venerdì 30 maggio 2025

TEMAZCAL: IL CHIRURGO E LO SCIAMANO

Il sole stava calando dietro le palme svettanti della Riviera Maya, tingendo il cielo di un arancio impastato col sangue. Il mare si frangeva sulla sabbia chiara in onde larghe e pigre, e i profumi della giungla – terra bagnata, fiori intensi, fumo di legna – salivano nell’aria densa come un incenso invisibile.

Il dottor Alan Pierce, chirurgo plastico di Beverly Hills, sedeva su una pietra piatta ricoperta di muschio ai margini del Temazcal, il tradizionale igloo di pietra lavica usato dai popoli mesoamericani per la purificazione rituale. Le gambe gli tremavano ancora, i polmoni cercavano ossigeno e la mente era come annebbiata.

Aveva accettato di partecipare a quella “esperienza rigenerativa” perché era inclusa nel pacchetto benessere del resort a cinque stelle dove alloggiava con la moglie. Il "Sol Cenote Resort & Spa" vantava una combinazione esclusiva di comfort occidentale e “spiritualità autentica”: camere con vasca idromassaggio e vista sulle mangrovie, champagne all’arrivo… e, tra le attività, la “cerimonia temazcal guidata da un vero sciamano maya”.

Un’escursione spirituale in un’area riservata al limitare della giungla, promossa come “purificazione fisica, mentale ed energetica”. Alan aveva pensato che potesse essere un diversivo interessante, qualcosa di più originale del solito massaggio aromatico.

Ciò a cui aveva appena partecipato però non somigliava affatto a un trattamento spa.

All’interno del Temazcal – una cupola bassa fatta di pietre e fango – regnava un buio assoluto. L’aria era carica di vapore, erbe sacre bruciate, e il profumo pungente del copal mentre nel centro, delle pietre roventi venivano bagnate con acqua infusa di piante medicinali, sollevando nuvole di calore che toglievano il respiro.

C’erano otto turisti nella cupola e durante le quattro fasi del rituale, dette "porte", le grida si mescolavano ai canti in nahuatl dello sciamano; alcuni avevano addirittura vomitato. mentre altri erano scoppiati in lacrime. Due donne avevano chiesto di uscire alla seconda porta, incapaci di reggere il calore. Il corpo di Alan sembrava liquefarsi; il suo razionalismo vacillava come una parete sotto pressione.

E lo sciamano – Ixbalam, “giaguaro dell’ombra”, come si era presentato – non parlava come un animatore spirituale: era serio, ieratico, la pelle scura ricoperta di disegni a spirale e linee verticali, portava collane di semi e piume, e nei momenti più intensi del rituale cantava con una voce profonda, ancestrale, come se non provenisse dalla gola ma dalla terra stessa.

Alan non aveva pianto, non aveva vomitato ma in un momento – non sapeva se durante la terza o la quarta porta – aveva smesso di respirare per un attimo: era come se il suo corpo si fosse svuotato, aveva sentito la propria pelle dissolversi e i pensieri sciogliersi in una nebbia primitiva. Una sensazione breve, disorientante, come se qualcosa lo avesse osservato da dentro.

Ora, fuori, il corpo grondava umidità e tremore mentre il vento della sera gli passava addosso come una carezza improvvisa e fresca e lui si dirigeva nel vicino cenote per l'ultima fase prevista dal rituale: l'incontro tra l'acqua fredda con la pelle ancora calda.

Uscito dal cenote Alan si sedette su di un masso vicino all'ingresso della scalinata che conduceva alla cavità, cercando di far riprendere alla mente il possesso della situazione, dopo che i pensieri erano stati azzerati dai ripetuti e violenti shock fisici a cui il suo corpo era stato sottoposto.

Lo sciamano lo raggiunse, camminando a piedi nudi sulla terra battuta e si sedette accanto a lui, con calma, gli occhi rivolti verso l’orizzonte dove la giungla si fondeva con il mare.

«Tu sei medico», disse senza girarsi.

Alan annuì, ancora scosso. «Chirurgo. Plastico.»

«Rimodelli la carne degli uomini?»

«Correggo difetti: miglioro ciò che la genetica sbaglia o che il tempo rovina.»

Ixbalam sorrise, ma non c’era ironia nel suo volto, solo un’ombra di tristezza antica.

«E chi corregge l’anima?»

Alan sospirò. Il suo cervello cominciava lentamente a riprendere il controllo. «Non credo nell’anima. Credo nella psiche, nella neurochimica, nella biologia: siamo una macchina; complessa, ma decifrabile, niente di più e niente di meno.»

«Eppure hai visto qualcosa là dentro. Non puoi spiegare tutto con il sangue e i numeri.»

Alan si voltò verso il mare, dove l’acqua nera accoglieva il riflesso della luna piena alta nel cielo. «L’ho visto perché ero esausto, disidratato, suggestionato: il cervello reagisce così agli estremi, è sempre tutto spiegabile.»

Lo sciamano annuì. «Tu credi che sia spiegabile, questo è il tuo potere… e la tua prigione.»

Una pausa. Il canto lontano di un uccello notturno e il crepitio del fuoco sacro che ancora ardeva vicino alla cupola.

Alan si prese un momento prima di parlare. «E tu? Cosa credi? Che l’uomo debba sottomettersi alla Natura? Tornare a vivere nelle caverne, adorare le piogge o i fulmini?»

«Io credo che l’uomo sia Natura, come il giaguaro, come il fiume: quando cerca di dominarla, di renderla a propria immagine e consumo, si ammala; quando si ricorda chi è, guarisce.»

Il chirurgo lo guardò, cercando un appiglio razionale ma qualcosa, un dettaglio impercettibile, rendeva le parole dello sciamano difficili da respingere; il ricordo del Temazcal lo pungeva come un ago sotto pelle.

«Poveri mortali…» mormorò infine, quasi senza rendersene conto. «Convinti di dominare la Natura.»

Ixbalam lo guardò negli occhi. «Ma anche fortunati… quando si lasciano toccare da essa.»

Alan non replicò. Tornò a Beverly Hills. Riprese a operare: visi, glutei e seni di menti convinte di rinascere solo attraverso la bellezza rifatta; ogni tanto, tra una sutura e l’altra, riaffiorava il ricordo di quella cupola bollente, dei canti gutturali, del buio carico di vapore.

Non cambiò idea. 

Rimase un razionalista ma nel dubbio – piccolo, silenzioso, come una crepa in una protesi perfetta – qualcosa continuava a respirare.

Ogni tanto, quel dubbio prendeva anche la forma di una frase ascoltata anni prima, sotto il sole rovente di Creta, durante una visita alle rovine di Cnosso; allora la guida – una donna anziana, con una voce ferma e occhi d’ambra – aveva parlato della hybris, l’antica colpa degli uomini che si credevano simili agli dèi.

«Non è punita perché è sbagliata,» aveva detto, indicando le colonne ricostruite, «ma perché è cieca, perché dimentica i limiti. La hybris non nasce dalla forza, ma dall’illusione: quella di poter oltrepassare ciò che ci rende umani senza conseguenze. Gli dèi non punivano per vendetta, ma per ristabilire l’ordine che l’uomo credeva di poter riscrivere.»

Allora Alan aveva sorriso, distratto, convinto che quelle fossero favole di un’altra epoca. Ora però, nel silenzio ovattato della sala operatoria, tra il ronzio artificiale delle macchine e l’odore pungente dell’anestetico, quelle parole tornavano a galla come una verità che si era sempre rifiutato di ascoltare.

Non si trattava di guarire l’anima, qualcosa che per lui continuava ad essere indefinibile e quindi non curabile, ma ricordare alla coscienza i confini biologici; un corpo non si corregge: si maschera e sotto quella maschera, resta fragile, un involucro che, anche quando lo si inganna con la bellezza, non smette mai di appartenere al tempo.


giovedì 29 maggio 2025

IL GIARDINO PERDUTO

Pula (Pola), luglio 2013.

Il sole picchiava sulle pietre chiare della strada, disegnando ombre corte e taglienti. Giacomo camminava lentamente, come se ogni passo fosse una sfida al tempo e alla memoria. Non metteva piede in Istria da sessantasei anni. Era nato lì, nel 1934, quando le sirene suonavano più spesso dei campanelli e il confine tra casa e campo di battaglia era fatto di vetro e silenzi, un'infanzia passata con la paura come fedele ed indesiderata compagna di banco.

La sua famiglia se n'era andata come tanti altri, nel lungo esodo che aveva svuotato le coste istriane praticamente di  tutta la popolazione istro-veneta che lì ci stava da secoli; avevano lasciato la loro casa a Pola, in fretta, tra le lacrime, le minacce e le promesse poi infrante dal trattato di pace del 1947 che cedeva definitivamente Pola alla Jugoslavia.

Quel giorno del febbario 1947, quando la porta del giardino di casa si era chiusa per sempre dietro a lui e ai suoi genitori, si era sentito come se i denti aguzzi di un serpente velenoso lo avessero morso dappertutto.

Da allora, Giacomo aveva portato quel ricordo come un dolore nascosto, davvero come un morso nella carne che non guariva mai del tutto.

Quando arrivarono in Italia, non furono accolti con abbracci.

Erano in tanti, famiglie intere che sbarcavano con due valigie, un fazzoletto al collo e il dolore tra le scapole ma per molti italiani, erano solo ospiti indesiderati, di nuovo considerati stranieri a casa loro; li guardavano con sospetto, parlavano un dialetto diverso, avevano nomi che suonavano sbagliati e dicevano che venivano a togliere il pane ai residenti, a contendersi case e lavori in un Paese che non aveva più nulla. Alcuni li chiamavano fascisti, senza sapere nemmeno chi fossero.

Giacomo aveva 13 anni quando li trasferirono da un campo profughi all'altro: ricorda l’umidità, il rumore dei pianti nei dormitori, le madri silenziose, e i padri con la rabbia compressa nel petto. Anni dopo, capì che quello non era solo esilio: era diventata una forma di colpa ereditata, qualcosa che doveva spiegare ovunque andasse.

Fu solo quando arrivarono in Sardegna, nella borgata di Fertilia, che la vita cominciò lentamente a ricostruirsi. Un borgo fondato pochi anni prima, dove si parlavano mille accenti. Là trovarono una casa vera, un campo da coltivare, una scuola per lui, ma il dolore non era scomparso: aveva solo messo radici più in profondità.

L’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, nel 2013, gli aveva dato il pretesto – o forse il coraggio – di tornare, non per cercare risposte ma solo un contatto con il passato. La sua vecchia casa era ancora lì, riconoscibile nonostante gli anni. Il giardino aveva cambiato volto, ma la pietra del muro esterno era la stessa. Rimase lì, fermo, davanti al cancello, come se guardare potesse bastare a colmare una vita.

Un rumore lo scosse, un uomo uscì dalla casa, visibilmente infastidito e aveva una faccia larga, bruciata dal sole, lo sguardo carico di diffidenza.

«Što radiš ovdje?» chiese in croato, la voce tesa.
("Che cosa ci fai qui?")

Giacomo si voltò lentamente. Il cuore gli batteva forte, ma volle rispondere con quel po' di croato che ricordava e che aveva imparato naturalmente a Pola durante l'infanzia assieme all'italiano, la sua lingua madre.
«Ja... ja sam bio ovdje... nekad. Ovo je bila... moja kuća. Moj otac...»
("Io... io sono stato qui... un tempo. Questa era... la mia casa. Mio padre...")

L’uomo lo fissò per un attimo. Un silenzio teso cadde tra loro. Poi parlò, con voce dura ma contenuta:
«Vaša kuća? Ovo je Hrvatska! Znaš li što su nam učinili Talijani? Moj djed je umro u zatvoru. Moja baka je bila gladna. Bio je to pakao.»
("La vostra casa? Questa è Croazia! Sai cosa ci hanno fatto gli italiani? Mio nonno è morto in prigione. Mia nonna ha patito la fame. È stato un inferno.")

Giacomo ascoltò in silenzio, il volto scavato da pensieri lontani. Poi parlò in italiano pacato.
«Non voglio negare nulla. Ma credi davvero che fosse giusto rispondere con altra violenza? Che tutti gli italiani d’Istria meritassero quella sorte? Anche i bambini, anche chi non aveva colpe?»

L’uomo scosse il capo, capiva l'italiano e rispose in croato, con gli occhi che sembravano essere diventati come le feritoie dei castelli da cui spuntano le canne dei cannoni.

«To je zakon povijesti. Tko sije vjetar, žanje oluju. Tko pobijedi, ima pravo. Ako tražiš krivce, traži ih u Italiji — među onima koji su posijali taj vjetar fašizma.»
("È la legge della storia. Chi semina vento raccoglie tempesta. Chi vince ha sempre ragione. Se cerchi colpevoli, cercali in Italia — tra quelli che hanno seminato quel vento del fascismo.")

Giacomo abbassò lo sguardo. Il peso di quelle parole non era nuovo. Lo portava dentro da decenni. Un veleno che non bruciava più con violenza, ma che dentro gli aveva indebolito tutto: il respiro, i ricordi, la lucidità. Ogni tanto si ritrovava in un posto senza sapere perché, a parlare e non trovare le parole giuste. Come ora.

«Volevo solo vedere il giardino. Un’ultima volta,» disse.

L’uomo non rispose. Lo guardò un momento, poi si voltò e rientrò in casa. Non c’erano saluti. Ma neppure urla. Solo una porta che si richiudeva dietro decenni, o forse secoli di rancori.

E di nuovo gli parve di sentir penetrare nella carne i denti aguzzi dello stesso serpente che lo aveva morso nel febbraio 1947 instillando in lui quel veleno che lo aveva intossicato per tutta la vita. 

Giacomo si allontanò piano ma quando arrivò in fondo alla via, si voltò.

Un bambino correva sul marciapiede, rincorrendo un pallone, come era solito fare lui tanti anni prima nelle via di Pola.

Si fermò un attimo davanti al bambino, con il fiatone, e lo fissò: il ragazzino gli sorrise, con la naturalezza disarmante di chi non conosce ancora il peso della storia,  un sorriso senza bandiere, senza schieramenti, senza colpe.

Giacomo trattenne il respiro, forse era così che il veleno avrebbe finalmente smesso di avvelenare ogni cosa.
Non oggi, non domani. Ma quando i nipoti di quel bambino, e i nipoti del nipote di Giacomo, avessero saputo perdonare le colpe dei loro nonni.
Forse allora il veleno di quel serpente, di quel mostro senza nome, si sarebbe dissolto davvero.

mercoledì 28 maggio 2025

LA CREPA NELLA LIBERTY BELL

Philadelphia quel giorno sembrava più antica del solito, l’asfalto tremolava per il calore, e l’Independence Hall si stagliava davanti ad Andrés come una sentinella della memoria; la Liberty Bell, immobile sotto il suo vetro, sembrava attenderlo da un bel po'.

Non sapeva bene perché fosse lì: forse perché era il 4 luglio, forse perché, dopo cinque anni in America, sentiva il bisogno di capire davvero cosa avesse guadagnato — e cosa avesse perso — in nome di quella parola che aveva portato nel cuore: libertà.

Guardò la campana: una crepa netta, non nascosta, non riparata ma esibita, come se volesse dire che ciò che è spezzato può ancora suonare.

Pensò: tutti cerchiamo la libertà.
Lui l’aveva inseguita dal Messico, da casa sua a Tulum, fino a quel marciapiede di mattoni rossi; l'aveva immaginata lungo quell'interminabile viaggio dal mar dei caraibi nel cassone di un furgone che l'aveva fatto sconfinare in Texas, l’aveva desiderata quando lavava piatti in silenzio nel risorante di Pedro a Philadelphia, invocata nei giorni in cui temeva che un documento sbagliato lo rispedisse indietro, l’aveva sognata da stanco, mentre fissava il soffitto di una stanza in affitto.

Ricordava la Tulum della sua infanzia: il mare turchese, il profumo dei tacos al pastor all’angolo, le serate in cui la sua abuela gli parlava dei sogni che volano più in alto dei muri. "Todos buscan la libertad", gli diceva ma nessuno gli spiegava mai cos’era davvero.

Ma quante volte l’aveva anche gettata via? Quante volte l’aveva sentita pesare addosso come una colpa? Quante volte si era chiesto se valesse la pena continuare a cercarla?

Poi arrivò il pensiero più difficile.

Che cos'è davvero ciò che cerchiamo, desideriamo, invochiamo, sogniamo… e che a volte pure gettiamo via?

Non era un documento. Non era un permesso di soggiorno. Non era neppure un lavoro fisso.

Era potersi addormentare senza paura del domani.
E senza rimpianto del passato.

Un pensiero semplice, eppure gli sembrava rivoluzionario.

Ricordò i giorni passati nei corridoi dell’ufficio immigrazione. Ore in piedi, attese infinite, occhi che lo scansionavano come se dovessero valutarne il valore. Nessuno si domandava chi fosse. Solo cosa fosse: uno straniero, un numero. Anche quando faceva tutto secondo le regole, bastava un errore di stampa, una virgola fuori posto, per sentirsi cancellato e sentiva che non c’era niente di più ingiusto di dover provare ogni giorno di meritare il diritto di restare.

E poi, c’era l’altra faccia della medaglia: quella di chi si diceva “accogliente”, ma solo se poteva guadagnarci. Associazioni, datori di lavoro, mediatori: in tanti si dicevano pronti ad aiutarti, ma a condizioni precise, poca vera solidarietà, solo transazioni ben mascherate con i sorrisi; aveva imparato presto a distinguere coloro che tendevano la mano per aiutare davvero da chi lo faceva invece per stringere un guinzaglio, per ricavare un profitto o un tornaconto personale.

Un dolore diverso, più intimo, invece lo pungeva altrove: veniva da volti familiari, da certi connazionali che arrivavano e non volevano capire il luogo in cui si trovavano, che rifiutavano la lingua, le regole, la cultura.
Che al posto dell’impegno, sceglievano la scorciatoia.
Che rubavano, mentivano, si infilavano nei giri sbagliati c che poi si lamentavano urlando di non essere accolti.

Andrés non li giudicava con superiorità ma con rabbia, e con dolore, perché ogni errore di chi arrivava e sbagliava ricadeva anche su di lui: ogni furto, ogni rissa, ogni abuso veniva usato come scusa per diffidare anche dei tanti come lui che lavoravano onestamente.

“Uno di loro”, dicevano. E in quel loro, finiva anche lui.
Uno di quelli.
E non c’era curriculum, stipendio, gentilezza che bastasse a fargli guadagnare fiducia.

Sentiva crescere un rancore amaro verso chi, per pigrizia o arroganza, distruggeva l’immagine di una comunità intera.
La libertà — lo sapeva bene — non era un diritto automatico, era una responsabilità e se lui poteva ancora sperare, era solo perché aveva scelto di rispettare, di costruire e di appartenere.

Guardò di nuovo la campana.

Quella campana, pensò, aveva suonato per annunciare un passo fondamentale verso la libertà. Era stata la voce di una nazione che si staccava dall’oppressione, aveva chiamato a raccolta uomini in fuga dalla povertà, dalle monarchie assolute, dall’odio, dai pogrom e aveva dato speranza a gente che era stata umiliata in Europa. 

Molti degli avi di chi oggi lo discriminava erano venuti qui perché perseguitati, affamati, esclusi.

Erano stati degli esuli, dei profughi. Come lui.

E adesso — ironia amara — i discendenti di quegli stessi fuggiaschi si ergevano a guardiani di un’identità che non era mai stata davvero loro, se non per concessione della memoria.

La verità, però, era che nessuno nasce libero: la Libertà, quella vera, si paga con la fatica e con la pazienza, spesso con la solitudine.

Andrés chiuse gli occhi. Non sperava più in un momento in cui tutto sarebbe andato al suo posto ma desiderava ancora, profondamente, qualcosa di semplice e impossibile: addormentarsi una notte senza temere il giorno dopo,  senza dover pensare al permesso di soggiorno in scadenza, al contratto da rinnovare, alla voce che lo tradiva quando cercava di sembrare sicuro.

Solo quello.
Un sonno che non fosse interrotto dall’ansia, dal rancore o dalla troppa nostalgia e dal rimpianto.
Una tregua.

Chissà se sarebbe mai arrivata.
Chissà se quella libertà che tutti nominano ma pochi comprendono esisteva davvero per qualcuno come lui.

Forse sì.
O forse era solo un’illusione ben educata, messa lì per impedire alla disperazione di prendergli tutto.

Aprì gli occhi.
La Liberty Bell era lì, inchiodata nel suo silenzio.
La crepa sembrava più profonda, adesso. 

Più sincera.

Non sapeva cosa aspettarsi dal futuro ma almeno aveva capito cosa voleva.

E quel desiderio — anche se non gli dava pace — lo teneva vivo.

Forse era poco.
Ma era tutto ciò che aveva.



martedì 27 maggio 2025

BIGLIETTI A BELGRADO



Ogni  mattina, prima che il sole spuntasse sullo skyline irregolare di Belgrado, Lazar usciva dalla sua piccola stanza in affitto nel cuore di Dorćol, uno dei quartieri più antichi e vivi della città.

L’aria era fresca, intrisa di umidità e del profumo pungente del Danubio che si mescolava a quello più dolce delle prime panetterie che aprivano lungo le vie acciottolate.
La città sembrava sospesa, avvolta da un velo di calma fragile come un respiro trattenuto.

I lampioni ancora accesi gettavano una luce arancione che sfumava piano verso l’azzurro nascente del cielo, mentre le prime rondini tracciavano traiettorie nervose sopra i tetti rossi dei palazzi ottomani e austro-ungarici.
Lazar camminava lentamente, assaporando ogni suono: il rumore dei passi sui sampietrini, lo scricchiolio di qualche porta di legno, il lontano canto di un venditore di giornali.

Quella città, con i suoi contrasti marcati, era il suo mondo. Un mondo fatto di strade larghe dove i tram cigolavano, di bar all’aperto dove uomini anziani giocavano a carte con la tensione di chi custodisce segreti antichi, di muri coperti di graffiti che raccontavano rivolte, sogni e speranze mai sopite.

Il ponte Brankov si stagliava maestoso davanti a lui, un arco di metallo che univa due rive separate ma inseparabili, proprio come la sua vita: divisa a lungo tra il desiderio di andare via e il bisogno profondo di restare.

Salì sul battello turistico che quel giorno avrebbe fatto la sua solita mini-crociera sul Danubio e sulla Sava. Il sole si alzava in un cielo che si tingeva di arancione e rosa, e il riflesso dorato sull’acqua calma pareva quasi irreale.
I turisti salivano con valigie leggere e macchine fotografiche al collo, pieni di aspettative e meraviglia. Lazar, in uniforme blu, timbrava i biglietti con un gesto quasi rituale, sentendo la vibrazione metallica del dispositivo sotto le dita, come il battito silenzioso di quella giornata che cominciava.

Faceva il bigliettaio sul battello turistico da sette anni.
Non era una vocazione, né un incidente, era semplicemente accaduto.
Eppure, negli ultimi tempi, Lazar si interrogava con più lucidità, non tanto sul lavoro in sé, ma su quella lunga permanenza.
Perché era rimasto davvero?

Mentre il battello scivolava sull’acqua, la mente di Lazar si perdeva nei ricordi e nelle riflessioni che quel lavoro semplice e ripetitivo aveva fatto emergere in lui.
Pensava a quel regalo prezioso: il piccolo quaderno con la poesia scritta dal professor Novak il giorno della sua laurea.

Il professore non gli aveva mai detto chi fosse l’autore, né se fosse una sua composizione personale.
Lazar aveva cercato quei versi per anni, senza trovare traccia né in libri né in internet; quella poesia, misteriosa e sospesa, era diventata senza saperlo la sua guida invisibile, un’ancora segreta.

Живети је пробудити се у зору,
мислећи да једног дана
више неће бити.

Vivere è svegliarsi all’alba,
pensando che un giorno
non succederà più.

Poi il professore era partito. Venezia.
Una cattedra in letteratura serba, un nuovo pubblico a cui raccontare le storie di una lingua minore, ricchissima e ferita: insegnava letteratura serba a studenti italiani che amavano Ivo Andrić e Desanka Maksimović senza mai aver camminato per Knez Mihailova o sentito l’odore delle pljeskavice a Skadarlija.

Lazar era rimasto.

Prima aveva detto che avrebbe trovato “qualcosa nel suo campo”. Poi era arrivata la malattia della madre. Poi le bollette, poi l’urgenza.
Il battello era stato un compromesso che si era trasformato in abitudine, prima per aiutare sua madre, poi per i conti, per la stabilità ma ormai quei motivi erano svaniti o si erano trasformati. E lui invece era ancora lì.

All’inizio si era detto che non aveva avuto scelta.
Pensò ancora ai suoi genitori, ai vicini, alla signora del panificio che gli lasciava sempre un pezzo di burek in più, ora sapeva che le scelte non si fanno sempre gridando. A volte si compiono restando fermi, senza clamore, resistendo.

Quelle parole gli tornavano in mente ogni mattina, mentre osservava l’alba sul Danubio, fragile e irripetibile come un momento sacro mentre il profumo del caffè appena fatto, mescolato a quello intenso del pane tostato, si diffondeva dalle piccole caffetterie lungo la riva.

Sul battello, osservava invece i turisti come fossero apparizioni.

Alcuni ridevano forte, altri restavano in silenzio con lo sguardo immerso nell’acqua.
Ogni tanto, un bambino gli chiedeva se il Danubio finisse davvero nel mare, o se portasse in un posto segreto.

A volte Lazar si lasciava andare al pensiero che, se fosse salito lui per primo su quel battello, non ne sarebbe mai più sceso.
Forse il fiume lo avrebbe condotto lontano da Belgrado.
O forse no: forse lo avrebbe riportato sempre qui, come un elastico invisibile.

Belgrado non era una città facile.
Aveva la bellezza scomoda delle cose che non si vendono subito: era sporca, rumorosa, ma anche viva come poche; il suo cielo cambiava colore ogni mezz’ora, e l’odore dei tigli in giugno si mescolava a quello della birra e del tabacco.
In certi tramonti, quando il sole si adagiava sulle facciate scrostate dei palazzi di Dorćol, sembrava di essere dentro un film degli anni ’70.
E Lazar, in quei momenti, si sentiva pienamente lì, come se il suo tempo valesse davvero.

Lazar amava quella sensazione di fatica mista a pace, il corpo stanco e la mente limpida come quella “aurora estiva sulla battigia” descritta nella poesia.

Живети је легнути
с телом олабављеним од умора
и умом јасним
као летње зоре на обали.

Vivere è coricarsi
con le membra sciolte dalla fatica
e la mente limpida
come l’aurora estiva sulla battigia.

A volte si sorprendeva a pensare alle tante generazioni prima di lui, costrette a lasciare la città per guerre e povertà, senza mai poter tornare al proprio porto e che avrebbero fatto carte false pur di restare.
Suo nonno Milan, con gli occhi segnati dalla guerra, era uno di quei fantasmi gentili che aleggiavano nella sua memoria.

Живети је знати
да те неко негде
далеко или близу
чека
тражи
мисли о теби.

Vivere è sapere
che qualcuno in qualche posto
lontano o vicino
ti sta aspettando,
ti sta cercando,
ti sta pensando.

Ma chi era quel qualcuno per lui?
Forse non una persona, ma Belgrado stessa, con i suoi ponti, le sue piazze, i suoi rumori e i suoi silenzi.
Belgrado che lo aveva accolto e trattenuto, che gli offriva un porto sicuro, nonostante tutto.

Живети је заспати
са чистом жељом
да зора што пре дође.

Живети је остати будан
са чистом жељом
да зора никад не дође.

Живети није сан,
већ дело.

Vivere è addormentarsi
con il desiderio puro
che l’alba arrivi presto.

Vivere è rimanere sveglio
con il desiderio puro
che l’alba non arrivi mai.

Vivere non è sogno,
è azione.

Aveva pensato spesso di partire.
Andare anche lui a Venezia. Scrivere al professore. Iniziare qualcosa di nuovo.
Ma ogni volta che ci pensava davvero, sentiva una voce dentro che gli chiedeva: partire per dove, se non sai più da dove vieni?

Belgrado non lo aveva mai lasciato andare.
E lui, forse, non aveva mai davvero voluto andarsene.

In quel pensiero, Lazar trovava finalmente la sua verità: non era il viaggio a definire un uomo, ma la consapevolezza del porto al quale tornare: chi parte senza radici è un vagabondo o peggio ancora un profugo o un esule; solo chi sa di avere una casa può essere un marinaio.

La barca scivolava lenta tra le acque tranquille, Belgrado era intorno a lui, con i suoi odori, i suoi suoni, la sua luce.
Lazar timbrava l’ultimo biglietto della giornata, sentendosi fortunato di poter vivere un tempo che, seppur semplice, era suo.

Si sedette infine al molo, con il quaderno sulle ginocchia.
Un ultimo sguardo al cielo che si tingeva d’oro e speranza.
Era consapevole di amare quella città, più di quanto avesse mai immaginato, e che forse proprio quel legame lo aveva tenuto qui, contro ogni dubbio.

Rimanere, pensò, era la sua più grande avventura.

lunedì 26 maggio 2025

LA BRECCIA DI CAMBRIDGE

Università di Cambridge, novembre.

Cambridge, in autunno, pareva un luogo trattenuto tra due secoli.
Le guglie gotiche dei college emergevano appena dalla nebbia, come se non volessero essere del tutto presenti, né completamente dimenticate. Il fiume Cam scorreva lento e silenzioso sotto i ponti in pietra, riflettendo luci tremolanti come pensieri incerti.

Il professor Edward Scott-Alcott, storico della seconda metà del Novecento, saliva ogni giorno le scale della biblioteca del Magdalene College con il passo di chi porta con sé più memorie che oggetti. Nella sua borsa di cuoio: libri con le pagine annotate a matita, ritagli di giornale, bozze di saggi mai completati.

La sua stanza era una piccola navata privata della memoria: libri ovunque, mappe appese alle pareti, una scrivania massiccia sopra cui campeggiava, tra le carte, il manoscritto su cui lavorava da anni:

“Fratture della memoria: identità e conflitto nel secolo breve.”

Quel pomeriggio, entrò nel suo studio la studentessa Ava Rescott.
Zaino minimale, tablet tra le mani. Nessuna penna, nessun foglio.

«La mia tesina è pronta, professore. Ho condiviso il file: “Dalla notte al giorno? Retorica e realtà dopo la caduta del Muro di Berlino.”»

Scott-Alcott la ascoltava parlare con lucidità e freschezza di eventi che per lui erano carne viva. Lei citava dati, articoli, documenti digitalizzati, come se il Muro fosse solo un oggetto storico, e non una ferita ancora pulsante nella sua memoria.

Poi, come a caso, Ava chiese:
«Lei dove si trovava, quella notte del 9 novembre 1989?»

Edward la fissò per un istante.
«Ero qui. Seduto proprio a questa scrivania. Passai la notte a guardare la televisione. Berlino si apriva come un polmone dopo una lunga apnea. Le persone ridevano, si abbracciavano, ballavano sopra il cemento. E noi, da qui, pensavamo fosse l’inizio di un’epoca nuova. Una svolta definitiva.»

Fece una pausa.

«Credevamo che con il Muro crollasse anche la paura. La Guerra Fredda. Il rischio nucleare. La Storia stessa, intesa come conflitto. Un’illusione potente. Ma fragile.»

Ava annuì. Ma qualcosa nel suo sguardo tradiva distanza. Non indifferenza. Solo... un altro tempo.

E allora, come spesso gli accadeva in quegli incontri, Edward fu assalito da una sensazione antica.
Un vuoto intergenerazionale, profondo. La percezione che si stessero parlando da due estremità del tempo.

E tornò con la mente al passato. A quando era lui a sedere nei banchi.
Anche allora, i suoi professori raccontavano eventi grandiosi con voce solenne. La fine della Seconda guerra mondiale. I Trattati. La decolonizzazione.
Ma lui, giovane, voleva altro. Cercava parole che parlassero del presente, del caos, dell’urgenza.

"Li ascoltavo con rispetto," ricordò, "ma non li sentivo. Cercavo solo conferme alle mie idee. E adesso... fanno lo stesso con me."

Capì, in quel momento, che il ciclo si ripeteva.
Le generazioni si sfiorano come vetri appannati. Si osservano, ma non si toccano mai davvero.
Gli uni parlano al futuro. Gli altri, al presente. Sempre con lo stesso sguardo rivolto altrove.

Dopo che Ava se ne fu andata, lasciando sorprendentemente un taccuino cartaceo sulla scrivania, Edward lo aprì con curiosità.
Dentro, tra pensieri sparsi, lesse una breve poesia:

"Sogni vecchi e nuovi
che si rincorrono
senza fondersi
né trovarsi.
Mai."

Più tardi, camminando nel cortile interno del college, incrociò Dr. Nathan Clarke, collega più giovane, storico del digitale e dei media post-Guerra Fredda.

«Hai l’aria di chi ha appena rivisto Berlino Est,» disse Nathan, notando il suo volto pensieroso.

«In effetti. Ma non come la ricordavo.»

«Studentessa brillante?»

«Sì. Ma mi ha fatto sentire… un soprammobile del passato.»

Nathan rise piano.
«Benvenuto nel club.»

Camminarono lungo il fiume. Il vento muoveva piano l’acqua, come se anche lei cercasse una direzione. Le luci dei lampioni tremolavano come ricordi.

«Quando ero giovane,» disse Edward, «mi sembrava che i miei professori parlassero da un altro mondo. Li ascoltavo, ma aspettavo solo che finissero, per dire la mia. Ora, mi accorgo che Ava mi guarda nello stesso modo. Non con disprezzo. Ma con la stessa attesa. E io non so più cosa dire.»

Nathan si fermò.
«Ed, forse non dobbiamo parlare. Forse dobbiamo solo esserci. Rappresentare il tempo. Il passato non serve per spiegare, ma per dare spessore al presente. I giovani non ci devono capire. Solo riflettere, per un istante.»

Edward abbassò lo sguardo.
«E se non riflettono? Se scorrono via come il Cam, e non si voltano più?»

Nathan gli mise una mano sulla spalla.
«Allora lasciamo i nostri libri lì, come pietre nel fiume. Qualcuno, prima o poi, ci inciampa.»

Quella sera, Edward rientrò nel suo studio.
Riaprì il manoscritto.

Sotto il titolo, scrisse una nuova frase, senza pensarci troppo:

“Il futuro ci ascolta solo per un attimo. Poi ci dimentica. Ma quell’attimo vale il nostro silenzio.”

E per la prima volta da mesi, sentì che stava davvero scrivendo qualcosa che restava.






venerdì 23 maggio 2025

UNA STAGIONE DA PROTAGONISTI, OLTRE IL RISULTATO

Per il terzo anno consecutivo, il campionato di A2 della Gesteco Cividale si è concluso al primo turno dei playoff E ancora una volta, l’epilogo è stato amaro: il tiro “preghiera” di Francesco Ferrari sulla sirena di gara 5 contro Forlì si infrange sul ferro, negando ai gialloblù l'accesso a una storica semifinale.

A differenza delle edizioni precedenti – la sfortunata eliminazione contro Cantù nel 2024 e la beffa contro Udine nel 2023 – questa volta il rimpianto è più profondo: la squadra di Pillastrini si era portata sul 2-0 nella serie e godeva del fattore campo, ma Forlì ha saputo rimontare, approfittando anche delle difficoltà fisiche di Cividale.

La malasorte ha fatto la sua parte: l’infortunio muscolare di Doron Lamb a gara 4, le condizioni precarie di Redivo, le assenze per infortunio di Miani e Mastellari nel cuore della stagione, ma anche Forlì era priva di due pedine fondamentali come Perkovic e Magro: insomma, il copione non può essere attribuito solo al destino.

Il pubblico in ogni caso ha salutato con applausi scroscianti il finale del match, tributando il giusto riconoscimento ad un gruppo capace di regalare una stagione ricca di tante soddisfazioni.

Una stagione ad alta quota

Infatti, guardando al quadro generale, il bilancio è decisamente positivo. In un campionato a 20 squadre considerato tra i più competitivi degli ultimi 15 anni, la Gesteco ha saputo imporsi come una delle protagoniste assolute.

Grazie al mantenimento quasi integrale del gruppo che aveva chiuso in crescendo la scorsa stagione, Cividale ha iniziato con nove vittorie consecutive, restando a lungo nella scia del battistrada Rimini e conquistando il quarto posto al termine del girone d’andata. Questo ha garantito l’accesso alle Final Four di Coppa Italia, culminate in finale contro Cantù, persa ma giocata con onore.

Tra i momenti da incorniciare: la vittoria interna contro la corazzata APU Udine, destinata a dominare la regular season e a guadagnarsi la promozione diretta in Serie A. Una vittoria che ha avuto un significato simbolico importante, non solo per il valore tecnico dell’avversario, ma per il clima rovente in cui è maturata.

Un gruppo che non ha mollato mai

La seconda parte di stagione è stata più complessa, segnata da un calendario fittissimo e da infortuni in serie. Il contraccolpo della sconfitta in Coppa Italia ha fatto perdere posizioni in classifica, tanto da mettere a rischio la qualificazione diretta ai playoff,  ma la squadra ha reagito da grande gruppo, stringendo i denti e conquistando successi pesanti sui campi di Brindisi e Bologna, chiudendo al quinto posto finale.

In totale: 26 vittorie su 45 partite ufficiali tra campionato, Coppa e playoff. Una continuità importante, impreziosita da successi contro tutte le big della stagione, sia in casa che in trasferta.

Uno sguardo al futuro

Ora si apre una fase di riflessione e probabile rinnovamento. Con diversi contratti in scadenza, è lecito attendersi una sorta di rifondazione. Il progetto tecnico rimane però saldo nelle mani di Stefano Pillastrini, che ha firmato un rinnovo triennale e sarà il timoniere della prossima fase di crescita del club, verosimilmente con nuovi giovani da lanciare.

La Marea Gialla: passione, correttezza e identità

In una stagione così intensa, un capitolo a parte merita il pubblico. La Marea Gialla, Passione Ducale e la Brigata Rualis hanno rappresentato il cuore pulsante del progetto. Sempre presenti, ovunque, con calore, correttezza e spirito sportivo.

Non solo numeri: il tifo di Cividale si è distinto per educazione e maturità, anche nei momenti più caldi. Né le provocazioni lanciate dalla tifoseria dell’APU Udine – con striscioni esposti sia a via Perusini che al Carnera – né i comportamenti discutibili di alcuni tifosi forlivesi a gara 5 hanno scalfito la compostezza del tifo gialloblù.

Un esempio di sportività autentica che ha riscosso consensi in tutta Italia, anche tra i supporter avversari. L’esodo a Bologna per la Coppa Italia e l’impresa dei tifosi in bicicletta fino a Brindisi resteranno per sempre nella memoria collettiva della stagione.

Un patrimonio culturale ed emotivo, quello della tifoseria ducale, che la società del Presidente Micalich ha la fortuna – e la responsabilità – di custodire con cura. Un vero “Tempietto Longobardo” del tifo, da tramandare e proteggere

giovedì 22 maggio 2025

SPENTE LE LUCI SULLA STAGIONE: TEMPO DI BILANCI E PAGELLE

Per il terzo anno consecutivo il campionato di A2 per la Gesteco Cividale si è concluso al primo turno dei play-off con lo sfavore degli Dei del Basket, che non  hanno premiato il tiro preghiera di Francesco Ferrari sul filo dell'ultima sirena e permesso ai gialloblù di sfatare la tradizione negativa e accedere per la prima volta alle semifinali.

Rispetto ai due precedenti sfortunati, i tiri di Redivo sul ferro che nega gara 5 contro Cantù nel 2024  e nel 2023 il passaggio del turno a spese di Udine, in questa occasione riferisrsi solo agli Dei malevoli sarebbe riduttivo, perhè i ragazzi di Pillastrini erano riusciti a conquistarsi il vantaggio del fattore campo e si erano trovati a condurre la serie contro Forlì per 2-0 prima di subire la rimonta.

Certo, la "malasuerte" non si è dimenticata dei ducali neanche in questa post season, privando i gialloblù dell'apporto di Doron Lamb sul più bello e costringendo Lucio Redivo a giocare una serie condizionato fisicamente e ben lontano dal migliore stato di forma, ma se questo é vero è pur altrettanto vero che gli sfidanti sono arrivati a gara 5 senza poter contare su due uomini del peso specifico di Perkovic e Magro.  

Per cui al gong finale, in mezzo agli scroscianti e convinti applausi tributati da tutto il Palazzetto ai ragazzi di Pillastrini per l'ennesima stagione oltre le attese, si è mescolata una delusione che non era quella degli anni passati, quando il passaggio del turno non era nelle aspettative di nessino, quanto piuttosto l'amaro sapore di un'occasione persa. 

Nonostante lo sfortunato epilogo, in ogni caso anche questa volta c'è poco spazio per recriminazioni sulle rive del Natisone, ma tanti applausi per i protagonisti di un'altra annata da ricordare per le Aquile del Presidente Micalich, capaci di condurre una stagione da protagonisti assoluti in un campionato a 20 squadre, altamente competitivo e con un livello decisamente più elevato rispetto ai precedenti. 

Cividale, grazie al mantenimento quasi totale del roster che molto bene aveva fatto nella seconda parte del torneo 2023/24, ha disputato una prima parte di stagione rimanendo ancorata quasi per tutto il girone d'andata al battistrada Rimini, mettendo assieme una striscia di 9 successi consecutivi e guadagnando il quarto posto che è valso la qualificazione alle final four di Coppa Italia accarezzando il sogno di poter vincere addirittura il trofeo, avendo poi i gialloblù conqistato la finale, persa contro la corazzata Cantù.

In questa fase della stagione pure la fuoriserie APU Udine ha pagato dazio in via Perusini.

Ha poi fatto seguito una seconda parte di stagione con il mirino sulla coppa Italia, in cui la Gesteco ha patito gli effetti di infortuni che hanno colpito a turno e a lungo uomini chiave - vedasi Miani e Mastellari -  e poi minato a lungo andare le prestazioni del Sindaco Redivo, oltre che ad un fisiologico calo di forma, visto il format di una stagione che per lunghi tratti prevedeva gare praticamanete ogni 3 giorni.

Smaltita la delusione della sconfitta nella finale di coppa Italia che ha fatto perdere alcune posizioni di classifica mettendo ad un certo punto a rischio la partecipazione diretta al play-off, i gialloblù hanno saputo stringere i denti e "tirare fuori gli artigli" nelle ultime giornate, conquistando il quinto posto finale, andando a vincere su campi di dirette concorrenti come il Pala Pentassuglia di Brindisi e poi al PalaDozza, nella tana della Fortitudo.

Oltre al ruolino finale che dice 26 vittorie sulle 45 gare complessive disputate tra campionato (38) Coppa Italia (2) e playoff (5), cito due dati per far comprendere come la stagione gialloblù debba rimanere nella memoria ben più dello sfortunato epilogo della post season con cui ho aperto questo pezzo.

Udine, che ha stravinto il campionato guadagnandosi con pieno merito l'agognata promozione diretta al piano di sopra, ha perso 8 partite su 38: una sola in casa con Brindisi e poi fuori sempre a Brindisi, Forlì, Livorno, Orzinuovi, Rimini, Cividale e Bologna tutte gare invece vinte dai ragazzi di Pillastrini che, fuori casa contro le prime 13 della regular season hanno perso solo a Udine, Verona, Cantù (di 1punto), Pesaro, Rieti e Milano (al supplementare) battendo poi a Cividale tutte le prime 6 della classifica generale finale.

Prima di mandare in archivio definitivamente la stagione della maturità, tradizionalmente sempre più ostica e complessa rispetto a quelle dei debutti e prima di iniziare il meritato riposo che farà da preludio al lavoro della dirigenza ducale per "partorire" il roster che dovrà consolidare verso l'alto il volo delle Aquile nella prossima seria A2 2025/26, concludiamo con un "pagellone" per tutti i protagonisti dell'annata 2024/2025. 

L'impressione è che probabilmente per diversi di loro sia stata l'ultima stagione in maglia gialloblù e che ci si dovrà aspettare una sorta di "rifondazione" per far partire un nuovo ciclo, ma di questo ci sarà modo di scrivere e parlare, a ragion veduta, nel prossimo futuro.

In ordine di numerazione.

DERRICK MARKS 5

Arrivato in estate da Rimini per sostituire Doron Lamb, la guardia americana tradisce le aspettative pur partecipando alla serie iniziale di 9 successi consecutivi dei gialloblù, ma disputando tutte le gare fino alla sfida esterna contro l'Urania Milano senza mai dare l'impressione di essersi davvero integrato negli schemi di Pillastrini.

Troppi sono i match giocati "senza infamia" ma con ben poche lodi e così la dirigenza ducale, alla vigilia della gara interna pre-natalizia con Orzinuovi decide di rinunciare alle sue prestazioni per richiamare Doron Lamb sulle rive del Natisone.  

DORON LAMB 7

Richiamato tra l'entusiasmo generale a Cividale prima di Natale, impiega diverse gare prima di "carburare" e diventare di nuovo un punto di forza del roster ducale. 

L'indiscusso talento dell'americano ha permesso al coach di disporre nuovamente di alternative efficaci nel gioco d'attacco, in modo particolare nel periodo in cui sono calate le prestazioni di Lucio Redivo, anche se non ha avuto lo stesso impatto della stagione scorsa, dovendo fare i conti con un'autonomia limitata da condizioni fisiche non sempre ottimali e pure colpito dalla sfortuna a gara 4 dei play-off, quando un infortunio muscolare lo mette fuori dai giochi in un buon momento di forma.

Mezzo punto in meno per la discontinuità, prestazioni invece da ricordare la semifinale di Coppa al PalaDozza contro Rimini e gara 1 contro Forlì nel play-off, quando ha fatto vedere lampi di purissima classe.

LUCIO REDIVO 7

Stagione dai due volti per l'asso di Bahia Blanca: ad una prima giocata da par suo, lunga fase culminata nella sontuosa prestazione impreziosita da 38 punti contro Pesaro nell'ultima del girone d'andata e che vale la qualificazione alle Final Four di coppa Italia, ne segue una seconda in cui l'apporto dell'argentino cala vistosamente.

Bersagliato da infortuni e affaticamenti muscolari a ripetizione non riesce più a dare l'apporto a cui aveva ben abituato compagni e tifoseria; resta sempre un pericolo costante per le difese avversarie che lo marcano a vista spesso raddoppiando su di lui, talvolta però eccede nei tiri "ignoranti" senza la precisione dei tempi migliori. 

Il voto finale tiene conto dell'andamento ambivalente, l'impressione è che debba essere recuperato anche per il notevole logorio psicofisico accumulato giocando praticamente senza soste negli ultimi 2 anni tra voli transatlantici e impegni della nazionale. 

GABRIELE MIANI 6,5

Il lungo di Codroipo si è confermato certamente uno dei prospetti più interessanti della categoria quale giocatore eclettico, con molte frecce nell'arco: efficace a rimbalzo, buon tiro dai 6,75 e con movimenti letali sotto il canestro avversario, ma l'infortunio subito a fine novembre alla schiena contro la Fortitudo ne ha condizionato pesantemente tutto il resto della stagione.

Costretto a saltare molte gare e molti allenamenti, il suo apporto nella seconda parte del campionato è stato chiaramente discontinuo, dove sono emersi ancora i nodi su cui deve lavorare per diventare un top player, come la gestione dei falli e i "passaggi a vuoto" all'interno dello stesso match.

MARTINO MASTELLARI 6,5

Anche lui bersagliato ripetutamente da malanni muscolari tutte le volte che era entrato nella migliore condizione, ha potuto così a dare solo a singhiozzo l'importante apporto di punti quale "tiratore di striscia", ovvero la sua caratteristica più significativa. 

Dolorosa la sua assenza alle final four di Coppa Italia, decisivo in gara 2 del play-off, quando da solo porta in dote i tiri e i punti che mancano da Lamb e Redivo.

Si ripete in gara 4 alimentando la rimonta finale che però non si concretizza nelle ultime battute.

MICHAEL ANUMBA n.g.

La guardia arriva da Pistoia a stagione avanzata per allungare il roster assottigliatosi per via degli infortuni di Miani e Mastellari e rinforzare le rotazioni, viste le perduranti imperfette condizioni di Redivo.

Stenta parecchio ad inserirsi nei giochi e il coach Pillastrini gli concede alla fine poco spazio, rimanendo così una sorta di "oggetto misterioso".

A parte un buon match disputato nel finale travolgente in semifinale di coppa contro Rimini, non lascia tracce significative nei referti per ottenere una valutazione.

EUGENIO ROTA 7

Il capitano raggiunge e supera le 200 presenze in maglia gialloblù, diventando l'unico a disputare tutte le partite delle Eagles nei 5 anni di storia della società ducale e meritandosi la conferma per altre due stagioni in via Perusini.

Nella prima parte della stagione ricopre con profitto un ruolo simile a quello del torneo precedente, entrando in corso d'opera in rotazione con Redivo e Lamb, mentre nella parte finale viste le imperfette condizioni fisiche di molti suoi compagni vede crescere considerevolmente il suo minutaggio, con il coach che non rinuncia mai all'apporto del suo capitano in tutti i finali incandescenti.

Mezzo punto in più per essere un'Aquila della prima ora, che incarna lo spirito gialloblù ed ha la maglia delle Eagles incisa come una seconda pelle, mai domo e incapace di ammainare la bandiera, quali siano le condizioni di gara. 

LEONARDO MARANGON 7

Arrivato da Padova a Cividale nell'estate 2023 con le credenziali di enfant prodige dopo essersi fatto notare nel campionato di B con l'oscar di miglior under 18 del torneo, il classe 2005 a fine della scorsa stagione viene premiato come miglior under 21 del campionato di A2.

Atteso quest'anno alla conferma e ad un'ulteriore salto di qualità, fatica nella prima parte a mantenere i livelli raggiunti mentre esce alla distanza nel parte finale della stagione, sopperendo al calo di energia di diversi compagni, bersagliati a turno da acciacchi vari. 

Fisicità, doti atletiche e coraggio abbondano, resta da migliorare la precisione al tiro e la capacità nelle scelte delle soluzioni offensive migliori, attitudine che benchè assai migliorata, resta talvolta ancora pregiudicata da troppa precipitazione.

Il tempo lavora sicuramente per lui.

MATTEO BERTI 5,5

Stagione tra alti e bassi per il centro di 2,12, che non fa mai mancare il suo impegno e le doti morali all'interno del gruppo ma non riesce a dare continuità al bel finale dello scorso campionato, riuscendo solo a sprazzi a risultare decisivo sotto le plance.

Fa sentire di più il suo peso in fase difensiva, dove però è spesso penalizzato dal metro arbitrale e da una difficile gestione dei falli.

Giocatore da rivalutare. 

FRANCESCO FERRARI 8

Arrivato in estate da Borgomanero anche lui con la fama di enfant prodige, alla prima stagione di A2 Francesco si conferma in toto come uno dei talenti nostrani più interessanti a livello nazionale, tanto da essersi già attirato l'attenzione del CT Pozzecco che lo convoca a febbraio, pur senza impiegarlo, nella nazionale maggiore. 

Vince il trofeo di miglior under 21 della stagione, sciorinando atletismo, energia, coraggio e doti tecniche che sotto l'abile guida di Pillastrini diventano un fattore spesso decisvo per le fortune delle Aquile, in modo particolare nel momento in cui Ferrari riesce a non far rimpiagere il compagno Miani quando questi resta a lungo fuori per il noto infortunio di fine novembre.

Da migliorare il tiro dalla lunetta, vero tallone d'Achille per tutta la stagione.

In riva al Natisone si augurano di vederlo almeno ancora un anno in gialloblù, dove il classe 2005 potrebbe disporre di un minutaggio sempre più importante ed in grado di levigare con i giusti tempi il diamante ancora grezzo del suo talento.

 GIACOMO DELL'AGNELLO 9

Jack è sicuramente quello che non solo ha confermato in toto tutte le belle cose fatte vedere lo scorso campionato ma addirittura ha migliorato le performance in maniera davvero importante, alzando anche i tentativi e le percentuali dall'arco.

Sempre presente, consolida in modo indiscutibile il ruolo di guida dello spogliatoio e offre un rendimento sopra la media con continuità in tutto l'arco della stagione, sia in difesa che in attacco. Giocatore che oltre alla garra sconfinata fa della capacità di leggere molto bene lo sviluppo delle fasi di gioco un vero punto di forza.  

In scadenza di contratto, ha sicuramente attirato su di sè l'attenzione di molte piazze importanti ed ambiziose che militano in A2, per cui la sua permanenza nella città ducale resta tutta da decifrare.

NICCOLO' PICCIONNE n.g.

Il play proveniente in estate da Ancona è sempre a referto, sono però troppo pochi i minuti che vengono concessi in prima squadra per poter valutare il terzo classe 2005 del Roster.  

STEFANO PILLASTRINI E STAFF 8

Diversamente dall'estate 2023, riparte dallo stesso gruppo che ha concluso in maniera brillante la stagione 2023/24 e la scelta paga alla grande per tutta la prima parte, quando maggior coesione rispetto ai competitors e squadra che lavora al completo senza intoppi fisici, portano le Aquile fino al secondo posto in classifica in un campionato di A2 a 20 squadre ritenuto, a ragione, il più difficile e competitivo degli ultimi 15 anni.

Gestisce al meglio i talenti di Marangon e Ferrari, garantendogli minuti veri e la possibilità di crescere senza essere appesantiti dalla pressione della piazza che deve vincere per forza tutte le partite.

Quando gli avversari di blasone e con rotazioni più ampie trovano la "quadra" e Cividale incomincia ad essere rimaneggiata a causa di infortuni a ripetizone, sa trovare i modi giusti per fare in modo che il gruppo non perda determinazione e riesce a rimanere sempre ancorato nelle posizioni di vertice.

Le final four di Coppa Italia che portano Cividale ad un passo dalla conquista di uno storico traguardo sono la perla della stagione, anche se in finale i suoi ragazzi non riescono ad andare oltre i propri limiti  nella finale contro Cantù.

Il contraccolpo fisico e psicologico che subisce la squadra non è banale, ma anocra una volta il Pilla ed il suo staff riescono a toccare le corde giuste per far riprendere quota la gruppo, nonostante tutti i contrattempi, fino ad un primo turno di playoff combattuto e perso dopo 5 gare molto equilibrate. 

Terminata la regular season si lega per altri tre anni al club ducale, per l'avvio di un nuovo progetto di crescita che molto probabilmente lo vedrà nella costruzione di un roster rinnovato e nel lancio di altri giovani talenti, abilità che fanno di Stefano Pillastrini un vero Maestro.

MAREA GIALLA, PASSIONE DUCALE, BRIGATA RUALIS 10 e LODE

D'accordo che quando si vince e le cose procedono con il vento in poppa è tutto più semplice e tutti vogliono partecipare, ma la tifoseria ducale si è confermata ancora una volta il fiore all'occhiello del club, non facendo mai mancare il suo appoggio appassionato, caloroso e genuino ma sempre rispettoso dell'avversario, anche quando questo non si comportava con reciproco fair-play.

Hanno seguito la squadra in buon numero in tutta la penisola guadagnadosi spesso l'apprezzamento anche dei supporter delle squadre ospitanti per educazione e sportività.

L'esodo massiccio a Bologna nel weekend delle Final four di Coppa Italia e l'impresa dei "ciclisti" che raggiungono Brindisi restono per i posteri  le perle della stagione.

Si meritano la lode per non aver mai raccolto le provocazioni, neppure quando vengono "stuzzicati" dai "cugini" dell'APU, che sia in via Perusini che al Carnera espongono striscioni all'indirizzo della Marea Gialla e neppure quando la tifoseria di Forlì, accorsa numerosa al PalaGesteco per gara 5, non brilla per educazione e sportività.  

Un patrimonio di passione genuina e spontanea, da conservare, e di cui la società del Presidente Micalich è ben consapevole di avere "tra le mani". 

Un diverso "Tempietto Longobardo".


mercoledì 21 maggio 2025

LA STAGIONE SI CHIUDE CON UN ALTRO FERRO SULLA SIRENA: FORLI' VA AVANTI 78-81

Ritornata a Cividale dalla doppia sfida in Romagna perdendo sia l'opportunità di chiudere la serie capitalizzando il 2-0 casalingo, che Doron Lamb, fermato a tempo indeterminato da un infortunio muscolare patito nella prima parte di gara 4, la Gesteco era chiamata disputare in via Perusini la gara senza appello, quella da "dentro o fuori" in condizioni davvero complicate.

La rinuncia forzata all'americano, che nella serie stava tirando con il 65% dall'arco, obbligava alla vigilia  tutti i ragazzi di Pillastrini ad andare persino oltre quel "tirare fuori gli artigli" scelto come motto per la post season per cercare di conquistare il primo approdo alle semifinali playoff della giovane storia del club ducale, sperando anche di poter disporre di un Lucio Redivo non troppo lontano dalla condizione che gli è valsa dalla tifoseria locale il conferimento della carica di Sindaco, nonostante i noti guai al ginocchio.

Impresa assai complicata anche in ragione della forza dell'avversario, che arrivava in Friuli con l'inerzia dalla sua parte e con il sostegno di una folta e rumorosa rappresentanza della sua tifoseria, notoriamente tra le più calde dello stivale.  

L'ambiente gialloblù, consapevole della delicatezza della sfida si è stretto intorno alla squadra come sempre da par suo,  per dare la spinta necessaria e continuare ancora una stagione che è già andata oltre le previsioni di partenza, regalando davvero tante soddisfazioni a tutti coloro che hanno a cuore le sorti del club del Presidente Micalich.

L'impresa svanisce anche in questa stagione a fil di sirena, dopo una seconda metà di gara giocata con grande generosità in cui i ducali erano riusciti a recuperare uno svantaggio di 16 punti accumulato in un secondo periodo dove i ragazzi di Pillastrini hanno accusato percentuali al tiro deficitarie e una difesa non sempre all'altezza, circostanza su cui gli ospiti hanno poi costruito il loro successo, riuscendo a resistere al veemente ritorno della Gesteco.

Da segnalare tra gli ospiti, privi di Perkovic per tutta la gara, le prove capitan Cinciarini, Del Chiaro e del friulano Gaspardo, implacabile a colpire la retina gialloblù in tutti i momenti chiave del match; sulla sponda cividalese va in archivio un'altra prova d'insieme a livello difensivo, impreziosita nel finale dalle triple di Rota e Mastellari su cui è stata costruita la sfortunata rincorsa.  

Si parte con Rota, Redivo, Marangon, Dell'Agnello e Miani per Cividale mentre per i colori biancorossi scendono sul parquet Tavernelli, Parravicini, Gaspardo, Harper e Del Chiaro e si schierano subito a zona, in un avvio di partita in cui le due squadre sono contratte e il punteggio vede Forlì avanti 4-8 dopo che Gaspardo e Parravicini hanno rotto gli indugi dall'arco.

Dell'Agnello con il suo inconfondibile gancio e Marangon dai 6'75" però ribattono subito per il 9-8  6'20" e poi Cividale perde diverse occasioni sul 13-10 di allungare ancora sbagliando diversi tiri ben costruiti dall'arco e così gli ospiti sono di nuovo avanti 17-19 a 2'46" dalla prima sirena quando Pillastrini toglie Redivo per Anumba. Si va infine alla prima pausa sul punteggio di 19-19, con Ferrari che prima impatta ma poi fa 0-2 dalla lunetta a 3" dallo stop.

Le due squadre sentono la posta in palio e dal campo fino a qui hanno tirato dal campo 8/21 Cividale e 8/18 Forlì, nonostante diverse siano stati i tiri aperti costruiti.

Il secondo periodo Mastellari illude i suoi dai 6'75", ma Forlì in meno di un minuto piazza tre conclusioni a bersaglio dall'arco con Harper e un doppio Cinciarini e fanno registrare il primo parziale della serata volando sul + 8 (22-30) a 7'20" e costringendo Pillastrini a chiamare la sospensione per firmare l'inerzia. I suoi ci mettono l'anima, ma le percentuali al tiro restano deficitarie e così gli ospiti a 3'49 portano a + 11 il distacco (27-38) dopo una tripla di Gaspardo che obbliga ancora il coach di casa a richiamare i suoi in panchina. Un fallo antisportivo fischiato a Miani su Gaspardo con il tabellone che segna già 27-41 a 2'09" spinge ancora di più avanti Forlì con Parravicini pronto a castigare dalla lunetta e dare il + 16 ai suoi (27-43).  Nelle ultime battute Cividale riesce ad accorciare le distanze, con la tripla di Miani del possibile -10 che s'infrange sul ferro sulla sirena dell'intervallo lungo e così si va al riposo sul 32-45. 

In questo periodo l'Unieuro è riuscita a dare una spallata che rischia di essere già quella decisiva, alzando sensibilmente le percentuali dall'arco e dal campo (ora al 50% con 17/34) senza mai impiegare Perkovic  mentre Cividale è rimasta su di un deficitario 13/40 nonostante gli 11 rimbalzi catturati nell'area romagnola. 

Alla ripresa dei giochi Marangon stoppa Harper e schiaccia in transizione e poi Miani dalla lunetta accorciano sul 36-45 e gli animi si scaldano all'interno del palazzo e Cividale che produce il massimo sforzo per tentare di rientrare nel match avendo ora ridotto stabilmente lo svantaggio a 8 punti. In questa fase si segnala Marangon, capace a più riprese di catturare carambole nel pitturato romagnolo e consentire a Redivo di accorciare sul 47-53 a metà frazione, con Martino che chiama sospensione.

Redivo sbaglia la tripla del possibile - 3 e Cinciarini castiga subito sempre dall'arco per il 49-58, imitato poi da Gaspardo (51-61) per frustrare la rimonta dei padroni di casa, che generosamente però non vogliono gettare la spugna e con Forlì in bonus dalla lunetta ritornano a - 5 (56-61) a 1'38" dalla penultima sirena prima che Mastellari dall'arco dica 59-61 e poi Redivo fallisca la tripla del sorpasso.

Harper dalla lunetta fa 1 su 2 e blocca il tabellone sul 59-62 con cui si va all'ultimo riposo in un clima davvero elettrico.

A 8'09" dal gong una tripla di Mastellari porta Cividale sul - 1 (63-64) e capitan Rota ancora dall'arco agguanta la parità (66-66) a 7'05"; Gaspardo non fa una piega e sempre dai 6,75 dice subito 66-69; un'altra bomba di Pollone dà il + 5 agli ospiti 67-72, Rota non ci sta e replica per il 70-72 a 3'41" dal gong.

A 3'39", dopo due punti di Del Chiaro (70-74), Pillastrini chiama i suoi in panchina per organizzare le battute decisive della sfida ma al rientro in campo Dell'Agnello e Ferrari non sfruttano il possesso e Gaspardo punisce (70-76).

Redivo replica dai 6,75" ma poi Cividale sfrutta ancora male il possesso successivo e Del Chiaro, una sentenza stasera, infila il suo punto n. 21 e allunga un preziosissimo + 5 (73-78) a 1'50"; adesso la palla scotta per davvero e Gaspardo non trema e con la tripla del 75-81 fa scorrere i titoli di coda, nonostante ancora Mastellari provi a tenere in piedi il fortino con la bomba del 78-81 a 20" e Rota abbia poi in mano il possesso del possibile overtime.

Il tiro in acrobazia sfuma lontano dal ferro e poi ancora Ferrari da metà campo sulla sirena coglie il ferro sulla sirena.

Niente da fare neanche quest'anno, i gialloblù devono accontentarsi ancora una volta di uscire con l'onore delle armi e con un palazzetto in piedi ad applaudire.

Giuseppe Passoni

(Foto Roberto Comuzzo)

UEB GESTECO CIVIDALE – UNIEURO PALLACANESTRO FORLI' 78-81

(19-19, 32-45, 59-62)

UEB GESTECO CIVIDALE

Redivo 10, Miani 12, Anumba, Mastellari 18, Rota (k) 9, Calò n.e., Abedajo n.e., Marangon 9, Berti, Ferrari 3, Dell'Agnello 17, Piccionne n.e.

Allenatore Stefano Pillastrini

Vice Giovanni Battista Gerometta, Alessandro Zamparini

Tiri da due 14/33, Tiri da tre 12/38, Tiri liberi 14/20 Rimbalzi 45 (29 dif. 16 off.)

UNIEURO PALLACANESTRO FORLI'

Parravicini 5, Cinciarini (k) 20, Tavernelli 4, Gaspardo 21, Perkovic, Pascolo,  Del Chiaro 21, Pollone 3, Sanviti n.e., Berluti n.e., Harper 11.

Allenatore: Antimo Martino

Vice Andrea Fabrizi e Paolo Ruggeri

Tiri da due 17/29, Tiri da tre 13/32, Tiri liberi 8/11  Rimbalzi 34 (30 dif. 4 off.)

Arbitri: Francesco Cassina di Monza/Brianza, Roberto Radaelli di Agrigento, Marco Rudellat di Nuoro

Spettatori: 2.700 circa



 

domenica 18 maggio 2025

ULTIMO QUARTO FATALE PER LA GESTECO: FORLI' PORTA LA SERIE A GARA 5

 

All'Unieuro Arena di Forlì la Gesteco si giocava stasera l'ultima chance a disposizione per chiudere la serie e raggiungere per la prima volta nella sua storia la semifinale promozione, evitando la roulette russa di gara 5.

Il ritmo frenetico dei playoff non concede molto tempo alle riflessioni e alle analisi post-partita, quanto piuttosto impone di recuperare al meglio possibile, date le condizioni, le energie psico-fisiche in vista della gara successiva lascinado alle spalle le scorie, soprattutto nervose, accumulate durante l'ultimo quarto di gara 3, in cui i gialloblù, orfani del loro condottiero Stefano Pillastrini espulso a metà della contesa, si sono visti sfilare dagli avversari un successo che sembrava alla portata per quanto fatto vedere per lunghi tratti della gara.

Fondamentale per Cividale il compito comunque di limare il numero di palle perse rispetto alla gara di venerdì, migliorare la circolazione della palla per evitare difficile iniziative personali e mettere pressione difensiva con maggiore continuità per tutto l'arco della sfida e sperare in un maggior contributo da parte di Redivo e Lamb, nonostante il perdurare delle imperfette condizioni fisiche dell'argentino e i soprravvenuti guai al polpaccio per la guardia di New York.

Non sono bastati 3 quarti di gara giocati alla pari con gli avversari ai gialloblù per indirizzare il match a loro favore, perchè in avvio dell'ultima ultima frazione i ragazzi di Pillastrini hanno subito un parziale di 11-0 che si è rivelto decisivo per le sorti della serie che ora assegnerà il passaggio del turno mercoledì prossimo in via Perusini a gara 5, la sfida che non ammette appello e dal pronostico assolutamente aperto.

Circostanza valida anche per determinare chi tra Rimini e Brindisi sfiderà in semifinale la vincente del quarto tra Cividale e Forlì, alla luce del nuovo successo casalingo dei pugliesi sulla compagine guidata da Sandro dell'Agnello.

Tramutata in ammenda la giornata di squalifica inflitta dal Giudice Sportivo, coach Pillastrini siede regolarmente in panchina e in avvio si affida a Redivo, Lamb, Marangon, Dell'Agnello e Berti mentre il collega Martino propone, insieme all'eroe di gara 3 Tavernelli, Harper, Perkovic, Gaspardo e Del Chiaro all'interno di un palazzetto deciso a spingere i beniamini di casa verso la virttoria.

La prima frazione si svolge all'insegna dell'equilibrio con basse percentuali su entrambe i fronti ed il tabellone inchiodato sul 7-6 dopo un canestro di Lamb a metà periodo; l'equilibio non si spezza neanche nella seconda fase del tempo, con le due squadre che giocano contratte vista l'importanza della posta in palio e tornano in panchina per la prima mini sosta con il punteggio di 18-19 per Cividale che con Rota fallisce una tripla sulla sirena per cercacare di incrementare il vantaggio.

In questo primo periodo l'equilibrio è totale, con Gaspardo in evidenza nelle fila dei padroni di casa con 10 punti messi a segno, frutto di un pregevole 4/6 dal campo, mentre sulla sponda ducale Lamb con due triple a segno su tre tentativi risulta il più produttivo dei suoi sul fronte offensivo.

Le due squadre continuano a ribattere colpo su colpo anche ad inizio di secondo periodo, con la guardia americana di Cividale che prova a dare uno strappo a 7'26“ dalla prima sirena, infilando una tripla che costa un fallo tecnico a Forlì e procura un libero aggiuntivo di Rota per il 23-27; il tentativo fallisce perchè la Gesteco soffre sotto canestro e concede diverse seconde palle e così a metà frazione una tripla di Perkovic rimette in parità la contesa (29-29). In questa fase sale in cattedra Miani nell'attacco ducale ed insieme ad una tripla di Rota confeziona il 33-38 a 2'54“ che induce Martino a chiamare time-out per bloccare l'inerzia sfavorevole in una gara combattuta su ogni possesso. La mossa funziona perchè l'Uniero si dimostra nelle battute finali più precisa nelle conclusioni dall'arco rispetto ai ducali e così si va al riposo sul 42-43, con i gialloblù che sprecano malamente con Redivo l'ultimo possesso dopo un time out chiamato da coach Pillastrini.

Fino a qui pochi i tiri dalla lunetta nonostante la grande intensità messa in campo dalle due squadre e Cividale con il braccino corto, facendo registrare un pericoloso 1/5 contro il 5/7 dei romagnoli.

Il copiopne non cambia neanche in avvio di terzo periodo con Forlì che mette la testa avanti con una tripla del solito Gaspardo (47-46) a metà tempo e poi è sempre l'ala di Vidulis a marcare il 56-54 a 1'53“ dalla penultima sirena, segnando il suo ventesimo punto con 5/7 dal campo, 4/5 dai liberi e 4 falli subiti. Si va all'ultima pausa con i romagnoli avanti 59-58, dopo che il tiro del nuovo sorpasso di Miani non centra il bersaglio nell'ultimo possesso e la palla che scotta su ogni azione del match.

L'ultimo tempo fa subito registrare un allungo dei padroni di casa che con un'iniziativa del solito Gaspardo ed una tripla di Parravicini si portano per la prima volta sul + 6 (66-60) che diventano 11 a seguito di una tripla di Harper e di un altro bersaglio in area dell'americano a 6'31“ dal gong per il 71-60 mentre Cividale litiga con il canestro e perde fluidità in attacco. E' il colpo del KO che decide la gara e schianta i gialloblù, con il tabellone finale che dirà 83-72 per i romagnoli.

Tra 3 giorni al PalaGesteco la gara senza appello.


UNIEURO PALLACANESTRO FORLI' – UEB GESTECO CIVIDALE 83-72

(18-19, 42-43, 59-58)

Unieuro Forlì: Raphael Gaspardo 24 (7/9, 2/5), Toni Perkovic 16 (1/2, 4/8), Matteo Parravicini 16 (2/3, 4/5), Demonte Harper 10 (2/6, 1/3), Angelo Del chiaro 7 (3/7, 0/0), Riccardo Tavernelli 5 (1/1, 1/1), Davide Pascolo 4 (2/4, 0/0), Daniele Cinciarini 1 (0/1, 0/3), Luca Pollone 0 (0/0, 0/2), Alessio Sanviti 0 (0/0, 0/0), Simone Errede 0 (0/0, 0/0)

Tiri liberi: 11 / 16 - Rimbalzi: 30 6 + 24 (Demonte Harper, Angelo Del chiaro, Luca Pollone 5) - Assist: 17 (Demonte Harper 5)

UEB Gesteco Cividale: Gabriele Miani 13 (4/6, 1/2), Lucio Redivo 12 (3/6, 2/5), Doron Lamb 11 (1/4, 3/5), Eugenio Rota 10 (0/2, 3/7), Francesco Ferrari 7 (2/3, 1/3), Leonardo Marangon 6 (3/7, 0/5), Martino Mastellari 6 (2/3, 0/1), Matteo Berti 5 (2/3, 0/0), Giacomo Dell' agnello 2 (1/1, 0/0), Micheal Anumba 0 (0/0, 0/1), Niccolò Piccionne 0 (0/0, 0/0)

Tiri liberi: 6 / 12 - Rimbalzi: 32 10 + 22 (Leonardo Marangon 9) - Assist: 15 (Lucio Redivo, Micheal Anumba 4)

venerdì 16 maggio 2025

UNA GESTECO NERVOSA S'INCARTA NEL FINALE: FORLI' VINCE 91-81 E PORTA LA SERIE A GARA 4

La Gesteco arrivava all’Unieuro Arena di Forlì con il sogno nel cassetto di sfruttare subito il primo “match point” per il passaggio del turno, cercando così di capitalizzare al massimo il 2-0 conquistato in via Perusini al termine di due gare tiratissime e risolte quasi in fotocopia dai ragazzi di Pillastrini con altrettante rimonte nell’ultimo periodo nelle sfide in riva al Natisone.

Desiderio legittimo ma che doveva anche fare i conti con la realtà di un Unieuro Forlì ferita nell’orgoglio e con le spalle al muro davanti al suo caldissimo pubblico di casa e per nulla intenzionata a dare il via libera ai gialloblù, per altro alle prese con il rebus dei malanni al ginocchio che assillano Lucio Redivo e ne limitano fortemente l’impiego.

Ed è noto quanto sia più pericolosa una tigre ferita di una sicura di mangiarti in un sol boccone.

Per tre quarti di gara l'impresa sembrava possibile, in un match che ricalcava l'andamento dei precedenti in Friuli con le due squadre incollate nel punteggio senza essere capaci di creare break decisivi, mentre nell'ultimo quarto il copione è cambiato decisamente, con Forlì che stavolta è riuscita ad rimanere aggrappata al match con maggiore lucidità e piazzare i colpi del KO.

Da segnalare una prova maiuscola di Tavernelli nelle fila romagnole, che iscrive a referto 22 punti con 4/4 da due punti 3/4 da tre e 5/5 dalla lunetta e 9 rimbalzi in 34 minuti, un vero fattore che assieme ad una prova tutta orgoglio di capitan Cinciarini autore di 16 punti con 4/5 dal campo, sono stati i pilastri su cui Forlì ha costruito il successo.

Pillastrini si affida in avvio a Redivo, Lamb, Marangon, Dell’Agnello e Berti mentre la scelte di Martino cadono su Tavernelli, Perkovic, Harper, Gaspardo e Del Chiaro con Lamb protagonista in apertura, prima rompendo il ghiaccio con una tripla e poi commettendo un fallo antisportivo per impedire una transizione dei padroni di casa che costa il 4-3 di Harper per i padroni di casa; la gara si gioca subito a ritmi elevati con le due squadre che ribattono colpo su colpo alle rispettive iniziative ed il punteggio che vede avanti Forlì 9-8 a metà frazione dopo uno su due di Dell'Agnello dalla lunetta. Una tripla siderale di Mastellari con aggiunta di libero porta Cividale sul 13-16 a 3'47” e poi la guardia bolognese risponde con la stessa moneta ancora ad un canestro dalla distanza di Tavernelli per il 16-19 a 2'42” dalla prima sirena a cui si giunge sul 23-28 con una schiacciata di Ferrari, ben servito sulla sirena da Redivo, dopo che Miani si era reso protagonista di un filotto di 7 punti consecutivi nella fase finale del periodo.

Mastellari allunga sul 23-30 in avvio ma poi Forlì si rifà subito sotto sul 29-30 in una gara che non ha pause e si gioca su ritmi sempre elevati, con le difese che non sono proprio irreprensibili; a metà tempo va in onda una sfida tutta di triple tra le due squadre, con Lamb infallibile che porta Cividale sul 36-40. I gialloblù sprecano diversi possessi per incrementare il vantaggio perchè Forlì fatica a trovare canestro in questa fase, con Dell'Agnello che però in un minuto commette due falli in attacco consecutivi in fotocopia e il tabellone segna 43-42 a 1'11” dall'intervallo dopo una tripla di Tavernelli suggella un parziale di 7-0 per i padroni di casa.

A coach Pillastrini alcuni fischi arbitrali sono stati indigesti e al tecnico gialloblù le vibranti proteste costano un altro tecnico e la conseguente espulsione, mentre Forli è avanti al rientro negli spogliatoi sul + 7 (49-42), avendo portato il parziale sul 13-0 nell'ultimo giro di cronometro con una tripla di capitan Cinciarini sulla sirena.

Cividale si è smarrita quando dava l'impressione di poter almeno mantenere il vantaggio, con Forlì che invece ha ripreso fiducia, alzando le percentuali al tiro dall'arco e riuscendo così a capitalizzare al massimo il passaggio a vuoto della Gesteco, tradita dai nervi dopo alcuni fischi arbitrali contestati e dal clima incandescente nel palazzo.

Si ricomincia e i gialloblù in due minuti rispondono d'orgoglio infilando un parziale di 8-0 e costringono coach Martino a chiamare minuto sul 49-50 dopo due triple di Miani e Dell'Agnello e due punti di Marangon; da qui in poi fino alla fine del periodo si viaggia in assoluto equilibrio con Forlì che però si carica di falli e Cividale che, facendo tesoro dei viaggi in lunetta, è avanti 59-63 quando mancano sul cronometro 2'52” alla penultima sirena a cui poi si arriva sul 68-69 con canestro di Rota sul gong.

L'inizio dell'ultimo tempo vede salire in cattedra Tavernelli, che segnando dall'arco il suo punto n. 17 manda avanti i padroni di casa sul 77-72, invertendo l'inerzia che nei precedenti aveva visto Cividale prendere il sopravvento e consigliando coach Gerometta a richiamare i suoi per un time-out.

Uno 0-2 dalla lunetta di Ferrari al rientro è sanguinoso, così come una palla persa di Miani in attacco sul 79-74 per Forlì che così, ancora con Tavernelli, vola sul + 8 a metà tempo (82-74) e sembra l'allungo che può spaccare la partita, anche perchè Cividale ha perso lucidità e continua a perdere palloni in attacco, soffrendo la pressione dei padroni di casa.

Il quinto fallo di Harper e un tecnico alla panchina di Forlì ridanno fiato ai gialloblù che a 3'37” sono sotto 82-78, ma un altro fallo in attacco fischiato a Dell'Agnello consente all'Unieuro di rimanere avanti 83-78 quando mancano 2'30” sul cronometro; a questo punto ci sarebbe ancora la possibilità di rientrare, ma la mira tradisce troppe volte i ducali per poterci riuscire davvero e così Forlì tiene le “mani sul volante” fino al termine ampliando il vantaggio fino al +10 chiudendo sull'ultima sirena avanti 91-81, mandando così la serie a gara 4 domenica prossima.


UNIEURO PALLACANESTRO FORLI' – UEB GESTECO CIVIDALE 91-81

(23-28, 47-42, 68-69)


Unieuro Forlì: Riccardo Tavernelli 22 (4/4, 3/4), Daniele Cinciarini 16 (2/3, 2/2), Raphael Gaspardo 14 (1/5, 2/4), Demonte Harper 13 (6/10, 0/1), Davide Pascolo 10 (5/5, 0/0), Toni Perkovic 5 (1/3, 0/4), Luca Pollone 5 (0/0, 1/4), Angelo Del chiaro 3 (1/3, 0/0), Matteo Parravicini 3 (0/0, 1/3), Simone Errede 0 (0/0, 0/0), Alessio Sanviti 0 (0/0, 0/0)
Tiri liberi: 24 / 34 - Rimbalzi: 30 3 + 27 (Riccardo Tavernelli 9) - Assist: 15 (Riccardo Tavernelli 6)
UEB Gesteco Cividale: Gabriele Miani 21 (6/10, 3/4), Giacomo Dell' agnello 17 (4/7, 2/2), Martino Mastellari 13 (2/3, 2/6), Doron Lamb 11 (0/0, 3/5), Eugenio Rota 9 (2/3, 0/3), Lucio Redivo 4 (2/4, 0/3), Leonardo Marangon 4 (2/5, 0/2), Francesco Ferrari 2 (1/2, 0/2), Matteo Berti 0 (0/1, 0/0), Micheal Anumba 0 (0/0, 0/0), Niccolò Piccionne 0 (0/0, 0/0)
Tiri liberi: 13 / 21 - Rimbalzi: 31 6 + 25 (Giacomo Dell' agnello 9) - Assist: 13 (Eugenio Rota, Lucio Redivo 4)

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