lunedì 23 dicembre 2024

UN ALTRO NATALE IN BIANCO IN VIA PERUSINI IN ATTESA DELL’EPIFANIA

Da quando Cividale ha raggiunto il campionato nazionale di serie A2 il mese di dicembre più che il periodo dell’Avvento ha i connotati della Quaresima e la vigilia di Natale pare più il Venerdì Santo. 

Nel 2022, da matricola fino a quel momento terribile e dopo l’indimenticabile 67-66 nel primo derby casalingo contro la strafavorita Udine, le Aquile interruppero bruscamente il volo andando incontro a tre rovesci consecutivi, tra cui l’ultimo prima di Natale, proprio in via Perusini, quando una tripla di tabella di Chiusi a fil di sirena, tolse ai Pilla Boys il quarto posto e la  qualificazione alla Coppa Italia.

Dicembre 2023 non fece meglio, perché preso un brodino con il successo di inizio mese a Chiusi con l’allora fanalino di coda, Cividale andò incontro ad altri due rovesci sanguinosi sempre in casa con Piacenza e Udine, che il giorno 23 venne a maramaldeggiare in via Perusini, “regalando” più di 30 punti finali di scarto e la sconfitta più pesante subita dai gialloblù in tutta la loro storia. 

Neppure il 2024 ha voluto fare eccezione, nonostante la Gesteco si presentasse all’inizio del mese con il secondo posto in classifica frutto di una striscia di nove vittorie consecutive e un calendario che sulla carta sembrava “apparecchiato” proprio per sfatare la “maledizione” e far passare a tutto l’ambiente un Natale in linea con la classifica di alta quota. 

Come si sa invece è arrivata un’astinenza dal sapore più quaresimale che natalizio,  con un digiuno di successi che dura da 4 turni consecutivi, il tutto condito dallo stesso sapore del fiele con cui il legionario Longino aveva imbevuto la spugna per dare sollievo al Salvatore durante la crocifissione. 

Due sconfitte all’overtime e altre due nell’ultimo minuto, avendo in tre occasioni la possibilità di gestire il possesso vincente, molto probabilmente costeranno l’esclusione dalle final four di coppa Italia, e hanno fatto scendere nel frattempo il ranking al quinto posto e salire il fiato sul collo da parte del gruppone di centro classifica.

Più che un bianco Natale dunque anche quest’anno un Natale in bianco sulle rive del Natisone. 

Naturalmente le motivazioni vanno ben al di là delle analogie con i precedenti, le attenuanti non mancano così come le cose da sistemare in un motore andato in panne improvvisamente.

In questa sede lasciamo l’analisi dei “perché” e l’elenco dei possibili correttivi a penne e teste più competenti e titolate in materia, registrando che l’ambiente ducale è pienamente consapevole che dirigenza, tecnico, staff e squadra ciascuno per quanto di propria competenza sono in grado di prepare un’Epifania in linea con i desideri.

Così accadde nel 2023 quando le Eagles ripresero a volare battendo Mantova e iniziarono un percorso che le portò a salvezza e play-off con largo anticipo e così si replicarono il 6 gennaio 2024 quando in via Perusini si presero contro ogni pronostico lo scalpo della capolista Forlì e mandarono in scena una rimonta clamorosa e una scia di successi interrotta praticamente alla fine dello scorso novembre.

Il 5 gennaio 2025 Pesaro sarà l’ospite d’onore in via Perusini per chiudere il girone d’andata e confermare invece la favorevole tradizione epifanica, particolarmente cara ai cividalesi che da secoli celebrano un rito che sanciva l’unione del potere spirituale e quello politico nelle mani del Patriarca d’Aquileia che allora sedeva in cattedra proprio nella città ducale. 

Una rottura alla regola del digiuno natalizio sarebbe altrettanto gradita il 29 dicembre in quel di Torino, dove la Gesteco saluterà, comunque vada, un 2024 tanto ricco di soddisfazioni per tutti gli appassionati che hanno a cuore le sorti cestistiche dell’antica capitale del Friuli.

Per ora i migliori auguri natalizi a tutti i lettori del Blog, unito al ringraziamento per l’attenzione che riservate a questa pagina indipendente. 

Ad maiora.




sabato 21 dicembre 2024

UN ALTRO FINALE AMARO ROVINA IL NATALE ALLA GESTECO

 

 Reduce da tre sconfitte consecutive maturate nelle battute finali, di cui due nell'extra-time, la Gesteco ospitava in via Perusini un avversario assai insidioso e tutto da scoprire dopo la mini rivoluzione in casa lombarda che ha visto la promozione di Simone Bianchi alla guida tecnica in sostituzione di Franco Ciani e l'arrivo da Rieti di Jazz Johnson al posto del connazionale Devoe.

Novità di rilievo anche sul fronte ducale, che in settimana ha visto a sorpresa il ritorno di Doron Lamb a disposizione di coach Pillastrini con il conseguente addio a Derrick Marks dopo 16 gare di campionato, circostanza che aggiungeva ancora più curiosità e spinta emotiva all'ambiente per tentare di caricare i propri beniamini nella ricerca del successo e mantenere vivo così il sogno di agguantare le final four di Coppa Italia, resistendo alla rimonta dell'Urania Milano.

Il “vento” invece non muta in casa ducale, con la Gesteco che deve arrendersi ancora una volta non riuscendo a gestire in maniera vincente l'ultimo possesso, al cospetto di un avversario che ha avuto in Jazz Johnson e Williams due protagonisti assoluti, capaci di infilare rispettivamente 29 e 27 punti nel canestro di Cividale.

Per la Gesteco, privata di Marangon all'ultimo minuto, in avvio vanno sul parquet Rota, Redivo, Ferrari, Dell'Agnello e Miani mentre gli ospiti schierano Johnson, Bertini, Costi, Moretti e Williams, e tra i ducali si mette subito in evidenza Ferrari con 5 punti consecutivi che permettono a Cividale di ribattere ai canestri degli ospiti (10-11 a 6'35”) in un match fila via all'insegna dell'equilibrio (17-17 a 4'18”) quando Pillastrini rimanda in campo il “nuovo” arrivato Lamb assieme al baby Piccionne; l'andamento non muta e la frazione si conclude sul 26-25 per i padroni di casa. Si riparte subito con un 5-0 firmato da capitan Rota (31-25) con Orzinuovi che ribatte altrettanto sollecitamente con Johnson (31-31 a 7'48”) in una sorta di duello personale tra i due; l'americano però commette il terzo fallo mandando in lunetta Piccionne per 3 liberi che spingono la Gesteco avanti sul 39-33 a 5'02” e poi sul + 8 (43-25) con Ferrari a conclusione di una spettacolare azione corale a 2'25” dall'intervallo lungo a cui si perviene sul punteggio di 47-42 perchè s'infrange sul ferro l'incursione sotto canestro dell'ispirato duo Rota-Ferrari a fil di sierena. Alla ripresa delle “ostilità” è Bertini a fare la voce grossa con una tripla per il 47-45 e Williams poi fissa la parità a 7'34”; gli ospiti dimostrano di essere rientrati in campo con maggiore concentrazione e sfruttando anche alcune amnesie offensive di Cividale si portano avanti 52-55 a 5'50” con un o scatenato Jazz Johnson a cui i ducali non riescono a trovare adeguate contromisure. La Gesteco accusa il colpo e si ritrova sotto 57-61 a 2'04” dopo una tripla di Williams e riceve un contributo insufficiente in attacco da Lamb e il periodo si chiude 57-64 con Cividale che stenta trovare la via del canestro. In avvio dell'ultimo tempo si accende Lucio Redivo e con quattro triple consecutive riporta la Gesteco avanti 69-67 in un clima che s'infiamma e costa l'espulsione per doppio tecnico a Dell'Agnello a 7'51”; la partita entra nella fase decisiva all'insegna dell'equilibrio totale, con i due americani della squadra ospite assoluti protagonisti e il tabellone sull'81-79 dopo una tripla di Ferrari a 3'52”. Si assiste infine al “solito” finale vietato ai cardiopatici a cui ormai sono abituati in via Perusini perchè a 15” secondi dalla sirena finale Cividale deve gestire l'ultimo possesso con il tabellone che segna 87-88 dopo il ventinovesimo punto di Jazz Johnson. Il tiro di Rota è respinto dal ferro E sul rimbalzo a 1” Orzinuovi va in lunetta con Moretti che ha subito fallo a rimbalzo e mette il definitivo 87-89.

Nonostante una prestazione tutto cuore e punti di Capitan Rota e una“monstre” al tiro nell'ultimo quarto da parte di Lucio Redivo (ben 23 dei 30 punti complessivi dell'argentino sono stati segnati nel periodo finale) Cividale per la terza volta nella sua storia nel campionato di A2 non riesce a vincere la gara pre-natalizia.


UEB GESTECO CIVIDALE – GRUPPO MASCIO ORZINUOVI 87-89

(26-25, 47-42, 57-64)

UEB GESTECO CIVIDALE

Lamb 4, Redivo 30, Miani 7, Mastellari n.e., Rota (k) 19, Calò n.e., Natali n.e., Adebajo n.e., Berti 2, Ferrari 14, Dell'Agnello 9, Piccionne 2.

Allenatore Stefano Pillastrini

Vice Giovanni Battista Gerometta, Alessandro Zamparini

Tiri da due 17/35, Tiri da tre 13/31, Tiri liberi 14/18 Rimbalzi 37 (14 dif. 23 off.)

GRUPPO MASCIO ORZINUOVI

Loro 3, Williams 27, Bertini 12, Bergo n.e., Costi 7, Bogliardi, Guariglia, Johnson 29, Moretti 7, Pepe (k) 4.

Allenatore: Simone Bianchi

Vice Matteo Mattioli e Luciano D'Ancicco

Tiri da due 19/36, Tiri da tre 11/25, Tiri liberi 18/25 Rimbalzi 31 (19 dif. 12 off.)

Arbitri: Francesco Cassina di Desio (MB), Claudio Berlangieri di Trezzano sul Naviglio (MI) e Luca Rezzoagli di Rapallo (GE).

Spettatori: 2.800 circa

martedì 17 dicembre 2024

CENA DI NATALE UEB GESTECO CIVIDALE: SPORT, SOLIDARIETA' E CONVIVIALITA' ALLA FONDAZIONE DE CLARCINI-DORNPACHER


Nella suggestiva cornice della Fondazione De Claricini Dornpacher di Bottenicco di Moimacco, si è svolta ieri sera la tradizionale Cena di Natale della UEB Gesteco Cividale Basketball, un evento che ha saputo ben coniugare sport, solidarietà e spirito di comunità.

Ad aprire la serata, gli onori di casa sono stati affidati al Presidente della Fondazione, Oldino Cernoia, che ha accolto calorosamente i presenti, con i saluti istituzionali del Sindaco di Cividale, Daniela Bernardi, e del Consigliere regionale, Roberto Novelli. Numerose le personalità intervenute, tra cui autorità locali, sponsor, giornalisti e, naturalmente, la squadra al completo, guidata dal Presidente Davide Micalich e dal coach Stefano Pillastrini e tutto lo staff.

L’atmosfera è stata impreziosita dalla conduzione dell’immancabile Gilberto "Gimbo" Zorat, storico speaker della squadra, che con la sua energia ha animato l'asta benefica di maglie ufficiali dei giocatori. Un momento particolarmente sentito, reso possibile grazie alla generosità dei partecipanti. La serata ha visto un grande risultato, con oltre 3.000 euro raccolti a favore dell'Associazione Progetto Autismo, testimoniando ancora una volta l'impegno della UEB Gesteco nei confronti del territorio e del sociale. Il pezzo più ambito dell'asta è stata la maglia del capitano Eugenio Rota, aggiudicata per la cifra di ben 800 euro.

I numerosi presenti hanno tributato il giusto riconoscimento per un anno solare 2024 ricco di soddisfazioni, sportive e non, che ha saputo unire e appassionare i tifosi della UEB Gesteco. Un sincero incoraggiamento è andato ai giocatori, reduci da tre sconfitte maturate solo nelle battute finali, con l’auspicio di ritrovare presto il successo. Durante la serata è emerso forte il sostegno e la fiducia della comunità in vista dei prossimi delicati impegni, a partire dalla sfida di sabato prossimo in via Perusini contro l’Orzinuovi Basket, allenata da Franco Ciani, grande ex della storica Longobardi Basket.

Motivo di orgoglio condiviso è stato il fatto che, ormai in tutta Italia, il nome della Gesteco e di Cividale del Friuli sia diventato sinonimo non solo di una squadra sportiva capace di raggiungere traguardi importanti, ma anche di un ambiente caloroso e accogliente, con un palazzetto che rappresenta una vera e propria roccaforte, difficile da espugnare. Il tutto, però, in un contesto improntato alla correttezza "svedese", che ha reso il club un modello esemplare e un unicum nel panorama sportivo nazionale.

La Cena di Natale della UEB Gesteco Cividale ha rappresentato un'occasione speciale per celebrare non solo i successi sportivi della squadra, ma anche i valori di solidarietà, unione e appartenenza che la società promuove con costanza.

giovedì 12 dicembre 2024

SEGESTA, DOVE IL TEMPO SUSSURRA



Ruben si sistemò meglio il cappello di paglia sulla testa mentre il vento tiepido della Sicilia gli soffiava contro. Il sole del tardo pomeriggio illuminava le pietre antiche del teatro greco di Segesta, avvolgendole in una luce dorata che sembrava filtrata direttamente dall’eternità. Quel luogo, con la sua austerità senza tempo, gli ricordava l’irriducibile distanza tra passato e presente, ma anche la sottile continuità che li univa.

I suoi passi risuonavano appena sulle pietre lisce del sentiero mentre scendeva tra le file degli spalti. Ogni gradino era un frammento di storia, un’eco di voci antiche che ancora sussurravano tra le colonne spezzate. La vastità della valle sottostante si apriva davanti a lui, brulla e ondulata, come una tela grezza su cui il tempo stesso aveva dipinto paesaggi in grado di suscitare moti nell’animo e mille domande dalle risposte incerte.

Era a Palermo per la sua mostra: un’occasione importante, forse l’ultima di quel calibro nella sua carriera. Eppure, mentre camminava tra le vestigia del passato, quella serata imminente si faceva sempre più piccola, meno rilevante. La sua mente tornava continuamente a Toledo, alla casa dove era cresciuto e che adesso era vuota. Due settimane prima, l’improvvisa morte di sua madre aveva spezzato qualcosa dentro di lui. Aveva ricevuto quella telefonata mentre era in studio, con il pennello fermo a mezz’aria. La voce del medico era stata ferma, impersonale. Un attimo prima sua madre esisteva ancora; un attimo dopo, era già un ricordo.

“Memento mori,” sussurrò tra sé. Ricordati che devi morire.

Queste parole, che ora gli pesavano come una sentenza, un tempo gli avevano parlato di una saggezza antica. Gli stessi autori greci che tanto lo avevano affascinato sembravano comprenderle profondamente. Sofocle, Eschilo, Euripide: erano maestri nel raccontare l’ineluttabilità del destino e la fragilità umana. La tragedia greca lo aveva sempre attratto proprio per questo. Nei drammi del passato, nei re caduti e negli eroi sconfitti, Ruben aveva sempre visto qualcosa di universale, di spietatamente vero. Forse perché, in fondo, quelle storie parlavano anche di lui. Della sua lotta per dare un senso alle sue tele, alla sua solitudine, alla consapevolezza della propria mortalità.

Mentre si fermava al centro dell’orchestra, il cuore pulsante del teatro, pensò a come i classici non lo avevano mai tradito. Erano sempre stati lì, con parole eterne che riflettevano le sue paure e le sue speranze. La morte della madre aveva aperto una voragine, eppure anche in quel dolore gli antichi gli offrivano una via: accettare la vita in tutta la sua asprezza e bellezza, senza illusioni.

Ma qualcosa, ultimamente, stava sciogliendo il gelo del passato. Pensò a Madrid, a quella sera di fine estate quando aveva incontrato Isabel in una galleria d’arte. La giovane donna aveva osservato i suoi dipinti con un’attenzione così profonda da fargli sentire di essere davvero visto. Da quella sera, tutto era cambiato. Aveva aperto uno spiraglio di possibilità, una luce che si insinuava tra le crepe del suo essere. La loro relazione, benché appena agli inizi, lo stava riappacificando con parti di sé che credeva perdute per sempre.

Forse Isabel rappresentava proprio ciò che la letteratura antica aveva sempre cercato di insegnargli: che anche nella tragedia c’è una speranza ostinata. Che l’amore e la bellezza, pur fragili e transitori, valgono ogni sforzo.

Si tolse il cappello e si passò di nuovo la mano tra i capelli passò una mano sulla barba e sorrise. Per anni aveva costruito barriere, rifugiandosi nella pittura e nei miti antichi, lontano da qualsiasi legame vero. Ora, invece, si trovava a desiderare quella presenza accanto a sé. Un’ironia dolce e crudele. Proprio quando il tempo gli mostrava il suo limite più crudo, la vita gli porgeva una nuova possibilità.

Guardò verso l’orizzonte. Il sole scivolava lentamente verso il tramonto, tingendo tutto di rosso e arancio. Un’ultima pennellata prima della notte.

Forse “memento mori” non era solo un ammonimento alla fine, ma un invito a vivere con coraggio. Ogni pennellata, ogni respiro, ogni passo su quelle pietre antiche era un atto di resistenza. Forse l’amore, come l’arte, era la risposta più umana e fragile alla certezza della morte.


Ruben inspirò a fondo l’aria profumata di erba secca e pietra scaldata dal sole. Sarebbe tornato a Palermo, 
alla sua mostra. Avrebbe affrontato la folla e le luci, non per celebrare sé stesso, ma per celebrare quel momento effimero che chiamiamo vita. E poi, di sicuro, avrebbe chiamato Isabel.


Il sole scese ancora e le ombre si allungarono come dita gentili, pronte a cullare la notte.

lunedì 9 dicembre 2024

IL SIGILLO DEL SERPENTE



La verità nell'ombra

Ruben Martinez, pittore spagnolo e conoscitore d’arte, arrivò a Cividale del Friuli chiamato dall’arciprete don Corrado. Il mistero ruotava attorno a un dipinto enigmatico di Matteo Ponzone, esposto nel Duomo, come pala del primo altare laterale a destra. Ma non era solo l’arte a evocare domande. Pochi giorni prima del solstizio d’inverno, il custode del Museo Archeologico era stato trovato morto, riverso ai piedi del dipinto. Una scena inquietante che aveva lasciato la città sospesa tra paura e mormorii.
Don Corrado guidò Ruben attraverso le navate silenziose del Duomo. La luce del pomeriggio filtrava dalle vetrate, creando giochi di ombre che rendevano il luogo ancora più solenne.
"Lo hanno trovato qui," disse l’arciprete con un gesto verso il pavimento di fronte al quadro. "Giacomo Martinelli, il custode del Museo. Morto, apparentemente per un infarto. Ma c’è qualcosa di strano…"
Ruben scrutò il dipinto, cercando di ignorare il freddo che sembrava provenire dalle pietre stesse. La Madonna, in penombra, reggeva il Bambino che si protendeva verso San Giovanni Evangelista. Quest’ultimo dominava la scena con le sue fattezze quasi androgine, la coppa tra le mani e il serpente che si affacciava dal bordo. Il gesto di San Cristoforo, che indicava la coppa dall’ombra del colonnato, e la sofferenza di Papa Marcello accasciato sotto il peso di un segreto che il Vescovo Zenone sembrava custodire, completavano l’atmosfera tesa del dipinto.
"Non credo che Ponzone abbia dipinto solo per la gloria divina," mormorò Ruben.
"Crede che ci sia un messaggio nascosto?" chiese don Corrado.
"Ogni dettaglio parla," rispose Ruben, avvicinandosi alla tela per osservarla meglio. "La luce, l’ombra, persino i volti… sembrano raccontare una storia diversa."
Mentre studiava il quadro, un dettaglio attirò l’attenzione di Ruben: nella coppa tenuta da San Giovanni, il serpente sembrava avvolgersi attorno a un simbolo. Sembrava un intreccio, simile a un sigillo. Ruben prese appunti, deciso a studiarlo più tardi.
Don Corrado lo interruppe. "Non è tutto. La notte in cui Giacomo è morto, qualcuno ha detto di aver sentito un suono… un canto sommesso, come un coro distante."
Ruben si voltò, sorpreso. "Un canto?"
"L’ho sentito anch’io," ammise don Corrado. "Ma sembrava impossibile. Non c’era nessuno in chiesa a quell’ora."
Il pittore non rispose. Iniziava a sospettare che il quadro non fosse solo un’opera enigmatica, ma un catalizzatore. Qualcosa di antico sembrava annidarsi in quel luogo.
La sera Ruben tornò al Duomo da solo, portando con sé una piccola lampada e i suoi strumenti di disegno. Voleva studiare meglio il dipinto e cercare tracce di pigmenti nascosti o dettagli che la luce naturale non rivelava.
Mentre lavorava, notò un’insolita traccia sul bordo inferiore della tela, come se qualcuno avesse toccato il dipinto con dita sporche di cera. Era recente. Un movimento dietro di lui lo fece sobbalzare, ma quando si voltò non vide nulla.
Il silenzio era totale, ma Ruben sentì una vibrazione, un eco che sembrava provenire dalle fondamenta del Duomo. Si concentrò sul lavoro, ma i suoi pensieri tornavano al custode trovato morto. Aveva forse scoperto qualcosa?

San Giorgio in Vado

Il giorno seguente, Ruben visitò l’antico complesso che un tempo ospitava il convento di San Giorgio in Vado, ora trasformato in fattoria didattica. Qui incontrò Guido, il proprietario, che gli mostrò la cappella rimasta in piedi, adornata con un ciclo di affreschi del XIV secolo. Tra le scene sacre, una catturò l’attenzione di Ruben: l’assassinio di Tommaso Becket.
La raffigurazione del martirio era brutale e realistica. Ma ciò che colpì Ruben fu l’insolito simbolo dipinto accanto alla spada del cavaliere: lo stesso sigillo che aveva notato nel dipinto di Ponzone.
"Sa qualcosa di questa scena?" chiese Ruben a Guido.
"Non molto," rispose l’uomo. "Si dice che sia stata aggiunta durante una restaurazione antica, ma nessuno ha mai saputo spiegare il simbolo. Forse un errore."
Ruben sapeva che non era un errore. Il sigillo era un legame tra i due luoghi, un filo conduttore che univa il dipinto nel Duomo alla storia dimenticata del convento.
Tornato al Duomo, Ruben iniziò a collegare i pezzi. La scena del dipinto, il simbolo nella coppa, il canto misterioso. E ora, l’assassinio di Becket negli affreschi del convento. La figura di San Giovanni Evangelista, con la sua ambiguità, era al centro di tutto.
Poi lo colpì un pensiero: il custode Giacomo Martinelli potrebbe aver intuito qualcosa. Forse aveva riconosciuto il simbolo o trovato un documento che spiegava il collegamento. Ma qualcuno o qualcosa lo aveva fermato.
Quella notte Ruben tornò al dipinto con una nuova consapevolezza. Usando una luce ultravioletta, scoprì che Ponzone aveva lasciato un altro dettaglio nascosto: una scritta appena visibile lungo il bordo della tela.
"La luce è eterna, ma l'ombra custodisce la verità."
Ruben capì che non era solo un quadro. Era un enigma. Ma quanto era disposto a rischiare per svelarlo?

La Polizia archivia

Ruben Martinez si trovava ancora davanti al dipinto, con le mani tremanti per l’eccitazione. Il messaggio criptico che aveva scoperto nella pittura di Ponzone sembrava confermare i suoi sospetti: la morte di Giacomo Martinelli non era stata un semplice incidente. Ma ogni passo avanti nella risoluzione del mistero sembrava aprire nuove porte, più oscure e spaventose.
Giacomo Martinelli era stato il custode del Museo Archeologico di Cividale per più di vent’anni. Un uomo solitario, con pochi amici e una passione per le storie antiche. Passava ore nelle sale del museo, immerso nei testi e negli artefatti, quasi fosse alla ricerca di qualcosa che nemmeno lui riusciva a definire. Don Corrado lo conosceva bene: Martinelli era un assiduo frequentatore del Duomo e aveva una curiosa fissazione per il dipinto di Ponzone.
"Era un uomo silenzioso," raccontò don Corrado a Ruben mentre passeggiavano nel chiostro del Duomo. "Ma ogni tanto si apriva con me. Era convinto che ci fosse un significato nascosto nel quadro. Parlava di un collegamento con il vecchio convento di San Giorgio e con alcuni documenti che aveva trovato negli archivi del Museo. Ma non sono mai riuscito a capire cosa intendesse."
"Credeva che fosse qualcosa di importante?" chiese Ruben.
"Molto importante. Mi disse che se avesse trovato ciò che cercava, avrebbe potuto cambiare la storia."
Questa frase riecheggiava nella mente di Ruben. Cosa poteva essere così significativo da portare qualcuno a uccidere? Perché, ormai, Ruben era convinto che la morte di Martinelli non fosse stata naturale.
La mattina successiva, Ruben fu convocato dal commissario di polizia, Irene Boschi. Una donna alta, dal portamento sicuro e dai modi sbrigativi, lo attendeva nella sua stanza d’ufficio presso la piccola stazione di polizia locale.
"Signor Martinez," iniziò con tono calmo ma fermo, "ho letto il suo rapporto e ho parlato con don Corrado. Apprezzo il suo entusiasmo, ma temo che stia andando fuori strada."
Ruben sollevò un sopracciglio. "Non mi sembra così. Martinelli era un uomo in salute, e la sua morte è avvenuta in circostanze troppo particolari per essere ignorate."
"Le circostanze sono particolari solo nella sua immaginazione," ribatté Boschi. "L’autopsia ha confermato che è morto per un infarto. Non ci sono segni di violenza o di altro genere. Capisco che il dipinto possa essere affascinante, ma stiamo parlando di un uomo anziano con una vita sedentaria."
"Anche se fosse stato un infarto," insistette Ruben, "cosa faceva Martinelli nel Duomo a quell’ora? E perché ai piedi di quel quadro? Non può essere una coincidenza."
Boschi lo guardò con un sorriso di cortesia, ma il tono della sua voce si fece più secco. "Le coincidenze esistono, signor Martinez. Capisco che siate un artista, e forse la vostra sensibilità vi porta a cercare significati ovunque. Ma non siamo in un romanzo giallo. Non ho intenzione di disperdere risorse per inseguire fantasmi."
Ruben si alzò di scatto. "E se invece fossero ombre concrete?"
La donna scrollò le spalle. "Se trova delle prove, sono pronta ad ascoltarle. Ma finché non ne ha, questo rimane un caso di morte naturale."
Ruben lasciò l’ufficio della polizia frustrato, ma non scoraggiato. Non si fidava della lettura superficiale della situazione fatta dal commissario. Sapeva che doveva scavare più a fondo.

La pergamena 

Quella sera tornò al Duomo. Con l’aiuto di don Corrado, che ormai condivideva il suo scetticismo verso la versione ufficiale, Ruben cercò nei registri della chiesa.
"Martinelli passava molto tempo qui negli ultimi mesi," disse don Corrado, sfogliando un libro delle visite. "Non solo durante il giorno. Veniva spesso di notte, da solo."
"Che faceva?"
"Lavorava sugli archivi della parrocchia, o almeno così diceva."
Poi don Corrado si fermò su una pagina e indicò un’annotazione. "Guarda questo."
Ruben si avvicinò. L’annotazione, scritta di pugno da Martinelli, riportava un riferimento enigmatico: "Codice XIII, Nicchia di San Cristoforo. La verità si cela sotto il serpente."
"Che significa?" chiese Ruben.
"Non lo so," rispose l’arciprete, "ma la nicchia di San Cristoforo è proprio quella del dipinto di Ponzone."
Ruben e don Corrado si recarono immediatamente presso la Pala del Ponzone. Con una torcia e alcuni strumenti, Ruben iniziò a esaminare attentamente la cornice del dipinto. Dopo un’ora di ricerca, trovò una piccola incisione sul retro della cornice, nascosta da uno strato di polvere e cera.
Era un altro sigillo, identico a quello dipinto nella coppa di San Giovanni Evangelista. Ruben lo sfiorò con le dita, sentendo il freddo del metallo sotto di sé. Con uno scalpello delicato, riuscì a rimuoverlo. Dietro il sigillo, c’era una piccola cavità scavata nel legno.
Dentro, un rotolo di pergamena.
Ruben lo aprì con cautela. Era scritto in latino, e le parole erano difficili da decifrare, ma un passaggio colpì subito la sua attenzione: "La luce eterna non splende nel cielo, ma tra le mani di chi osa cercare. Giovanni non è solo un santo: è il custode della coppa della verità."
Il cuore di Ruben batteva forte. Quello non era un semplice dipinto. Era la chiave di un segreto custodito per secoli, un enigma che qualcuno era disposto a uccidere per proteggere.
"Don Corrado," mormorò Ruben, "abbiamo appena trovato qualcosa di molto pericoloso."

Il pozzo di Callisto

Ruben Martinez srotolò lentamente la pergamena, il respiro sospeso. La carta antica, macchiata dal tempo e dal silenzio, portava con sé una promessa di enigmi e pericoli. Al centro c’era una mappa, tracciata con linee sottili e sfuggenti che delineavano il territorio di Cividale e i suoi dintorni. Accanto, un testo in latino, ricco di simboli e allegorie.
"Colui che cerca la luce seguirà il cammino oscuro, dal Pozzo di Callisto all’ombra della collina dei Re. Là dove il serpente dorme, il sapere giace sepolto."
Don Corrado si fece il segno della croce. "Il Pozzo di Callisto… si trova dietro il Duomo. È lì da secoli."
Ruben guardò la mappa. Il percorso tracciato si spingeva dalla posizione del Duomo verso nord-ovest, fino alla collina dove un tempo sorgeva il Castello di Zuccola. "E la collina dei Re?"
"Là sorgeva il maniero di Zuccola," spiegò don Corrado. "Un castello che dominava la città e distrutto nel XIV secolo dalle truppe del Patriarca di Aquileia. Non ne rimane nulla, solo qualche pietra in mezzo al bosco e qualche leggenda."
"Leggende?"
"L’antica tradizione popolare parla di cunicoli sotterranei che collegavano il castello a diversi punti della città. Nessuno li ha mai trovati, ma la mappa…" Corrado indicò la pergamena. "Potrebbe essere la chiave."
Ruben non dormì quella notte. Nella stanza dell’agriturismo che si affacciava sui resti del convento di San Giorgio in Vado, la pergamena era stesa sul tavolo, illuminata da una lampada fioca. L’artista tracciò mentalmente il percorso indicato: dal Pozzo di Callisto, il sentiero sembrava dirigersi verso un punto preciso sotto la collina del castello.
Il testo allegorico parlava di un cammino oscuro e di un serpente che dorme. Ruben si chiedeva se questi elementi avessero un significato simbolico o pratico. Il serpente, già presente nel dipinto di Ponzone, sembrava essere il centro del mistero.
La mattina seguente, decise di iniziare dal Pozzo di Callisto.
Il pozzo si trovava in un angolo appartato dietro l’abside del Duomo e il palazzo del Museo, in cima ad una scalinata che conduceva alle Mura dell’antico monastero delle suore Orsoline. Ruben, con don Corrado al suo fianco, osservò la struttura antica. Sul bordo, incise nella pietra, c’erano iscrizioni consunte dal tempo. Una frase in latino attirò la sua attenzione:

"In tenebris lucet lux, sed viae sub aquis latent."
(La luce splende nelle tenebre, ma i sentieri si nascondono sotto l’acqua.)

"Sotto l’acqua?" chiese Ruben, accovacciandosi per guardare meglio.
"Un’altra allegoria," disse Corrado. "O forse un’indicazione letterale."
Ruben decise di calare una torcia elettrica legata a una corda dentro il pozzo. La luce illuminò le pareti scivolose, fino a rivelare qualcosa di inaspettato: un’apertura laterale, nascosta tra le ombre.
"È un passaggio," disse Ruben, con gli occhi che brillavano di eccitazione.
Con l’aiuto di Guido, il proprietario dell’agriturismo, Ruben e don Corrado riuscirono a calarsi nel pozzo. L’apertura conduceva a uno stretto cunicolo. L’aria era umida, e l’odore di terra e muffa rendeva difficile respirare. Ruben si fece strada con una torcia, mentre i passi risuonavano sordi nel silenzio.
Il cunicolo sembrava seguire il percorso indicato sulla mappa. A un certo punto, trovarono un piccolo altare scavato nella roccia. Sopra, un’incisione rappresentava un serpente avvolto attorno a una coppa, lo stesso simbolo visto nel dipinto di Ponzone.
"Stiamo andando nella direzione giusta," disse Ruben.
Il cammino continuava, tortuoso e in salita, fino a raggiungere una vasta cavità che sembrava appartenere a una struttura più grande. Le pareti erano rivestite di pietra lavorata, e Ruben capì che si trovavano nei sotterranei di quello che un tempo era il castello di Zuccola. 
Al centro della stanza, c’era un’altra nicchia con una coppa in pietra, simile a quella nel dipinto. Dentro, un liquido scuro e denso emanava un odore pungente. Sopra la nicchia, incisa in lettere antiche, c’era una frase:
"Il sapere è un veleno per chi non è degno."
Ruben si avvicinò con cautela. Sentiva il peso della storia che lo circondava, il legame tra quel luogo, il dipinto, e il destino di Giacomo Martinelli.
"Forse Martinelli è arrivato qui," mormorò. "Forse ha scoperto qualcosa che non avrebbe dovuto."
Don Corrado si fece il segno della croce. "E se fosse stato punito per questo? Il serpente non è solo un simbolo: è un avvertimento."
Mentre Ruben osservava la coppa, un’idea lo colpì. Forse il sapere nascosto lì non era un semplice oggetto o un segreto banale. Forse era qualcosa che poteva cambiare tutto ciò che si sapeva sul passato di Cividale, della Chiesa, e delle verità custodite nei secoli.
Ma mentre i due uomini contemplavano il significato di ciò che avevano trovato, un rumore improvviso risuonò nel cunicolo alle loro spalle. Qualcuno li stava seguendo. E non era mosso da intenzioni amichevoli.

Non siamo soli

Ruben e don Corrado si voltarono di scatto, le torce tremolanti che illuminavano il buio alle loro spalle. Tre figure emersero dall'oscurità del cunicolo, avanzando lentamente. Le prime due erano giovani, con capelli raccolti sotto scialli neri, il volto pallido e serio. Camminavano con passo sicuro, come se conoscessero bene il luogo. Dietro di loro, in abiti civili, seguiva il commissario Irene Boschi.
"Commissario?" esclamò Ruben, incredulo.
Boschi non rispose subito. I suoi occhi si posavano sulla coppa al centro della stanza, quasi ignorando la sorpresa dell'artista. Quando finalmente parlò, il tono della sua voce era calmo, ma carico di sottintesi.
"Non pensavate davvero che vi avrei lasciati vagare da soli in questo labirinto, vero?" disse, accennando un sorriso sottile. "Voi due sembrate attrarre i guai, e io odio lasciare le cose a metà."
Ruben si avvicinò a un passo da lei, puntando la torcia contro il pavimento. "Cosa significa tutto questo? E loro chi sono?" indicò le due giovani donne.
Boschi alzò lo sguardo verso di loro. "Loro mi aiutano. È tutto quello che dovete sapere per ora."
Don Corrado era più esitante. Fece il segno della croce e si rivolse a Boschi. "Commissario, questo luogo è sacro… o maledetto. Non dovremmo essere qui."
Boschi lo fissò con un’espressione di calma autoritaria. "Padre, è proprio per questo che siamo qui. Non vi rendete conto di cosa rappresenta questo posto? Di cosa avete trovato?"
Ruben, ancora diffidente, incrociò le braccia. "Sembra che sappia più di quanto abbia voluto ammettere in precedenza."
Boschi sospirò. "Ci sono storie, Martinez. Storie che la gente di Cividale racconta sottovoce. Parlo delle leggende che circondano il Castello di Zuccola, il convento di San Giorgio, e sì, anche il Duomo. Ma non sono solo storie, vero? Sono frammenti di una verità più grande. Una verità che qualcuno ha cercato di seppellire per secoli."
"Come mai ne sa così tanto?" chiese Ruben.
Boschi fece un passo avanti, osservando attentamente la coppa di pietra al centro della stanza. "Mio nonno lavorava nel Museo Archeologico. Mi raccontava sempre del custode del sapere, un segreto che nessuno avrebbe dovuto cercare. Eppure, il suo interesse era più forte del buon senso." Guardò Ruben. "Mi ha trasmesso quella curiosità. Ma poi Giacomo Martinelli è morto, e mi sono accorta che quel segreto è pericoloso."
Ruben si chinò sulla coppa, osservando il liquido scuro al suo interno. "Questo segreto è legato al serpente, alla coppa e alla mappa. Ma perché le leggende di Cividale dovrebbero essere così pericolose?"
Boschi alzò un dito per zittirlo, mentre una delle due giovani donne si avvicinò al tavolo di pietra, portando con sé una candela accesa. Le sue mani erano ferme, il volto inespressivo. Posò la candela accanto alla coppa e poi si rivolse a Ruben e Corrado.
"Ciò che cercate non vi appartiene," disse, con una voce calma e distante.
Don Corrado sgranò gli occhi. "Chi siete voi?"
L’altra giovane si avvicinò, il volto serio come quello della prima. "Siamo custodi. Da generazioni proteggiamo i segreti di questo luogo. Quando Giacomo Martinelli ha trovato la mappa, sapevamo che sarebbe stato solo l’inizio."
Boschi, che fino a quel momento aveva mantenuto una certa distanza emotiva, si voltò verso Ruben. "Capite ora perché dovevo seguirvi? Non potevo lasciare che questa storia prendesse una piega incontrollata. Non mi fido nemmeno di loro."
"Nemmeno di noi?" rispose una delle giovani. "Ma senza di noi non saresti mai arrivata qui."
La tensione aumentò, palpabile come l’umidità nel sotterraneo. Ruben osservava il liquido nella coppa e le donne intorno a lui, cercando di mettere ordine nei pensieri. La coppa era più di un simbolo: sembrava contenere qualcosa di fisico e concreto, ma anche intriso di una potenza oscura, come se fosse stata al centro di rituali o conoscenze proibite.
"Martinelli ha trovato la mappa," disse Ruben, cercando di collegare i fili. "E probabilmente è arrivato fin qui. Ma cosa ha scoperto?"
Boschi scosse la testa. "Non lo sapremo mai. Ma io voglio capirlo, Ruben. E se per farlo devo andare contro ogni regola, lo farò."
Le due giovani donne si scambiarono uno sguardo, poi una di loro si avvicinò ancora di più alla coppa. "La verità che cercate non è per voi," disse con un tono definitivo.
Ma prima che potesse fare altro, un rumore sordo risuonò nel cunicolo. Un'eco inquietante che fece voltare tutti verso l'oscurità. Non erano soli.

Manzoni

Dal buio del cunicolo emerse una figura, avanzando con passi lenti e deliberati. La luce tremolante delle torce rivelò il volto del direttore del Museo Archeologico, Federico Manzoni. Indossava un lungo cappotto scuro, e il suo viso era impassibile, come se avesse pianificato quell’incontro da tempo.
"Manzoni!" esclamò don Corrado, sorpreso. "Cosa ci fa qui?"
Il direttore sorrise freddamente. "Padre, ci sono segreti che non possono essere lasciati nelle mani sbagliate. E sembra che voi abbiate avuto la sfortuna di imbattervi in uno dei più pericolosi."
Ruben lo fissò con sospetto. "E lei come lo sa, direttore? Cosa sta cercando?"
Manzoni avanzò fino a posizionarsi accanto alla coppa, i suoi occhi che brillavano nel buio come se il liquido oscuro lo ipnotizzasse. "Quello che sto cercando, Martinez, è la verità. La stessa che Giacomo Martinelli ha osato scoprire. Ma lui non era degno. Io sì."
Boschi intervenne, con il tono tagliente che usava nelle interrogazioni. "Degno di cosa, Manzoni? Si spieghi."
Manzoni si voltò verso di lei, il sorriso appena accennato. "Temo che la spiegazione superi ciò che voi potete comprendere, commissario. Ma visto che insistete…"
Si fermò, quasi a voler creare un effetto drammatico. Poi continuò: "Da anni sono affiliato a un ordine che molti credono scomparso: i Nuovi Cavalieri Templari. Non siamo come quelli delle leggende. Non cerchiamo oro o gloria. Il nostro scopo è preservare le conoscenze antiche, quelle che la Chiesa e i poteri mondani hanno tentato di cancellare per secoli."
Ruben osservava Manzoni con crescente inquietudine. "E cosa c’entra questa coppa con il suo ordine?"
Manzoni indicò il simbolo del serpente inciso sulla pietra. "Questo non è solo un simbolo. È un sigillo. E questa coppa non è una reliquia qualunque. È l’ultimo frammento di un sapere perduto, custodito dai templari originali prima che fossero distrutti. Un sapere che può cambiare tutto ciò che crediamo di sapere sulla fede, sulla storia e sul potere."
Don Corrado scosse la testa, allarmato. "Questa è blasfemia! Non avete alcun diritto di interferire con ciò che appartiene alla Chiesa!"
Manzoni rise, una risata breve e tagliente. "La Chiesa, padre? La stessa Chiesa che ha distrutto il Castello di Zuccola per seppellire questi segreti? La stessa che ha scacciato le monache di San Giorgio quando hanno scoperto troppo? Non mi faccia ridere."
Boschi avanzò, posizionandosi tra Manzoni e la coppa. "Qualunque cosa creda di sapere, direttore, questa non è una giustificazione per intralciare un’indagine ufficiale. Martinelli è morto, e io devo capire perché."
Manzoni la guardò con compassione, quasi con pena. "Martinelli è morto perché era curioso, ma non aveva una guida. Non era parte dell’Ordine. Non avrebbe mai dovuto mettere piede qui."
"Lo ha ucciso lei?" chiese Ruben, sfidandolo apertamente.
Manzoni scosse la testa. "Non direttamente. Ma ho fatto in modo che la sua curiosità fosse il suo stesso nemico."
Boschi strinse i pugni, ma prima che potesse reagire, una delle due giovani donne che accompagnavano il commissario parlò. "Direttore Manzoni, non ci interessa la sua affiliazione. Il nostro compito è proteggere questo luogo, e se necessario, impedire che chiunque se ne appropri."
"Proteggere?" rispose Manzoni, alzando un sopracciglio. "Proteggere da chi? Da voi stesse? O da chi, come me, potrebbe usare questo sapere per il bene dell’umanità?"
Ruben si rese conto che la tensione stava crescendo. Le parole di Manzoni erano calcolate, ma c’era una sfumatura di fanatismo che lo rendeva pericoloso. Cercando di riportare l’attenzione sul mistero, si avvicinò alla coppa.
"Qualunque sia la verità," disse Ruben, "non possiamo ignorare che questa coppa e ciò che contiene sono simboli di qualcosa di più grande. Ma la domanda è: è una verità che deve essere rivelata, o sepolta per sempre?"
Manzoni si voltò verso di lui, con un’espressione quasi compassionevole. "Martinez, lei è un artista. Dovrebbe capire che la verità non può essere rinchiusa. È destinata a venire alla luce, in un modo o nell’altro."
Il momento fu spezzato da un rumore improvviso. Qualcosa si mosse nelle profondità del cunicolo, come se il luogo stesso rispondesse alla presenza di troppi estranei. La terra tremò leggermente, e un soffio di aria umida e gelida attraversò la stanza.
Boschi estrasse la pistola dalla fondina, puntandola verso l’oscurità. "Cosa diavolo è stato?"
Manzoni sorrise. "Forse il luogo ci sta dicendo che il tempo delle decisioni è giunto. Chi di noi è davvero degno di custodire questo segreto?"
La stanza sembrava pulsare di un’energia invisibile, e Ruben capì che il pericolo non veniva solo da Manzoni o dalle misteriose custodi. C’era qualcosa di antico, qualcosa che vegliava su quel luogo, e che non avrebbe permesso a nessuno di andarsene senza un prezzo da pagare.

Non illuminate la tenebra

L’aria nella stanza sembrava divenire più pesante, carica di un’energia arcana che spingeva tutti i presenti verso un limite invisibile. Ruben Martinez sentiva il peso delle decisioni che si accumulavano come ombre attorno alla coppa. Davanti a lui, Federico Manzoni fissava il calice come un devoto davanti a una reliquia sacra, mentre il commissario Boschi e le due misteriose giovani donne sembravano pronte a un confronto inevitabile.
Poi, un tremore. Non solo nella terra, ma nelle menti di tutti i presenti, come un pensiero collettivo imposto da qualcosa di oltre la comprensione umana.
"Questo luogo non è un semplice deposito di storia," sussurrò Ruben, guardando la coppa. "È un confine. Una soglia tra ciò che conosciamo e ciò che non dovremmo sapere."
Manzoni scattò in avanti, afferrando il calice. "La verità appartiene a chi ha il coraggio di prenderla!"
Boschi puntò la pistola contro di lui. "Metta giù quella cosa, Manzoni. Non so cosa lei creda che sia, ma non glielo lascerò portare via."
Le due giovani donne si mossero contemporaneamente, una verso Manzoni e l’altra verso Boschi. La tensione esplose in un momento di caos: Manzoni indietreggiò, stringendo la coppa, mentre Boschi gridava di fermarsi. Ruben si mosse istintivamente, cercando di raggiungere Manzoni per impedirgli di fare qualcosa di avventato.
Manzoni alzò la coppa sopra la testa, gridando con voce quasi profetica: "Se il sapere è veleno, io lo berrò. Se è salvezza, io sarò colui che lo porterà al mondo!"
Prima che qualcuno potesse fermarlo, portò la coppa alle labbra e bevve.
Il silenzio cadde nella stanza, rotto solo dal suono metallico del calice che cadeva a terra. Manzoni rimase immobile, gli occhi spalancati. Per un momento, sembrò che nulla fosse accaduto. Poi, un urlo straziante uscì dalla sua gola.
Si piegò in avanti, afferrandosi il petto, mentre il suo volto si contorceva in un’espressione di terrore. Ruben e Boschi si ritrassero, impotenti, mentre le due giovani donne recitavano qualcosa a bassa voce, come un’antica preghiera.
Manzoni cadde a terra, immobile.
Boschi si avvicinò con cautela, mantenendo l’arma puntata. Si inginocchiò accanto al corpo, controllando il polso. Poi guardò Ruben, il volto pallido. "È morto."
Don Corrado si fece il segno della croce. "Il sapere nella coppa… era davvero un veleno."
Una delle giovani donne scosse la testa. "Non era veleno. Era giudizio. La coppa riconosce chi è degno e chi non lo è. E lui non lo era."
Ruben fissava il calice, ora vuoto, che giaceva sul pavimento. Sentiva il peso di ciò che era appena accaduto. La coppa non era solo un oggetto antico, ma un simbolo vivente di un potere che non apparteneva a questo mondo.
"Che facciamo ora?" chiese Boschi, il tono insolitamente insicuro.
Una delle giovani donne si avvicinò al calice, lo raccolse con delicatezza e lo ripose nella nicchia da cui era stato prelevato. "Questo luogo deve essere sigillato di nuovo. Il segreto deve restare qui, dove è sempre appartenuto."
Boschi guardò le due donne con sospetto. "E voi? Chi siete davvero?"
La più anziana delle due sorrise debolmente. "Non importa chi siamo. Siamo solo custodi. La nostra missione è proteggere ciò che non può essere compreso."
Mentre il gruppo usciva dai sotterranei, Ruben non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che qualcosa fosse cambiato in lui. Aveva visto l’arte trasformarsi in un enigma vivente, il passato prendere vita e il mistero consumare un uomo.
Boschi, ora più silenziosa e riflessiva, lo avvicinò mentre camminavano. "Non so cosa abbiamo trovato, Martinez, ma so che questo luogo non dovrebbe mai più essere disturbato."
Ruben annuì. "Il sapere è potente, ma non tutti sono pronti per esso. Forse è meglio così."
Dietro di loro, le due giovani donne chiusero l’ingresso del sotterraneo, murandolo con blocchi di pietra portati da Guido e alcuni uomini dell’agriturismo. Quando l’ultimo mattone fu posto, sembrò che l’oscurità del luogo tirasse un sospiro di sollievo.
Di Manzoni rimase solo un ricordo sbiadito e il peso di una lezione: non tutto ciò che è nascosto merita di essere scoperto.
Ruben lasciò Cividale il giorno dopo, con un cuore gravato dal mistero e una mente piena di domande che non avrebbero mai avuto risposta. Ma mentre il treno lo portava lontano, sapeva che il dipinto di Ponzone, il Pozzo di Callisto e il Castello di Zuccola sarebbero rimasti con lui per sempre, come un enigma indelebile nella tela della sua anima.


venerdì 6 dicembre 2024

AVELLINO SBANCA VIA PERUSINI ALL'OVERTIME

 

 Sulle ali dell'entusiasmo dopo la vittoria colta con il piglio della “grande” sette giorni giorni fa a Cento davanti alle telecamere di RAI Sport, le Aquile cividalesi ospitavano i “Lupi” irpni con l'intento di apporre il decimo sigillo consecutivo alla serie di successi iniziati due mesi fa in via Perusini nel derby contro l'APU Udine, per eguagliare il record della scorsa stagione e agganciare ancora una volta la capolista Rimini in vetta alla classifica, almeno per un'altra notte.

A cercare di rovinare i piani della “truppa” di Pillastrini tra le file di Avellino, team neopromosso attualmente in zona play-in dopo aver piegato all'overtime domenica scorsa a domicilio l'Urania Milano, due “vecchie” conoscenze quali il temuto “cecchino” ex APU Mussini e il pivot Aleksa Nikolic, che invece vestì la casacca gialloblù nella prima parte della stagione 2022/23, quella dello storico debutto in serie A2 per la Gesteco.

L'impresa riesce ai campani che espugnano il PalaGesteco violando l'imbattibilità stagionale di via Perusini dopo un tempo supplementare di una gara che avevano condotto a lungo prima di subire il veemente rientro di Cividale nell'ultimo quarto.

Decisiva è stata per gli ospiti la prestazione di Mussini, che in un finale bollente ha letteralmente trascinato i suoi a riprendersi una gara che sembrava indirizzata ancora una volta verso Cividale.

Per la palla a due sul parquet ci sono Redivo, Marks, Marangon, Dell'Agnello e Berti per Cividale e Lewis, Mussini, Jurkatam, Bortolin e Earlington per Avellino con il biancoverde Jurkatam in evidenzia nel 4-12 iniziale che vede una falsa partenza della squadra di casa che soffre in difesa e in attacco mette a referto percentuali nettamente sotto la media, faticando non poco a trovare il bandolo della matassa; a 2'36” dalla prima sirena Pillastrini chiama minuto sul 9-16 e manda in campo Rota per Redivo ed il capitano lo ripaga subito con un rimbalzo offensivo ed un assist ma gli ospiti si dimostrano in serata e più reattivi sulle seconde palle, chiudendo avaniti 13-22 la prima frazione. Alla ripresa del gioco sul parquet entrano Ferrari e Mastellari assieme a Redivo, Rota e Miani con un buon impatto di Ferrari che fa sentire la sua energia a rimbalzo sia in attacco che in difesa e permette ai padroni di casa di rispondere alle iniziative degli irpini, mentre Mastellari infila la tripla del 21-29 a 6'50”.

La guardia bolognese è in serata e mette in striscia altri punti per il 25-31 e per il 30-35 ma dopo che la Gesteco fallisce alcuni possessi per accorciare ancora è Mussini a riportare sul + 10 Avellino (30-40) a 1'40” dall'intervallo lungo, a cui si perviene sul 32-44 perché Cividale non riesce a dare continuità alla rimonta, perdendo alcuni palloni in attacco e tornando a soffrire in difesa l'intraprendenza degli ospiti.

La ripresa inizia con un parziale di 7-0 per la Gesteco che riavvicina Cividale (39-44), ma ancora una volta gli ospiti reagiscono subito e ritornano sul + 12 dopo due liberi di Jurkatam (39-51) per poi allungare sul + 16 a 3'56” (41-57) perchè i ducali in attacco vanno in confusione; in questa fase il pubblico riesce a scuotere i propri beniamini che riescono a rientrare sul – 7 migliorando le percentuali e l'intensità in difesa e chiudere sul 52-60 la terza frazione.

All'inizio dell'ultimo quarto va in scena un “film” visto molte altre volte in via Perusini, con Cividale capace d'infiammarsi e andare sul – a 2 a 7'57” con una tripla di capitan Rota (60-62) e poi raggiungere la parità con due liberi di Berti (62-62) e il primo vantaggio sul 65-64 con una tripla aperta di Mastellari servito da Rota a 6'12” dall'ultima sirena.

L'inerzia adesso è tutta dalla parte dei ragazzi di Pillastrini che a metà tempo sono avanti di 6 (70-64) e a 3'47” il tabellone segna 72-65, con gli irpini che hanno realizzato solo 5 punti dalla partenza dell'ultimo periodo; è invece Mussini che con due triple consecutive rimette tutto in discussione (72-71) e costringe coach Pillastrini a richiamare i suoi a 2'42” per organizzare al meglio l'ennesimo finale vietato ai deboli di cuore. Il finale è davvero un “Mussini contro tutti”, con l'ex APU che segna tutti i punti di Avellino e manda il match all'overtime sul 77-77 dopo aver fallito la tripla della vittoria.

Nel tempo supplementare partono meglio gli ospiti che si portano sul 77-83 grazie a Lewis ed ipotecano il match che riescono a vincere con merito, resistendo anche al ritorno dei ducali sull'82-84, i quali però hanno peccato di lucidità nella gestione degli ultimi cruciali possessi e patito una serata decisamente no di Marks e di una infelice di Redivo al tiro.


UEB GESTECO CIVIDALE – AVELLINO BASKET 85-90 dopo 1 t.s.

(13-22, 32-44, 52-60, 77-77)

UEB GESTECO CIVIDALE

Marks 4, Redivo 14, Miani 6, Mastellari 22, Rota (k) 13, Degano n.e., Marangon 7, Berti 4, Ferrari 6, Micalich n.e., Dell'Agnello 9, Piccionne n.e.

Allenatore Stefano Pillastrini

Vice Giovanni Battista Gerometta, Alessandro Zamparini

Tiri da due 19/43, Tiri da tre 8/32, Tiri liberi 23/29 Rimbalzi 46 (24 dif. 22 off.)

AVELLINO BASKET

Lewis 15, Jurkatam 16, Mussini 22, Earlington 23, Maglietti, Verrazzo (k) 2, Bortolin 8, Nikolic, Perfigli, Chinellato 4.

Allenatore: Alessandro Crotti

Vice Salvatore Formato e Rodolfo Robustelli.

Tiri da due 23/46, Tiri da tre 7/23, Tiri liberi 23/27 Rimbalzi 43 (29 dif. 14 off.)

Arbitri: Marco Barbiero di Milano, Chiara Maschietto di Casale e Francesco Praticò di Reggio Calabria

Spettatori: 2.500 circa

giovedì 5 dicembre 2024

L’ENIGMA DEL DUOMO DI CIVIDALE

Rubén studiava il quadro con l’intensità di chi sa che l’arte è più che estetica: è un enigma, un portale verso il passato. Nella pala del XVI secolo di Matteo Ponzone, la Madonna con il Bambino era avvolta in una penombra che sembrava viva. La nicchia in cui si trovavano dava un senso di chiusura e protezione, ma anche di reclusione.

San Giovanni, invece, sembrava un’anomalia: ritratto con tratti effemminati, quasi come se fosse una donna, osservava la Madonna e il Bambino con un’estasi che sfiorava l’inquietudine. Nelle sue mani, un calice. Sul fondo del calice, appena visibile, si intravedeva la sagoma di un serpente, quasi un’ombra sfuggente, come se Ponzone avesse voluto celare quel dettaglio agli occhi meno attenti.


Il Bambino sembrava vivo anch’esso, ma non per il suo sguardo ingenuo. La posizione del corpo raccontava altro: il piccolo Gesù si dimenava, come se volesse fuggire dall’abbraccio della Madre e dirigersi verso San Giovanni.

Rubén si accorse che quel movimento, apparentemente casuale, aveva un senso: il Bambino non solo guardava il calice, ma sembrava attratto dal serpente, come se fosse l’unico elemento che realmente catturava la sua attenzione.

“Un simbolismo cupo”, mormorò Rubén, passandosi una mano tra i capelli.

Un enigma in penombra

Il pittore spagnolo era stato convocato a Cividale per risolvere un mistero annuale: ogni solstizio d’inverno, un viaggiatore veniva trovato morto davanti a quel quadro. Nessun segno di violenza, nessuna causa apparente. Ma i loro volti erano sempre congelati in un’espressione di terrore misto a estasi, quasi che avessero visto qualcosa di ultraterreno.

“Questo quadro…”, disse Rubén al parroco don Corrado, “non è solo un’opera d’arte. È un enigma. Ogni elemento sembra voler comunicare qualcosa.”

Don Corrado sospirò. “E ogni anno una vita si spegne qui. Non capiamo. L’unica costante è il solstizio e… il quadro.”

Rubén continuò a osservare. La nicchia era illuminata in modo particolare; la luce invernale filtrava dalle vetrate e creava un gioco di chiaroscuri che enfatizzava i tratti del Bambino e del serpente.

“Avete mai considerato che il quadro potrebbe essere stato concepito per essere visto solo in questa luce?”

Il simbolo del serpente

Rubén, con il suo quaderno di appunti, si concentrò sul serpente. Era un simbolo complesso: tentazione, conoscenza, peccato. Ma in un calice? Era un dettaglio insolito. Fece una ricerca veloce negli archivi del Duomo e trovò un appunto criptico di un antico canonico:

“Il calice contiene il veleno della verità. Solo chi è pronto può bere e vivere.”

Le parole rimbombarono nella mente di Rubén. Tornò al quadro e si chinò per osservare meglio. C’era qualcosa sulla superficie del calice: un’incisione minuscola, quasi invisibile. Con la lente, riuscì a leggere: “Fiat Lux.”

“Che la luce”, tradusse a bassa voce, “sia rivelatrice.”

Il giorno del solstizio

Il solstizio arrivò con il suo freddo e la sua luce limpida. Alle 11:58, quando il sole era al culmine, un raggio penetrò attraverso la vetrata e colpì il quadro. La nicchia si illuminò, e l’intera scena parve prendere vita. Il Bambino, in quel momento, sembrava quasi scivolare verso San Giovanni; l’estasi sul volto del santo diventava inquietante.

Rubén notò che la luce non si fermava al quadro. Si rifletteva sul pavimento, tracciando un sentiero che portava a una lastra di pietra.

Con il permesso del parroco, quella lastra fu rimossa. Sotto, c’era un passaggio che conduceva a una piccola stanza. Al centro, un antico calice, identico a quello dipinto, e un serpente mummificato che si attorcigliava attorno alla base.

Sul bordo del calice c’era una scritta in latino: “Solo chi beve la verità può vedere ciò che giace nascosto.”

Un sacrificio inevitabile

Rubén capì il significato. Il quadro, la nicchia, il calice: tutto era un rituale. Chiunque fosse in grado di risolvere l’enigma veniva inevitabilmente attratto dal calice nella cripta. E, bevendo, avrebbe visto una verità che la mente umana non poteva sostenere.

“È un testamento medievale”, disse al parroco. “Forse qualcuno, secoli fa, ha cercato di nascondere una conoscenza troppo pericolosa per il mondo.”

“Ma perché il quadro continua a mietere vittime?” chiese don Corrado.

“Perché non è il quadro a uccidere. È la curiosità. Chiunque veda quella luce e segua il percorso non può fermarsi. E alla fine, come il Bambino che cerca il serpente, finisce per affrontare qualcosa di insopportabile.”

Sigillare il passato

Il parroco decise di sigillare il passaggio sotto il Duomo. Il quadro, tuttavia, rimase. Rubén sapeva che il dipinto avrebbe continuato a essere un’attrazione irresistibile, una finestra su un mistero irrisolvibile.

Prima di andarsene, però, si accorse di un dettaglio che non aveva mai notato: la nicchia in cui erano ritratti la Madonna e il Bambino non era chiusa. Sul bordo c’era un’apertura, come se fosse stata concepita per permettere al Bambino di uscire.

Rubén lasciò Cividale con una sensazione inquietante. Non aveva trovato tutte le risposte, ma una cosa era certa: l’arte, come la verità, è pericolosa. E a volte, è meglio che i segreti restino sepolti nella penombra.

IL SILENZIO DI PETRA



Il sole, un disco d’oro ormai stanco, scendeva dietro le montagne rosse di Petra, e il Tesoro, l'Al-Khazneh, emergeva dalla penombra con una solennità che sembrava sfidare il tempo. La sua facciata, scolpita nella pietra rosa millenni prima, brillava di una luce che pareva venire dall’interno, come se custodisse un cuore pulsante, immortale. Le colonne corinzie, levigate dal vento e dalla sabbia, sembravano ossa antiche che sostenevano la memoria di un popolo scomparso.

Rubén osservava quei dettagli, il timpano cesellato, le nicchie vuote, e non poteva fare a meno di vedere un riflesso della propria vita. Come il Tesoro, la sua esistenza era stata un’opera di pazienza e fatica, scolpita da anni di viaggi, decisioni difficili e momenti di fugace ispirazione. Ma, come quel monumento, si sentiva consumato. Non erano forse anche le sue ambizioni erose dai venti del tempo? Le sue opere, sparse per il mondo, non erano forse nicchie vuote, ricordi di ciò che avrebbe voluto essere più che di ciò che era davvero diventato?

Un fruscio lo distolse dai suoi pensieri. Si voltò e vide un cane magro, il pelo fulvo striato di polvere, che si avvicinava lento, i movimenti cauti ma decisi. I suoi occhi dorati brillavano nel crepuscolo, pieni di una curiosità calma, quasi inquisitoria. L’animale si fermò a pochi metri da lui, sedendosi sulla sabbia con un gesto fluido.

Rubén lo osservò, sorpreso dalla tranquillità del cane. Aveva visto animali randagi in molti dei suoi viaggi, spesso diffidenti o spaventati, ma questo sembrava diverso, come se fosse lì per un motivo preciso.

“Hai fame?” chiese Rubén in spagnolo, sapendo che non avrebbe ricevuto risposta. Frugò nello zaino, trovando un pezzo di pane secco. Lo spezzò e lo gettò verso il cane, che lo annusò con cautela prima di prenderlo tra i denti.

Il cane mangiò lentamente, senza fretta, poi si sdraiò accanto a lui, gli occhi sempre puntati sul Tesoro. Per qualche istante, Rubén si sentì meno solo. Guardò di nuovo la facciata, che ora stava sprofondando nell’oscurità, le sue forme appena visibili contro il cielo stellato.

“Sembri capirlo meglio di me,” mormorò al cane, che si limitò a inclinare leggermente la testa. “Tu non devi preoccuparti di lasciare un segno, di creare qualcosa che sopravviva. Vivi e basta.”

Il cane lo osservava in silenzio, e Rubén si chiese se quegli occhi calmi non contenessero una saggezza che lui stesso aveva perso. Aveva passato una vita a inseguire l’idea di immortalità attraverso la sua arte, ma ora, davanti a quel monumento che resisteva da secoli, sentiva tutta l’effimera fragilità della propria esistenza.

“Allora,” disse rivolto più a sé stesso che all’animale, “forse è questo che devo imparare. Lasciare che le cose siano.”

Ma dentro di sé sapeva che non era così semplice. Non sentiva la pace che avrebbe voluto trovare. Il cane si alzò, stirandosi, e iniziò ad allontanarsi senza fretta, lasciandolo di nuovo solo. Rubén lo seguì con lo sguardo finché la sua figura sparì tra le rocce.

Il Tesoro era ormai avvolto nell’ombra, come un gigante addormentato. Rubén aprì il quaderno, cercando di disegnare qualcosa, ma la mano gli tremava. Le pagine bianche sembravano sfidarlo, ricordandogli la possibilità che il suo tempo come artista fosse finito.

Chiuse il quaderno con un gesto deciso e si alzò, sentendo il peso dello zaino come un macigno. Guardò il Tesoro un’ultima volta, un monumento che sembrava dirgli che tutto è transitorio, anche ciò che crediamo eterno.

Si incamminò verso l’uscita del sito archeologico. Non era pronto a fermarsi, ma non sapeva nemmeno più dove andare. Dietro di lui, il Tesoro svaniva nella notte, come un segreto che si rifiutava di essere svelato

mercoledì 4 dicembre 2024

OMBRE A TULUM


 

Rubén si fermò davanti al muraglione che cingeva il sito archeologico di Tulum. Il vento del mar dei Caraibi gli scompigliava i capelli grigi mentre osservava le rovine che si stagliavano contro il blu intenso del cielo messicano. Non era la prima volta che visitava il Messico, ma stavolta c'era qualcosa di diverso. Forse era la solitudine. O, forse, quel retrogusto amaro che ancora gli bruciava in bocca.

Aveva cinquant’anni e, fino a pochi mesi prima, era stato il consulente artistico del Museo del Prado, un incarico prestigioso che pensava fosse la vetta della sua carriera. Ma non aveva previsto quanto fragile potesse essere quella posizione.

Tutto era iniziato con l’arrivo della nuova direttrice, una giovane donna brillante e sicura di sé in modo quasi aggressivo. L'aveva osservata durante il loro primo incontro: la sua sicurezza sembrava un’armatura e ogni parola che pronunciava era una freccia. "Il passato è importante, senor Rubén, ma non possiamo vivere di nostalgia. Il museo ha bisogno di innovazione, di energia giovane."

Non era stato un dialogo, ma un monologo calcolato. Rubén aveva percepito subito la sua determinazione a eliminare ogni ostacolo al suo progetto, e lui era un ostacolo. Aveva cercato di opporsi, di far valere i suoi anni di lavoro e i suoi risultati, ma le sue parole si erano infrante contro quella patina di sorrisi perfetti e frasi taglienti. Non c’era spazio per la diplomazia.

Quando si era reso conto che ogni sua obiezione sarebbe stata ignorata, si era rivolto al Presidente della Fondazione, l’uomo che, anni prima, lo aveva voluto fortemente in quel ruolo. Rubén ricordava ancora il giorno in cui il Presidente lo aveva chiamato per offrirgli l’incarico. "Ho bisogno di te," gli aveva detto allora. "Se vogliamo riportare il Prado al centro della scena, non possiamo farlo senza un uomo con il tuo talento."

E ora? Ora, dopo settimane di tentativi, non aveva ottenuto nemmeno una risposta. Nessuna chiamata, nessun messaggio. Nulla. Quel silenzio era stato peggio di qualsiasi licenziamento. Non era stato solo escluso: era stato cancellato.

"Non merito nemmeno una spiegazione," si era detto. La consapevolezza lo aveva umiliato, ma anche rabbuiato. "Lei l’ha manipolato" pensava riferendosi alla direttrice. C’era qualcosa di predatorio in quella donna, una capacità di sfruttare il potere altrui per rafforzare il proprio. Rubén si era trovato impotente, tradito e ridotto a un’ombra del rispetto che pensava di aver guadagnato.

Ora era lì, davanti ai templi di Tulum, cercando di capire cosa ne sarebbe stato di lui. Aveva trascorso la sua vita immerso nell’arte, ma quell’universo sembrava averlo abbandonato. Era già difficile ricominciare a cinquant’anni, ma farlo sapendo di essere considerato superfluo era quasi insostenibile.

Attraversò l’ingresso del sito e si trovò davanti alla scena che aveva visto in mille fotografie: le rovine maestose di Tulum, arroccate su una scogliera, con l’oceano turchese che lambiva la spiaggia sottostante. Sospirò, appoggiandosi a un muro di pietra. "Hai fatto bene a venire qui," si disse, ma non ne era del tutto convinto.

Prese il suo quaderno da schizzi e una matita dalla borsa. Disegnare lo aiutava a trovare pace, ma quel giorno le mani sembravano non rispondere. Guardava le linee dei templi maya, il cielo terso, le onde che s’infrangevano lontano. Eppure, la matita restava sospesa.

“Le piace la vista?”

La voce lo colse di sorpresa. Si voltò e vide una giovane donna in piedi accanto a lui. Portava un lungo abito di cotone bianco, decorato con ricami tradizionali, e una treccia spessa che le scendeva sulla spalla. I suoi occhi, di un nero profondo, lo fissavano con un misto di curiosità e calma.

“Sì, molto,” rispose Rubén, abbassando lo sguardo sul quaderno vuoto.

“È qui per disegnare?” continuò lei, indicando il quaderno con un gesto lento. La sua voce aveva una musicalità particolare, dolce e leggermente cantilenante.

“Ci provo,” disse Rubén, con un sorriso amaro.

La donna lo osservò per un momento, poi si avvicinò, rimanendo però a una distanza rispettosa. “Mi chiamo Itzel. Faccio la guida qui al sito, ma oggi sono libera. Mi piace venire qui anche quando non lavoro. I templi cambiano ogni volta, lo sa? Non sono mai gli stessi.”

Rubén la guardò, incuriosito. “Cosa intende?”

Itzel sorrise, ma il suo sguardo divenne serio. “Dipende da chi li guarda. Alcuni vedono un passato glorioso, altri solo rovine. Altri ancora... niente di tutto questo. Lei cosa vede?”

Rubén esitò. “Non lo so,” ammise. “Forse sto cercando una risposta che non trovo.”

Itzel rimase in silenzio per un momento, poi si sedette su una pietra vicina. “I Maya credevano che Tulum fosse un luogo sacro perché qui il cielo e la terra si incontrano. Un posto perfetto per chi cerca qualcosa.”

Rubén abbassò gli occhi sul quaderno. Poi tracciò una prima linea, tremante, che divenne una curva. Poi un'altra, un’ombra di un muro, l’orizzonte lontano. L’inquietudine nelle sue mani si trasformava a poco a poco in energia. Non era solo un disegno: era una mappa. Non per trovare qualcosa, ma per ricordare dove era già stato e chi era.

Man mano che il disegno prendeva forma, Rubén sentì riaffiorare una verità che aveva dimenticato. Non era l’incarico a definirlo, né il riconoscimento degli altri. Era ciò che sapeva fare: osservare, interpretare, creare. Aveva ancora il potere di dare forma al mondo che vedeva, e quel pensiero accese una scintilla.

Quando alzò lo sguardo, Itzel non c’era più. Era sparita, come un’apparizione.

Osservò il disegno. Non era perfetto, ma aveva un’energia che non sentiva da mesi. Il muro, le pietre, le ombre: c’era vita in ogni tratto. “Forse,” pensò, “non sono così finito come credevo.”

Rubén chiuse il quaderno e si diresse verso la spiaggia. Le onde continuavano a infrangersi, indifferenti al tempo, ai destini e ai rimpianti. E lui, per la prima volta, sentì che poteva lasciare andare ciò che era stato, senza dimenticarlo.

martedì 19 novembre 2024

IL PRIMO BLITZ NON SI SCORDA MAI

 Il 20 novembre è un giorno da ricordare nella storia delle Aquile Cividalesi, perché nel 2022 vide il primo successo in trasferta in assoluto in serie A2 della squadra del Presidente Micalich, proprio nella “sua” Forlì. 

Da matricola ed esordiente “totale” la Gesteco, reduce da tre sconfitte in altrettante gare lontano dal fortino di via Perusini, quella domenica sera scendeva nella tana della capolista, la calda Unieuro Arena di Forlì, campo che rimase inviolato per tutta la regular season.

In più, i gialloblù di Pillastrini arrivavano in Romagna con il solo americano Pepper, in attesa che Rotnei Clark varcasse l’oceano per sostituire l’ex capitano Adrian Chiera che aveva lasciato i compagni per Montecatini.

Insomma, oggettivamente, sembrava la serata sbagliata per il primo blitz esterno da scrivere nel libro d’oro della propria storia.

Ed invece, quella sera novembrina, al termine di una partita brutta, sporca e cattiva, anche grazie ad una tripla determinante di Enrico Micalich nelle battute finali, al suono della sirena finale il tabellone lampeggiava un inaspettato 53-56! 

Ebbi la fortuna di essere stato in parterre, assieme ad un solitario eroico tifoso sistemato nel settore ospiti, uno dei due unici supporter presenti a quello che poi la storia delle Aquile dimostrò di essere solo la primo di una lunga serie di imprese “against all odds”.

Fu una sensazione bellissima, con il mio caro amico forlivese Paolo Paolillo che per l’occasione mi aveva ospitato con tutti gli “onori”, che alla fine scuoteva la testa incredulo dicendo solo “non ho mai visto una partita così brutta” e l’anziano signore seduto vicino a me che non finiva di domandarmi, con un accento romagnolo da manuale: “ma quanto corre quel Rota!? Ma non si ferma mai??? mu’cos’è che gli date da mangiare???”

Quanta strada da allora (e vittorie, tra le altre, al Paladozza, a Milano, Roma, Udine) e quanta ancora ignota davanti: posso dire però che l’anima di quel gruppo e la sua voglia di stupire è rimasta sempre la stessa e probabilmente è la ragione costitutiva di tutti i suoi successi passati, presenti e futuri.

Uno spirito che nel tempo ha coinvolto ed appassionato un numero sempre crescente di sostenitori e sponsor ben oltre le sponde del Natisone e che da tempo accompagnano i ragazzi in maglia gialloblù ben più numerosi dei due lupi solitari di quella domenica 20 novembre 2022.

Raccontarne la storia fin dal primo giorno, un privilegio.

Unieuro Forlì - UEB Gesteco Cividale 53-56 
(22-12, 31-29, 35-40)

Unieuro Forlì: Nathan Adrian 10 (2/4, 1/8), Todor Radonjic 9 (2/3, 1/2), Luca Pollone 8 (0/0, 2/4), Nik Raivio 7 (0/5, 2/5), Fabio Valentini 7 (1/4, 1/6), Daniele Cinciarini 5 (1/3, 1/7), Lorenzo Benvenuti 5 (1/4, 0/0), Lorenzo Penna 2 (1/2, 0/4), Giulio Gazzotti 0 (0/0, 0/1), Benjamin Ndour 0 (0/0, 0/0), Michele Munari 0 (0/0, 0/0), Franco Flan 0 (0/0, 0/0)
Tiri liberi: 13 / 20 - Rimbalzi: 42 13 + 29 (Luca Pollone , Nik Raivio 8) - Assist: 10 (Lorenzo Penna 3)

UEB Gesteco Cividale: Eugenio Rota 13 (3/5, 1/4), Dalton Pepper 11 (4/11, 0/4), Giacomo Dell' agnello 11 (4/8, 1/1), Gabriele Miani 8 (1/2, 2/3), Aristide Mouaha 4 (2/7, 0/1), Leonardo Battistini 4 (2/6, 0/3), Enrico Micalich 3 (0/0, 1/1), Aleksa Nikolic 2 (1/2, 0/0), Alessandro Cassese 0 (0/1, 0/1), Brenno Barel 0 (0/0, 0/0)
Tiri liberi: 7 / 11 - Rimbalzi: 34 8 + 26 (Giacomo Dell' agnello, Aleksa Nikolic 8) - Assist: 10 (Eugenio Rota, Dalton Pepper, Giacomo Dell' agnello 3)

sabato 16 novembre 2024

CIVIDALE CONTINUA A VOLARE: FORTITUDO KO 86-75

Ferita nell'orgoglio dopo il pesante passivo subito nel turno infrasettimanale a Desio contro Cantù, attardata a soli 8 punti nella classifica generale e scossa dalle dimissioni del Presidente Tedeschi, la Fortitudo Bologna arrivava in via Perusini anche priva degli infortunati Sabatini, Cusin e del Big Aradori al cospetto di una Gesteco decisa ad allungare la striscia vincente di 7 successi consecutivi e continuare il sorprendente inseguimento alla capolista Rimini impegnata domani sul difficile e caldo campo della Libertas Livorno.

Il blasone e l'orgoglio della Effe non sono bastati a fermare il volo delle Aquile cividalesi che in attesa del risultato dei romagnoli si issano in vetta alla classifica dopo un match molto combattuto nel quale gli uomini di Pillastrini sono riusciti a conservare il vantaggio accumulato nella prima frazione di gioco, rintuzzando tutti i tentativi di rientro dei felsinei.

Dopo il tributo da parte di tutto il palazzo all'indimenticato ex Leonardo Battistini, protagonista indiscusso nell'ascesa di Cividale in serie A2, si parte con Redivo, Marks, Marangon, Dell'Agnello e Berti per la Gesteco mentre Cagnardi schiera Fantinelli, Bolpin, Mian, Gabriel e Freeman; l'approccio dei ducali è quello giusto sia per intensità difensiva che per precisione in attacco per un 11-2 a 6'19” firmato da 4 punti di Dell'Agnello e 5 punti del Sindaco Redivo e Cagnardi a chiamare la “doverosa” sospensione. Cividale però non molla presa, Bologna non riesce a trovare fluidità e tiri in attacco e grazie al solito Redivo e a Mastellari va sul 18-5 a 3'17” dalla prima sirena a cui si arriva poi sul 23-10 dopo una tripla di Marks. Il secondo periodo si apre con un tiro dall'arco di Miani che dà subito il +16 e poi Marks, sempre dall'arco riporta Cividale a + 15 (29-14) a 6'15” dopo alcuni possessi non concretizzati dai ducali; il vantaggio si mantiene praticamente inalterato fino a 2'55” dal riposo quando Bologna riesce a risalire a – 9 con una tripla di Mian e sfrutta diversi errori dei padroni di casa in attacco durante questa fase del match. All'intervallo lungo le due squadre vanno negli spogliatoi sul 42-30, perchè Mastellari suggella con una delle “sue” triple l'ultimo possesso di Cividale che beneficia anche di un fallo tecnico alla panchina di Bologna nelle ultime battute della frazione. Il terzo tempo si apre con un botta e risposta Freeman-Redivo dall'arco con gli ospiti che poi rientrano di prepotenza prima sul – 6 (47-41) con due conclusioni consecutive dai 6,75 e una difesa più aggressiva su Redivo e poi sul – 3 a 5'30” con Gabriel; il pubblico capisce che il momento è critico e incita a gran voce i gialloblù, i quali rispondono subito con un 7-0 firmato Dell'Agnello e Rota per il 54-44 a 3'51” dalla penultima sirena che induce la panchina ospite alla sospensione. I falsinei però non vogliono uscire dal match e fanno valere tutta la loro fisicità sotto il canestro ducale e si aggrappano qalla buona serata dell'ex APU Mian dall'arco per rientrare ancora sul – 5 e poi cedere alla sirena ancora sul – 10, visto che Ferrari letteralmente s'inventa un altro parziale di 5-0 e fa segnare il tabellone 63-53. Nell'avvio dell'ultimo periodo gli ospiti producono il massimo sforzo per riprendere Cividale e sono di nuovo a – 4 6'15” con Cividale che fatica a ritrovare la giusta fluidità nel condurre gli attacchi e subisce la fisicità a rimbalzo degli ospiti; si preannuncia ancora un finale punto a punto come da “tradizione” consolidata in via Perusini perchè il punteggio è di 69-66 a 4'12” e Cividale dimostra ancora una volta di trovarsi a proprio agio quando l'adrenalina sale perchè ritorna a + 11 (77-66) a 2'35” sfruttando la precisione dalla lunetta conseguente ai falli a cui vengono costretti gli avversari per fermare le incursioni dei gialloblù. Bologna ritorna a – 7 con un'azione che frutta 4 punti a 1'29” ma ormai la partita è saldamente nelle mani della Gesteco che chiude avanti 86-75.


UEB GESTECO CIVIDALE – FLATS SERVICE FORTITUDO BOLOGNA 86-75

(23-10, 42-30, 63-53)

UEB GESTECO CIVIDALE

Marks 9, Redivo 25, Miani 3, Mastellari 8, Rota (k) 9, Vivi n.e., Marangon 2, Berti 3, Ferrari 8, Micalich n.e., Dell'Agnello 19, Piccionne n.e.

Allenatore Stefano Pillastrini

Vice Giovanni Battista Gerometta, Alessandro Zamparini

Tiri da due 16/27, Tiri da tre 10/20, Tiri liberi 24/30 Rimbalzi 33 (28 dif. 5 off.)

FLATS SERVICE FORTITUDO BOLOGNA

Giordano, Ferrucci Morandi n.e., Gabriel 12, Battistini 9, Menalo, Bolpin 8, Panni 2, Mian 24, Fantinelli (k) 4, Freeman 16.

Allenatore: Devis Cagnardi

Vice Marco Carretto ed Emanuele Mazzalupi.

Tiri da due 18/35, Tiri da tre 7/27, Tiri liberi 10/30 Rimbalzi 32 (19 dif. 13 off.)

Arbitri: Stefano De Biase, Andrea Agostino Chersicla e Andrea Masi.

Spettatori: 2.900 circa


 

mercoledì 13 novembre 2024

CIVIDALE SI AGGRAPPA AL SINDACO E ALLA FINE INGRANA LA SETTIMA

Dopo aver sparato a salve per diversi tratti del match, nell’ultimo quarto il Sindaco carica la mitragliatrice con i colpi giusti e a Piacenza trascina i compagni alla settima vittoria consecutiva che conferma il secondo posto in solitaria a due sole lunghezze dalla capolista Rimini.

Alla fine 28 punti (20 nell’ultimo quarto di cui tutti i 14 finali) con 2/4 da due, 6/16 da tre, 6/6 ai liberi, 6 rimbalzi e 4 assist nei 31 minuti in cui è stato sul parquet di una partita complicata che ad un certo punto sembrava essere scappata di mano.

Passata la paura di un’inatteso stop ora la Gesteco mette nel mirino lo scalpo della Fortitudo Bologna, che sabato arriverà a Cividale priva di diversi uomini chiave e come una tigre ferita dopo la pesante sconfitta subita ieri a Cantù.


 

sabato 9 novembre 2024

CIVIDALE SENZA FRENI RIBALTA RIETI 77-63 CON UN FINALE A TUTTO GAS

Alla vigilia della stagione pochi avrebbero pronosticato che il primo incrocio nella storia di Real Sebastiani Rieti e Gesteco Cividale fosse addirittura il big-match della decima giornata di andata, con le due società appaiate al secondo posto in classifica assieme a Cantù e Udine, all'inseguimento della capolista Rimini che le precede di due lunghezze.

Le Aquile ducali reduci dal colpo esterno infrasettimanale sul caldo parquet del PalaMacchia di Livorno, che ha portato a 5 la loro striscia di successi consecutivi, puntavano a mettere in bacheca anche l'ultimo “scalpo” mancante tra le squadre di vertice di questo avvio di campionato, dopo aver già superato Udine e Cantù tra le mura amiche e violato il Pala Flaminio infliggendo l'unico stop ai romagnoli di coach Dell'Agnello.

Dunque ancora una sfida per “cuori forti” in via Perusini, al cospetto di un avversario che tra le sue file schierava due “vecchie” conoscenze del calibro degli ex APU Diego Monaldi e Marco Spanghero oltre che il “pericolo pubblico” Jazz Johnson; in particolare molto temuto era l'ex capitano bianconero Monaldi che nei suoi trascorsi friulani aveva sempre creato ben più di un grattacapo ai ragazzi di Pillasrtrini con il suo mortifero tiro dall'arco.

La Gesteco centra la sesta vittoria consecutiva ribaltando gli avversari nella seconda parte di un match che invece l'aveva vista subire a lungo la difesa reatina, il tiro dalla distanza del cecchino Monaldi.e la fisicità di Spencer.

Si parte con i “soliti” Redivo, Marks, Marangon, Dell'Agnello e Miani per i gialloblù di casa mentre gli ospiti rispondono con Monaldi, Johnson, Cicchetti, Pollone e l'ex triestino Spencer con Cividale che parte subito avanti sul 4-0 con Marks e Redivo, ma poi smarrisce la via del canestro e Rieti che si porta avanti sul 6-9 a metà tempo con Monaldi che colpisce per la prima volta dall'arco; nella seconda parte della frazione Rota e Ferrari rilevano Marks e Dell'Agnello e poi Mastellari e Berti entrano per Marangon e Miani ma i laziali dimostrano migliore circolazione della palla e percentuali al tiro e sono avanti 10-15 a 2'40” dalla prima sirena a cui si arriva con il tabellone che segna 16-22, massimo vantaggio per gli ospiti. Nel secondo periodo Rieti gioca con grande intensità difensiva costringendo i padroni di casa a percentuali deficitarie e a 4'01” dall'intervallo lungo conduce 21-33 dopo la quarta tripla consecutiva della serata da parte di Monaldi; il momento è delicato per i ducali ed il Sindaco Redivo che con la sua prima tripla e una penetrazione riesce a ricucire sul 26-33 a 2'20” dal riposo, con il coach ospite che chiama subito minuto di sospensione. Cvidale sbaglia per due volte il possesso del – 4 e viene subito punita da Johnson che manda Rieti negli spogliatoi avanti di 12 lunghezze (27-39). A metà gara il tiro dalla distanza condanna Cividale che fa registrare un 1/12 contro il 7/12 dei laziali. Alla ripresa del gioco la Gesteco spinta dal pubblico riesce a tornare a – 7 dopo una tripla di Marks, ma Monaldi è la solita sentenza e riporta i suoi sul + 10 a 6'30” prima che Lucio Redivo riprenda a tirare dall'arco con l'abituale precisione e a metà periodo ricuce sul - 3 (43-46) grazie a due liberi per un fallo intenzionale subito. Adesso è decisamente un'altra partita quando Dell'Agnello infila il – 1 (45-46) e Marks dalla media firma il sorpasso (47-46) a 3'45” dalla penultima sirena a cui si giunge sul 52-53, perchè Rieti grazie al solito Monaldi e sfruttando le doti acrobatiche di Spencer si rianima dal black-out che ha visto il pieno rientro in gara dei ragazzi di Pillastrini che hanno ritrovato percentuali adeguate al tiro. L'ultima frazione si snoda con la prevedibile battaglia con sorpassi e contro-sorpassi e a 7'05” dalla fine due triple del capitano Rota e di Redivo danno a Cividale il massimo vantaggio (62-55); l'inerzia sembrerebbe tutta a favore delle Eagles ma di nuovo i gialloblù s'inceppano sotto il canestro laziale e Rieti accorcia 62-57 a 4'13” dalla sirena finale. Cividale dimostra ancora una volta di trovarsi a suo agio nella gestione dei finali testa a testa e a 1'27” conduce 70-61 e quando Marks infila la tripla del 73-61 a 40” è la sentenza definitiva per un'altra entusiasmante vittoria per i ragazzi di Pillastrini che chiudono avanti 77-63.

UEB GESTECO CIVIDALE – REAL SEBASTIANI RIETI 77-63

(16-22, 27-39, 52-53)

UEB GESTECO CIVIDALE

Marks 12, Redivo 21, Miani 13, Mastellari 7, Rota (k) 11, Devetta n.e., Marangon 3, Berti, Ferrari, Micalich n.e., Dell'Agnello 10, Piccionne n.e.

Allenatore Stefano Pillastrini

Vice Giovanni Battista Gerometta, Alessandro Zamparini

Tiri da due 20/38, Tiri da tre 8/26, Tiri liberi 13/20 Rimbalzi 40 (25 dif. 15 off.)

REAL SEBASTIANI RIETI

Spencer 15, Piunti 5, Sarto 3, Lupusor 4, Piccin, Pollone 2, Johnson 8, Monaldi 19, Cicchetti 1, Spanghero (k) 6.

Allenatore: Alessandro Roberto Rossi

Vice Andrea Ruggieri e Francesco Tricarico

Tiri da due 13/31, Tiri da tre 9/25, Tiri liberi 10/17 Rimbalzi 27 (20 dif. 7 off.)

Arbitri: Luca Attard, di Priolo Gargallo (SR), Antonio Giunta di Ragusa e Simone Settepanella di Roseto degli Abruzzi (TE)

 

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