Cividale del Friuli -
Budapest , giugno 2007
Questa intervista è stata
particolarmente faticosa: la “vittima”sfuggiva come un’anguilla al mio
taccuino, tanto è vero che alla fine, seppur con molta riluttanza, ho dovuto
cedere ai suoi metodi, accettando, obtorto collo, di utilizzare la rete
internet quale mezzo per le mie domande.
Rincorrere Molnar Rakosi è stato
molto più complicato persino dei diversi “fantasmi” a cui ho cercato di dare
consistenza fino ad oggi: continuare a fissare ed immediatamente annullare e
rifissare, per poi annullare e rifissare nuovamente ed ogni volta in luoghi
diversi l’appuntamento per l’intervista si stava trasformando nella frustrante attesa di un naviglio senza
sbarco. Preciso subito che Molnar non è una rockstar o un attore giramondo, ma
molto più “semplicemente” un’ occupato in quello che gli economisti
definiscono, come loro costume per confondere le idee ai non addetti ai
lavori, il settore economico del
“terziario avanzato”. All’ennesimo appuntamento annullato
per il suo oramai “classico” improvviso spostamento all’interno dell’Unione
Europea, ho alzato bandiera bianca ed accettato di utilizzare Skype per
l’intervista; ai lettori, che come me ignoravano cosa fosse “Skype”, dico solo
che si tratta di un modo per comunicare, anche a costo zero, attraverso un pc
fisso o portatile connesso alla rete telefonica via filo o anche per mezzo di
un telefono cellulare: la comunicazione può avvenire in tempo reale per
iscritto oppure a voce mediante microfono.Alle 23,45 di giovedì scorso, mentre stavo per coricarmi, la vibrazione del
mio cellulare sul comodino, mi ha
avvisato dell’arrivo di un SMS : “Sono
on-line. Se lo desidera ancora ho 20 minuti per la sua intervista. Rakosi.”Il primo istinto è stato quello di spegnere il cellulare, girarmi
dall’altra parte ed invocare il rapido arrivo di Morfeo mentre il secondo
quello di rispondere “Grazie per la disponibilità, ma ora è tardi” e di
attendere ugualmente il sonno; naturalmente alla fine ha prevalso il terzo,
ovvero quello di mettere da parte il proprio modo di intendere la vita ed i
rapporti interpersonali, infilarsi le ciabatte e, tra mille imprecazioni,
precipitarsi in studio, accendere il PC e connettersi a Skype: troppo poco il tempo che mi rimaneva per
cambiare “soggetto” delle mie attenzioni prima di consegnare il pezzo al
giornale in tempo utile. Sulla mia “finestra di dialogo” di Skype in modello “chat” appare la scritta…
Buonasera!
Buonanotte, più che buonasera…
Mi scusi sa, ma non è
colpa mia se lei ha deciso di cedere solo ora.. l’avesse fatto prima, invece di
intestardirsi per un incontro formale e rifiutarsi di vivere nel XXI secolo, il
suo prezioso sonno ora sarebbe salvo…
P.S.: ma lei va già a
dormire a quest’ora?
La miglior difesa è l’attacco? Mi pare che
il suo sangue ungherese del XXI secolo non tradisca quello dei suoi “avi” dei
secoli precedenti…
P.S.: ma
lei non dorme mai?
Permaloso o solo seccato per l’ora “tarda”?
Se lei avesse accettato di entrare nella macchina del tempo, viaggiare a
ritroso sino al XX secolo e quindi concedermi un intervista “de visu”, adesso,
guardandomi in faccia capirebbe che non si tratta né del mio carattere né
dell’ora, ma semplicemente del disagio di condurre questa intervista senza
sentire né il timbro della voce né vedere l’aspetto di chi ho di fronte…
Ribadisco: tutto questo perché
lei si ostina a vivere nel passato… se il suo PC, per la modica cifra di 50
Euro fosse provvisto, come lo è il mio di una web-cam e di un microfono, ora
sarebbe in grado di udirmi o scrutarmi ed io potrei fare altrettanto.. In ogni caso, anche solo così, potrà
apprezzare le meraviglie del “futuro”: non ci sarà bisogno di trascrivere
registrazioni o di prendere appunti sul suo taccuino, al termine della
“conversazione” le basterà stampare il testo e la sua intervista sarà bella che
pronta! Non mi dirà che non è dotato di una stampante?
Mi arrendo, proverò ad adeguarmi… anche se i
nostri mondi sono distanti anni luce. Altro che XX secolo!! Dunque… fornisca le sue generalità…
Fornire le mie generalità? Ma lei è un investigatore
privato o un giornalista originale? In ogni caso sempre vecchio stampo,
s’intende!
Come lei sa già mi chiamo Molnar
Rakosi, sono nato il 10 novembre 1982 a Pécs, nell’Ungheria meridionale… per la
precisione nella Regione della Baranya; segno zodiacale scorpione. Se vuole le
mando per posta elettronica anche le mie foto segnaletiche e via fax il
certificato penale.
Si tenga pure le foto, mentre se proprio ci
tiene mi mandi pure via fax il certificato penale … non si sa mai! Niente da
segnalare circa la sua famiglia di provenienza, a parte i segni zodiacali?
Famiglia di provenienza? Genitori, nonni, zii, robe così?
Non perdiamo tempo la prego, rimangono ancora 15 minuti per questa intervista,
poi il mio treno sarà arrivato a Budapest e dovrò chiudere la conversazione,
sempre che lei non voglia attendere un’altra ora e darmi il tempo di arrivare
in albergo e riconnettermi dal mio PC portatile; immagino che piuttosto
preferirebbe sedersi sulla poltrona del suo dentista.
In ogni caso nulla di straordinario da segnalare sulla
mia “famiglia”, niente odissee tipo quelle che lei è solito raccontare ai suoi
sventurati lettori: mio padre è nato nel 1958 a
Pécs ed è un professore di matematica all’Università di Budapest, mia
madre è nata nel 1961 a Pécs ed è sempre stata una maestra d’asilo. Nel 1956 non erano nati, nel 1968 non erano
in grado di capire nulla di quello che succedeva a Praga e nel resto del mondo,
nel 1989 avevano iniziato a lavorare e sono andati in piazza come tutti a
chiedere le riforme e dopo hanno continuato a lavorare in Ungheria, ove
tutt’oggi continuano le loro occupazioni di sempre. Cosa facevano i miei nonni
me lo risparmi: non pervenuti!
La capacità di sintesi è una qualità del XXI secolo?
Certo che a leggere le sue considerazioni si può confondere la caduta del muro
di Berlino con una pallida immagine dipinta sul fondale fisso di un teatrino
del dopolavoro…
Senta, nel 1989 io avevo 7 anni e
lei mi concederà che non posso considerarmi un esperto della vita nei regimi ex
comunisti; se vuole proprio sapere quello che ricordo del periodo
immediatamente successivo alla caduta del muro di Berlino sono le continue
lamentele dei miei genitori sull’aumento improvviso dei prezzi e sulla costante perdita di potere d’acquisto
del loro salario.
I magazzini si erano riempiti di
merci, le vie iniziavano ad illuminarsi con le insegne della pubblicità, ma
mancavano quasi del tutto i soldi per gli acquisti.
I soldati russi avevano lasciato
l’Ungheria ma in compenso dall’Italia incominciava l’invasione di tanti
“giovanotti di belle speranze e buona famiglia”, che con valigie colme di calze
e le tasche di marchi tedeschi, giungevano per i loro “acquisti”… quelli si che
me li ricordo bene.
Appena ebbi compiuto 18 anni, nel
novembre 2000, mio padre mi mise su di un aereo destinazione Cambridge, dove,
facendo il cameriere e dando lezioni di ungherese agli studenti inglesi per mantenermi, ho conseguito la laurea in
Scienze Agrarie nel 2005; nel 2006 ho vinto un concorso all’Unione Europea e da
allora curo le relazioni internazionali per un’Agenzia della Commissione
Europea che si occupa di formulare progetti comunitari nel settore agricolo ed
erogare i relativi finanziamenti.
Congratulazioni. Una carriera davvero rapida e brillante…
quindi ora risiede a Bruxelles, immagino.
La risposta è si, se per
residenza intende quello che c’è scritto sui miei documenti d’identità; se
invece lei vuole sapere dove passo la maggior parte del mio tempo la risposta è
no: in quel caso la mia residenza è l’abitacolo della mia vettura, seguita
molto da vicino dagli scompartimenti di treni sempre diversi; la risposta è
ancora no se la sua domanda era rivolta a capire quale sia il mio centro
d’interessi personali: in quel caso le risposta è Pécs. Pécs, la pianura
ungherese, i suoi colori ed i suoi odori, i volti degli amici, il dialetto…
tutto questo è e sempre sarà “casa”, a prescindere da dove mi trovi
accidentalmente o anche da dove possa dimorare in futuro.
Quanta nostalgia “leggo” nelle sue parole…
In quel caso le consiglio l’uso degli occhiali ed una
“lettura” meno superficiale… Non ho nessuna nostalgia di Pécs, la vita che
faccio è quella che voglio, che sento mia e che mi permette di sentirmi
realizzato come uomo… o almeno così è per adesso.
Quello che cercavo di farle
capire è che, qualsiasi cosa faccia ciascuno di noi, ovunque si sposti o si
trovi a vivere, la sua “Heimat” non lo abbandona… non potrebbe farlo, in quanto
è parte di sé come lo sono le sue membra.
Quindi, se ho ben capito il suo ragionamento, si può
girare il mondo come delle trottole impazzite, ma rimanere sempre ungheresi o
italiani a prescindere da che cosa succeda in Ungheria o in Italia mentre si è
impegnati altrove?
P.S.: io non ne sono molto
convinto.
Esatto, almeno per quanto
riguarda l’Ungheria però… voi italiani invece rimanete essenzialmente romani,
milanesi, siciliani, pugliesi, friulani; anche se da Milano vi trasferite a
Bari o a Palermo e viceversa… figuriamoci quando vi trasferite all’estero! Non
la prenda come un’offesa, mi raccomando, anzi. Per me significa solo che gli orizzonti
della vostra “Heimat” sono più ristretti.
Un po’ come quando si è
adolescenti, e si considera casa non tutto l’edificio familiare ma solo la
propria camera da letto, di cui si è terribilmente gelosi, in cui non si desiderano intrusioni di sorta,
dove si fanno entrare gli amici del momento ma si lasciano fuori i genitori.
P..S.: tra tre minuti sono
arrivato. Spari meglio le sue ultime cartucce.
La devo ringraziare per questo pensiero, mi sentivo
vecchio ed invece, in quanto friulano, scopro di essere nella pubertà quanto ad
“Heimat”, se seguo il suo principio… devo prendere atto però che lei sembra
conoscerci bene…
Vi conosco bene… da quando “vi”
ho visti arrivare in Ungheria a frotte in cerca di facili conquiste “amorose” ,
a suon di marchi, dopo la caduta del muro di Berlino; mentre austriaci,
francesi e tedeschi acquistavano banche, assicurazioni e fabbriche “voi”
eravate indaffarati a farvi spennare dalle mie connazionali dai facili costumi
come polli che si atteggiano a pavoni… poi “vi” ho seguiti negli studi
universitari in Inghilterra, dove mentre la maggior parte di noi stranieri
studiava e lavorava duramente, eludendo di tanto in tanto le regole per
assecondare i propri ormoni, voi ogni tanto, e a fatica, eludevate i vostri
ormoni per cercare di cavarvela nello studio con il “talento” e così da tranquillizzare papà che da casa mandava
regolarmente i bonifici a fine mese… ed ora “vi” osservo frequentando i
“vostri” politici ed i vostri funzionari nelle sedi comunitarie… a differenza
del grande dispiegamento di ormoni, siete vecchi, terribilmente vecchi…
Si riferisce al fatto che abbiamo la classe dirigente più “datata” e
maschile d’Europa?
Non mi riferisco solo al fatto
che mentre in tutta Europa la classe dirigente ha un’età media tra i 50/60
anni, da voi a 60 anni politicamente, ma non solo, cadono i primi denti da
latte… E’ il vostro modo di pensare che è vecchio… puzzate di XX secolo da ogni
poro… Parlate di tutela del lavoro, di difesa del salario, di ricerca
dell’uguaglianza … come se il mondo di oggi fosse quello dominato della grande
fabbrica che occupa migliaia di operai sfruttati e non un sistema complesso che
occupa le persone in lavori sempre più flessibili e diversi tra loro… I vostri
imprenditori considerano l’impresa come un giocattolo a valenza esclusivamente
personale, un gadget da utilizzare a proprio piacimento e sono alla continua
ricerca di sovvenzioni e privilegi da parte del settore pubblico a cui chiedono
solo misure per garantire a se stessi una rendita… I vostri politici invece
considerano i lavoratori autonomi non come il motore della ricchezza e del
futuro del paese, ma una sorta di
sfruttatori in tuba e marsina dediti all’evasione fiscale e quindi da spremere
fino all’ultimo… o almeno di farlo credere; salvo poi concludere con le grandi
imprese e le grandi banche ogni tipo di consorteria… Nel vostro parlamento si
fa un gran parlare d’innovazione e di tutela del made in Italy, mentre poi si
sfornano leggi bizantine che fanno perdere competitività ed appesantiscono le
imprese con una miriade di adempimenti burocratici inutili e costosi…. Non
volete ancora capire, neanche a parole spesso, che l’uguaglianza non si
raggiunge con il livellamento dall’alto ma cercando di dare a tutti le medesime
opportunità rispetto al merito e non rispetto ai bisogni…
Vagheggiate utopie sulla
conquista di altri mondi migliori possibili ed illuminati dal sol
dell’avvenire, quando invece c’è bisogno di creare oggi, nella comunità in cui
si vive, qui e subito il possibile miglior mondo…
Ma lo sa qual è la cosa peggiore
di tutte?
C’è persino qualcosa di peggio?
Rispetto a noi siete partiti con 40 anni di vantaggio; ai
suoi genitori la sorte ha risparmiato il regime comunista dopo la seconda
guerra mondiale ed il duro lavoro di ricostruzione ha permesso, non tanto a suo
padre e sua madre, ma alla sua generazione di godere di un grande patrimonio
accumulato e che vi da ancora una posizione di vantaggio.
Il problema è che quel patrimonio lo state erodendo in
fretta e la cosa peggiore di tutte è che, invece di esserne consapevoli, lo
ritenete acquisito nei secoli a venire per diritto divino e così avete
scambiato anche il concetto di rendita con quello d’impresa… si proprio voi,
quelli che con spocchia si atteggiano nei nostri confronti come i depositari, i
numi tutelari delle regole dell’economia di mercato ed i campioni del libero
scambio!
Dal mio punto di vista fate solo tanta rabbia: avete un
talento individuale incredibile e lo state sprecando pensando che questo, da
solo, basti sempre per tutto.
Vi faccio tanti auguri per il futuro…
Signor Rakosi, è andato giù pesante…
Lei dice? Provi ad aprire un conto corrente in una banca
italiana o stipulare una polizza assicurativa: le chiederanno prima di firmare
almeno una ventina di moduli, “naturalmente” a tutela dei suoi diritti e della
sua privacy, scritti in caratteri che per essere letti, non dico compresi, lei
dovrebbe richiedere al governo americano la possibilità di utilizzare il
telescopio di Monte Palomar… salvo poi scoprire che, senza la sua
autorizzazione e senza che nessuno l’abbia preventivamente avvertita, il
giornale del suo paese ha pubblicato urbi et orbi quanto ha guadagnato lo
scorso anno oppure il testo delle sue conversazioni telefoniche…
Però non mi fraintenda, nonostante la rabbia che mi fate,
ho grande simpatia per voi italiani… si, ha ragione, forse sono andato giù
duro.. ma se l’ho fatto è solo per un eccesso di amicizia: vi conosco, siete
capaci di fare male solo a “voi” stessi!
Anzi cancelli tutto e non riporti quello ho scritto,
altrimenti penseranno di me come ad un giovane
dell’est imbevuto di luoghi comuni e di retorica a buon mercato, che si
mette in cattedra a fare il primo della classe.
In effetti stavo aspettando il riferimento agli
spaghetti e al mandolino per la conclusione della sua analisi…
Davvero? Allora scriva questo, che forse potrà risultare
più illuminante.
Ogni anno, sino al 1989, io e la mia famiglia d’estate
andavamo a trascorrere 2 settimane di vacanze a Pirano, visto che la Jugoslavia
era l’unico paese in cui a noi, comuni mortali del Patto di Varsavia, era
consentito espatriare. Nell’estate del 1988, avevo 6 anni, “conobbi” Marco, una
bambino coetaneo di Trieste, anche lui in vacanza con i suoi genitori;
passavamo tutte le giornate insieme a giocare allegramente sulla spiaggia ed
una sera in cui la visibilità era particolarmente buona mi fermai a scrutare
l’orizzonte, ove si vedeva una striscia di terra con una città in lontananza.
Marco mi si avvicinò e mi disse:”Quella è Trieste, è casa mia, è l’Italia. Tu
lì non ci potrai mai andare perché non ti lasciano e perché tuo papà non hai i
soldi.”. Tra bambini si è sempre sinceri….
Sa cosa fa oggi Marco? Ha un lavoro “precario” a tempo
determinato in un call center come telefonista, dopo essere stato licenziato
nel 2004 da una casa di spedizioni doganali triestina in seguito alla “caduta”
del confine doganale dovuto all’allargamento ad est dell’Unione Europea.
Vive ancora con i genitori perché non è in grado assieme
alla sua fidanzata di pagarsi un affitto ed abitare con lei condividendo le
spese.
Non se la prenda se adesso la saluto senza troppi indugi.
Benvenuto nel XXI secolo. E’ stato un piacere.
… Molnar non
mi diede tempo di replicare: si era già disconnesso ed aveva abbandonato la
conversazione. Io rimasi intontito a fissare lo schermo del computer per
qualche istante prima di coricarmi definitivamente. Durante quella inusuale
intervista avevo meditato di sferrare un contrattacco finale che fosse capace
di ribattere a tutta quella che a me suonava come una presuntuosa ed aggressiva
finta modernità e lasciare il mio giovane interlocutore senza parole. Invece
non solo ero “morto” con il colpo in canna, ma addirittura era stata lui a
mandarmi definitivamente K.O. con quell’ultimo aneddoto.
“Bentornato al futuro, mio
caro” ho detto a me stesso ed al mio presunto talento, prima di cadere in un
sonno molto preoccupato.