsi battaglia dal primo all’ultimo
secondo punto su punto, lottando su ogni palla vagante come fossa quella
decisiva, in uno stillicidio di passione e partecipazione collettiva
all’ennesima potenza.
Alla fine la spuntarono i
favoriti Celtics tra l’entusiasmo senza freni dei sostenitori di casa e la
tremenda delusione di qualche centinaio di tifosi dei Clippers, muti ed in
lacrime con le loro magliette bianche in mezzo ad una folla ondeggiante,
vestita di verde e che pareva una brughiera scozzese battuta dal vento.
Per Rubén, dapprima semplice e
scettico osservatore neutrale divenuto via via acceso tifoso dei californiani,
se quel gioco era governato dagli Dei come tutte le cose della Vita, gli Dei
non avevano perso occasione per dimostrare ancora una volta di più di essere
distratti o poco interessati ad assecondare la trama leggendaria che l’ultimo
tiro dei Clippers, scoccato a qualche decimo di secondo dalla sirena
conclusiva, stava per concretizzare portando il tabellone sull' 109-110.
Invece la palla era stata respinta dal ferro
per qualche centimetro di troppo nella parabola disegnata con la forza della speranza
dal californiano, il segnapunti bloccato sul 109-107 e così quella storica serie
rimase solo nominata all'Oscar senza vincerlo, perché grazie al canestro dei
verdi centrato un secondo prima, a vincere il titolo era stata Boston, la
grande favorita della vigilia e che di veramente epico dunque, nulla aveva fatto.
“Nonostante i Clippers arrivassero dalla terra di Hollywood, le favole hanno
lieto fine necessario solo al cinema mentre nella vita e nello sport le cose
vanno diversamente” - aveva chiosato trionfante e madido di sudore l’avv.
Weinberg, forse anche un po’ piccato perché il pittore spagnolo si fosse
apertamente schierato per gli avversari. “Hai Ragione Matt, perché nella
sceneggiatura di qualsiasi regista il tiro dei Clippers sarebbe entrato,
altrimenti quel film al botteghino sicuramente avrebbe fatto fiasco; e non
offenderti se la mia simpatia è andata a San Diego: diciamocelo pure senza
imbarazzi, se tra Davide e Golia vince Golia, ad esultare e apprezzare possono
essere solo i seguaci del gigante e non certo il grande pubblico”.
“Ma si, tieniti pure la tua filosofia Rubén, tanto abbiamo vinto noi e poi, a te domani, che ti frega?”. Matt Weinberg aveva liquidato la questione
posando la classica pietra tombale, prendendo sottobraccio il pittore spagnolo per
accompagnarlo in mezzo a quel sabba dionisiaco che erano diventati i
festeggiamenti.
Eppure il giorno dopo, attendendo
l’aereo che lo doveva riportare in Europa, alla sua base insicura di Toledo,
Calle Magdalena 23, quell’inspiegabile delusione per aver visto trionfare
ancora una volta un Golia su di un Davide non voleva saperne di scivolare via e
sfumava invece in un senso di aperto fastidio, considerando anche, come se non
bastasse, come la Dea fortuna avesse voluto rincarare la dose penalizzando il meno
dotato.
E il pensiero del potere che
hanno nel modificare radicalmente le nostre vite i piccoli dettagli, i pochi
centimetri, qualche secondo in più o in meno e come siano le situazioni
inattese, quelle non previste nel mare dei miliardi di combinazioni che ogni
giorno generano i nostri gesti e i nostri incontri quando si mescolano con quelli
degli altri, a determinare il successo o il fallimento di tanti progetti
esistenziali gli parve una vertigine.
Una vertigine spaventosa, considerando poi come ogni giorno il numero tendenzialmente illimitato di dettagli o accadimenti piccoli, involontari e tutti all'apparenza insignificanti aprano la strada a versioni profondamente diverse di una stessa vita.
Tante serate spese con Dolores a parlare sul tema del Destino gli sembrarono essere state sola un'inutile perdita di tempo.
“Non c’è nessun disegno, nessuna
forza, nessuna mano invisibile: le cose semplicemente accadono e ciascuno di
noi, piccola e minuscola zattera in mezzo all’oceano, ha il solo il dovere di
assumersi la responsabilità di decidere come reagire e di dare il personale
senso e la direzione desiderata alla navigazione. Altro che “Volere è potere” e
tutte le connesse stronzate che derivano dal quel proclama tanto di moda e che riempiono
pagine su pagine di testi "sacri" auto-motivazionali sulle bancarelle di tutte le
librerie del mondo occidentale!”
Quello fu l’ultimo pensiero,
prima di cestinare gli avanzi dell’insalata insipida ed incamminarsi verso il
gate d’imbarco. Rimaneva una cosa da fare; si diresse ancora una volta verso il
banco del bar e sparò a bruciapelo la domanda alla ragazza tutta lentiggini e
dai capelli rossi alla cassa: “Talento o fortuna?”
“Lo domandi a Woody Allen! Ma quale talento, ma quale fortuna! Non mi faccia perdere tempo Mister, non lo vede che sto lavorando?? La mia fortuna sarà il suo talento di lasciarmi in pace!!” Fu la risposta altrettanto immediata ed infastidita della banconiera che pensò ancora una volta “Ma ne gira di gente strana, e che cazzo!”
E a Rubén, udito il responso
della recalcitrante Sibilla, non rimase che correre al gate per non perdere il
volo, circostanza che ben poco avrebbe avuto a che fare con la sfortuna e molto
più con il suo talento nel porre le domande giuste alle persone improbabili nei
momenti sbagliati.